"Gloria e miserie della divulgazione in Italia", incontro con Piero Bianucci, ciclo “Scienza dietro le quinte”
foto: Teresa López-Arias, archivio Università di Trento

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LA SCIENZA FA NOTIZIA

Successi e insidie della divulgazione scientifica. Conversazione con lo scrittore e giornalista Piero Bianucci

11 giugno 2014
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Stefano Oss
di Stefano Oss
Professore del Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento e responsabile del Laboratorio di Comunicazione delle Scienze fisiche dello stesso dipartimento.

La trasmissione "Le Iene" ha appassionato per molti anni - e ancora lo sta facendo - un numero enorme di cittadini che vogliono sapere la verità sulla scienza e difendersi dalla pseudo-scienza, essere avvertiti di potenziali o reali imbrogli e raggiri. Per avere tanto successo, sono stati affrontati di petto e con convinzione sfrenata casi clamorosi. Sempre in un ottica di razionalità e corretta informazione. Quasi sempre. Uno scivolone clamoroso è stato fatto e, purtroppo, potrebbe segnare pesantemente l'attendibilità e affidabilità delle Iene. Piero Bianucci non può fare a meno di segnalare, nella sua conferenza "Gloria e miserie della divulgazione in Italia", quinta e ultima della quarta serie di "Scienza dietro le quinte", organizzata dal Laboratorio di Comunicazione delle Scienze fisiche del Dipartimento di Fisica, che non tutte le ciambelle riescono col buco. Vannoni e stamina, un binomio micidiale di potenziale oltraggio alla ricerca scientifica e, ancor peggio, causa di aumentate sofferenze a persone malate e ai loro familiari, è simbolo di un'informazione scientifica contaminata, se non definitivamente compromessa, da un giornalismo alla ricerca della "notizia da prima pagina", quasi se si trattasse di cronaca nera.

Bianucci parla con modestia dall'alto di decenni di impegno profuso nel campo della comunicazione delle scienze su svariati fronti, con maggior impeto in quello dell'astronomia e dell'astronautica, ma di certo non solo. Autore di dozzine di libri di successo, coordinatore della rubrica "Tuttoscienze" della Stampa per un quarto di secolo, anche se nel suo sito riassume la sua carriera con un "nato nel 1944, tuttora vivente", ciononostante in questi sette decenni di vita anagrafica include un pezzo importante e indelebile di storia del racconto scientifico nazionale, e non solo.

Bianucci scende volentieri dalle stelle e dai pianeti (ce ne è uno tutto suo, con il suo nome, anche se prima vagava solitario fra Marte e Giove con l'anonima sigla 4821) per occuparsi di tantissime cose, al motto di "non so niente ma spiego tutto". Non è vero che non sa niente: una laurea in filosofia non gli ha impedito di lanciarsi nel mestiere che tanto appassiona il cittadino tipico quanto (troppo spesso) lascia se non infastidito almeno indifferente l'accademico "puro", che non vuole scendere a compromessi con il volgo per raccontare cosa succeda nella torre d'avorio dei suoi laboratori e “pensamenti” difficili.

Così racconta ai presenti (e a moltissimi altri tramite i suoi libri) quanto sia difficile trovare un giusto mezzo comunicativo fra scienziati e cittadini. E quanto lo sia anche nei giorni nostri, meravigliosamente intrisi di tecnologia che accorcia tempi e distanze, che facilita la condivisione di informazioni, dati, idee, progetti, risultati. Il problema è sempre il solito: i giornalisti (o il giornalismo imperante) richiedono titoli a caratteri cubitali, risultati eclatanti e sconvolgenti, rivoluzioni copernicane se si vuole restare in prima pagina. Altrimenti i premi Nobel per la medicina, fisica e chimica scivolano in fondo ai quotidiani, in evidenza minore rispetto agli oroscopi. Se poi ci si mette lo scienziato noto di turno, capace di odorare non la santità ma la grande scoperta prima di tutti (per esempio i neutrini che corrono più veloci della luce) e lo fa sapere a un direttore di giornale che, come tutti i direttori di grandi giornali, vuole urlare che Einstein ha perso la gara di corsa con la luce, beh, siamo a posto. Lo siamo anche senza contributi analfabeti di ex-ministre e della loro dirigenza, che ammiravano tunnel scavati solo nella loro fervida immaginazione fra il CERN e il Gran Sasso.

Bianucci ci racconta del disagio di giornalista scientifico al cospetto delle esigenze della stampa di grido. La scienza non urla, parla, e lo fa tramite persone modeste e con alto indice di affidabilità accademica (quale esso sia non importa, tutto sommato). Cosa fare per cambiare rotta? Vogliamo, dobbiamo cambiarla? Sì, senza dubbio. Ma non è compito facile. La cultura scientifica (e non solo quella) del cittadino italiano medio si assesta a valori inquietanti. A partire dagli indici quantitativi delle indagini PISA-OCSE. Dove possiamo e dobbiamo intervenire? Bianucci lo accenna solo. Io lo dichiaro a gran voce: nella scuola. Ma per farlo abbiamo bisogno di un ribaltamento di paradigma e di governo di questo sistema. Andare oltre l'acculturamento umanistico-crociano. Andare oltre il bipolarismo delle due culture. Difficile in una repubblica che alterna ministri all'educazione (e alla ricerca) con periodo semestrale.