Aula del Dipartimento di Economia ©Unitrento ph. Pierluigi Cattani Faggion

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Se l'Università si crede un'azienda

Atenei ibridi, la sfida tra pubblico e privato: se ne parla a Trento con Lee Parker dell’Università di Glasgow

19 ottobre 2023
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Alessandra Saletti
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Economie di scala, efficienza, razionalizzazione, commercializzazione e attenzione alla misurazione della performance: tutti aspetti che siamo abituati a vedere nel mondo imprenditoriale. Ma cosa succede se modelli e riferimenti di questo mondo vengono adottati anche nelle università pubbliche? Lee Parker, docente di Accounting all’Università di Glasgow e founding editor della rivista Accounting Auditing & Accountability Journal, ha studiato effetti, opportunità e rischi per gli atenei pubblici nella competizione globale. UniTrentoMag lo ha intervistato in vista del seminario che inaugurerà il suo periodo da visiting professor all’Università di Trento.

Professor Parker, nel suo seminario al Dipartimento di Economia e Management parlerà dell’ascesa delle “università ibride”. Cosa si intende con questo termine?

«Usiamo questo termine quando vediamo atenei che si comportano come organizzazioni ibride e mettono in atto comportamenti ambivalenti. Da un lato di operano come organizzazioni commerciali aziendali. Quindi competono a livello internazionale per reclutare studenti internazionali e generano entrate attraverso le tasse studentesche, la ricerca a contratto, il sistema di donazioni pubbliche o altre fonti di carattere privato. Dall’altro, contemporaneamente continuano però a operare anche come burocrazie tradizionali, finanziate dal governo, almeno in parte. E per questa ragione, sono per forza focalizzate sul controllo interno e sui processi di conformità alle procedure pubbliche».Lee Parker

Il paper che discuterà con la comunità UniTrento si apre con una riflessione sullo scenario in cui oggi le università di tutto il mondo si trovano a operare.

«Sì, gli ultimi decenni hanno visto cambiamenti drammatici negli ambienti, nelle identità e nelle missioni universitarie, così come nei finanziamenti e nel coinvolgimento del governo e del settore privato. In quanto organizzazioni sempre più commercializzate e aziendalizzate, le università hanno sempre più imitato le strutture organizzative gerarchiche del settore privato, gestite professionalmente e soggette alla gestione delle prestazioni attraverso la proliferazione di sistemi di controllo di gestione. Dalle ricerche che abbiamo condotto per questo articolo emerge come oggi la ricerca universitaria, in generale, venga condotta perseguendo più il bene privato che quello pubblico. Chi fa ricerca tende ad adattare i propri sforzi per conformarsi ai sistemi di controllo della gestione universitaria, che sono sempre più numerosi e focalizzati su rigidi parametri. L’impegno dell’ateneo verso l’esterno sembra spesso essere più una strategia di gestione della reputazione e internamente i ricercatori sono ancora costretti a seguire una logica contraddittoria che li obbliga a cercare di pubblicare ad ogni costo su riviste autoreferenziali di alto livello. Una situazione contraddittoria come questa produce una distanza crescente tra la ricerca universitaria e la pratica professionale e anche tra la ricerca e le comunità professionali».    

Quali tipi di cambiamenti saranno, secondo Lei, più rilevanti e (forse) pericolosi per le università pubbliche in futuro?

«A livello globale, le università si sono rese conto del fatto che una percentuale sempre più ridotta della loro spesa totale è oggi finanziata con risorse pubbliche. Questo limite crescente deriva dal fatto che le entrate fiscali dei governi si fanno sempre più limitate e, di conseguenza, anche i budget di spesa delle università vengono messi sotto pressione. Questa situazione ha spinto le università a cercare sempre più fonti private di reddito per integrare le loro spese totali. Il rischio che si corre è che gli atenei, così facendo, si concentrino sempre più sui propri rendimenti finanziari privati e finiscano sotto l’influenza interessata delle principali fonti di finanziamento. Questo può forzare gli accademici a perseguire obiettivi chiave di performance a breve termine incentrati più che altro sulla resa finanziaria, dando così priorità alle logiche del mondo universitario e agli obiettivi finanziari. Viene così ad essere sacrificato il loro ruolo di interesse pubblico nel servire la comunità nel senso più ampio del termine. Ad essere messe in difficoltà sono proprio le strategie a lungo termine, i risultati e i benefici per la collettività, perché si preferisce orientarle invece su obiettivi a più breve termine, più tangibili».

Quindi introdurre nuovi sistemi di controllo di gestione e pratiche di ispirazione privata porterebbe solo rischi per la ricerca?

«Non solo rischi, perché in realtà apre anche a nuove opportunità. Queste pratiche mutuate dal mondo imprenditoriale possono infatti portare a dare maggiore attenzione ai risultati con effetti benefici sull’intero sistema. Facoltà, dipartimenti e singoli accademici vengono motivati a produrre risultati tangibili a beneficio sia dell’università, sia della comunità».

Quale strategia suggerirebbe a un ateneo di medie dimensioni come l’Università di Trento che aspira a coltivare una forte dimensione di relazioni internazionali e di qualità nella ricerca? Come potrebbe essere ancora più competitivo?

«L’Università di Trento può essere competitiva individuando quali sono le sue competenze realmente uniche e distintive e i vantaggi competitivi che la differenziano dalle altre università italiane. A livello globale, la maggior parte delle università tende a dichiarare missioni simili. Trento può e deve identificare ciò che la distingue nella sua missione, cosa offre e cosa fornisce agli studenti, alla comunità regionale e a livello nazionale. Un processo in cui il mondo esterno all’ateneo deve essere coinvolto. È possibile identificare e promuovere la sua identità, i valori, il profilo, i programmi educativi, le aree di ricerca chiave e l'impegno esterno con gli stakeholders all'università».