Voto online. Foto da Adobe Stock

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Io voto online

Un ciclo di incontri offre l'opportunità di conoscere le forme di voto elettronico

5 marzo 2024
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di Lorenza Liandru
Supporto alle Relazioni istituzionali

Nel racconto La giornata d’uno scrutatore, Italo Calvino descrive l’esperienza al seggio elettorale di Amerigo Ormea, scrutatore durante le elezioni politiche del 1953. Il protagonista si muove in ambienti piuttosto anonimi, tra “paraventi di legno piallato, senza vernice, che fanno da cabina” e “registri, pacchi di schede, matite, penne a sfera”. Quando iniziano ad arrivare i votanti, però, “tutto s’anima: è la varietà della vita che entra con loro”. Leggendo questo testo ci si accorge che poco o nulla è cambiato rispetto alle modalità di voto di settantuno anni fa. Come mai l’incessante avanzamento tecnologico non è riuscito ancora ad imporsi nelle procedure elettorali? Non sarebbe più comodo esprimere la propria preferenza con un semplice tap sullo schermo dell’IPhone? La questione del voto elettronico, di cui si discute ormai da decenni, è complessa e controversa. Ma è anche una sfida della modernità, che va affrontata e fatta conoscere. Ne parliamo con Vincenzo Desantis, giurista e assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Fisica, che insieme a Chiara Spadafora, assegnista di ricerca del Dipartimento di Matematica, e Laura Cristiano della Fondazione Bruno Kessler ha organizzato il ciclo di conferenze “Incontri sul voto elettronico”.

Dottor Desantis, quali sono le forme di voto elettronico?

«L’espressione “voto elettronico” viene comunemente usata per indicare diverse soluzioni che consentono il voto e il conteggio delle preferenze attraverso tecnologie informatiche. Una prima necessaria distinzione va fatta fra voto elettronico presidiato e i-voting, che sta per internet-voting. Nel primo caso l’elettore esprime il suo voto tramite l’uso di una macchina o di un terminale collocato in postazioni supervisionate, come seggi elettorali o altri luoghi sorvegliati da pubblici ufficiali. L’i-voting consente invece agli elettori di trasmettere il proprio voto da qualsiasi dispositivo connesso ad internet, tramite un'applicazione o un portale online. Potenzialmente, quindi, da ogni parte del mondo. Conosco bene quest’ultimo sistema perché ho fatto parte di un gruppo di ricerca interdisciplinare che ha sviluppato una app per l’internet voting dal nome Vote App. Il progetto, realizzato da Futuro & Conoscenza s.r.l. (Istituto poligrafico e Zecca dello Stato e FBK) in collaborazione con l’Università di Trento, è al momento in stand-by, perché attende ancora la fase sperimentale».

Le garanzie costituzionali richieste in Italia per il voto sono compatibili con il voto elettronico non presidiato?

«Non c’è una risposta precisa, perché si tratta di una procedura nuova, non ancora disciplinata da un’apposita legge. Nessun giudice, inoltre, è stato mai chiamato a esprimersi in merito. Possiamo però paragonare il voto elettronico non presidiato – quindi l’i-voting – a quello esercitato per corrispondenza dagli italiani residenti all’estero, un metodo che genera da sempre incertezze e sospetti, perché non può essere del tutto personale ed eguale, libero e segreto come indicato dall’articolo 48, comma 2, della Costituzione. Con il voto per corrispondenza, infatti, non è possibile verificare chi abbia compilato le schede ed esiste il rischio di condizionamenti, coercizioni, voti di scambio e frodi di vario tipo. Se tuttavia è possibile votare per corrispondenza nonostante questi evidenti problemi, perché non potrebbe andare bene l’i-voting? L’introduzione del voto elettronico a distanza potrebbe in questo caso essere più sicuro del sistema attuale».

Quali altri benefici può apportare l'approdo a forme di i-voting?

«L’i-voting potrebbe anzitutto ridurre il fenomeno dell’astensionismo involontario, rappresentato da un lato da persone che non possono recarsi al seggio elettorale per impedimenti temporanei o motivi di salute, dall’altro da cittadini e cittadine che studiano o lavorano lontani dal comune di residenza. Con un sistema di i-voting si potrebbero inoltre accelerare e semplificare le operazioni di voto e di scrutinio, evitando gli errori tipici del conteggio manuale, come la perdita dei documenti elettorali o il calcolo doppio delle schede. Un altro vantaggio è la verificabilità: l’elettore può controllare autonomamente che il voto espresso sia stato salvato senza modifiche nell'urna digitale. Il voto online, infine, implica la completa eliminazione delle schede nulle e chi esprime la preferenza è sicuro di aver partecipato alla consultazione in modo corretto. Ovviamente il voto viene reso anonimo da una procedura crittografica molto complessa, perché il rispetto della segretezza costituisce un presupposto imprescindibile di tutte le fasi della votazione elettronica».

Come fare fronte alle evidenti criticità in termini di sicurezza informatica, trasparenza e protezione dei dati personali?

«Gli esperti di informatica e crittografia sono concordi nell’affermare che non esiste ad oggi un sistema di voto elettronico sicuro al 100%, ovvero immune da attacchi, possibili malfunzionamenti o manipolazioni attuate al fine di falsare i risultati elettorali. Per garantire una sempre maggiore sicurezza dell’internet voting è quindi necessario lavorare sui protocolli crittografici, rendendo oltremodo complesso un eventuale attacco. C’è anche un altro aspetto da considerare: è opinione diffusa che qualsiasi soluzione di voto elettronico affidabile debba essere sviluppata come progetto “Open Source”, perché l’utilizzo di un software proprietario non consentirebbe il controllo sulla correttezza dello scrutinio da parte dei cittadini. È una questione di trasparenza, il sistema deve essere aperto a verifiche indipendenti e facilmente accessibile agli elettori».

È chiaro che l’i-voting presenta luci e ombre. Quali prospettive concrete di applicazione potrebbe avere?

«Il voto elettronico potrebbe affiancarsi al sistema tradizionale, senza sostituirlo, ed essere utilizzato in ottica inclusiva, a beneficio di determinate categorie, quali malati gravi, persone con seri problemi motori, studenti e lavoratori fuorisede e italiani all’estero che ne fanno richiesta. Un altro ostacolo alla diffusione del voto elettronico online è il digital divide: nel nostro Paese, al momento, non è possibile garantire che tutti i cittadini abbiano accesso alla tecnologia e alla connettività Internet necessarie. In ogni caso è fondamentale che a monte vi sia una struttura fatta di persone competenti, che riesca a gestire sistemi di voto elettronico sicuri, affidabili, efficienti, tecnicamente solidi».

E all’estero sono state fatte sperimentazioni? La maggior parte dei Paesi europei è rimasta fedele alle tradizionali schede elettorali cartacee.

«Nel corso degli anni diverse nazioni europee hanno sperimentato il voto elettronico. Tuttavia, al momento, il voto elettronico a distanza è estensivamente utilizzato soltanto in Estonia, un paese che conta poco più di un milione e trecentomila abitanti, quasi la stessa popolazione residente nel comune di Milano. È evidente che l’esercizio del voto elettronico è più facile in piccoli contesti o per gestire un numero limitato di votanti, come nel caso delle categorie già elencate».

Votare come se si mettesse un like su un post di Instagram non svilisce o banalizza un atto così importante per la vita democratica del Paese? Può pesare l’assenza di un luogo fisico in cui possa manifestarsi l’appartenenza a una comunità politica?

«Sviluppano la nostra app per l’i-voting ci siamo posti questo problema, che è reale. Esprimere un voto via internet, infatti, produrrebbe una trasformazione dell’idea stessa di partecipazione democratica. Per evitare o attenuare questo effetto negativo abbiamo lavorato molto sull’aspetto grafico della app e sul linguaggio. Le schermate presentano la stessa grafica delle schede e adottano la medesima lingua del diritto elettorale, cosa che potrebbe anche sembrare respingente, ma che pone fin da subito l’elettore in un ‘ambiente’ diverso dai social o da un qualsiasi sito internet. In questo modo chi utilizza la app dovrebbe comprendere che non si tratta di mettere un like, ma di esercitare – seppur attraverso un mezzo innovativo – il proprio diritto-dovere civico. A tal proposito ci siamo anche chiesti se sia lecito o meno lasciare la possibilità di ‘fare scheda bianca’, perché l’astensionismo di protesta assume il significato di un atto intenzionale, compiuto da cittadini consapevoli che, in questo modo, esprimono comunque la loro opinione».