Una scena dello spettacolo "Lei dunque capirà" (STUDIO BI QUATTRO | Foto di Filippo Maiani).

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L'EURIDICE DI CLAUDIO MAGRIS: L’ESPERIENZA DELLA SOGLIA

Conversazione con l'attrice Elisabetta Pozzi, interprete di "Lei dunque capirà"

1 marzo 2017
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L'EURIDICE DI CLAUDIO MAGRIS: L’ESPERIENZA DELLA SOGLIA
di Caterina Mordeglia
Professoressa associata presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento e membro del comitato organizzatore dell'iniziativa "Due giorni con Claudio Magris. Dalla scena al dialogo".

Intensa, struggente, a tratti onirica e kafkiana. La scrittura teatrale di Claudio Magris rientra a pieno titolo nella definizione di “scrittura notturna” coniata dallo scrittore argentino Ernesto Sàbato, e fatta propria dallo stesso Magris. Si tratta della scrittura legata ai momenti bui dell’autore, di cui mette a nudo la parte più profonda, proprio come accade in “Lei dunque capirà”. 
Scritto nel 2006, questo monologo breve ma denso di suggestioni letterarie e autobiografiche, trasfigura il grande amore dello scrittore per la moglie scomparsa nel mito di Orfeo ed Euridice, magistralmente adattato a riflettere le angosce contemporanee. A differenza di quanto accade nella tradizione classica - in Virgilio pronuncia qualche battuta, in Ovidio nemmeno quello - la figura femminile è qui protagonista assoluta della storia,
profunda diiudicatio, come la definisce lo scrittore latino tardoantico Fulgenzio, cioè capace di distinguere le verità emotive più profonde. 

Come l’Euridice del mito, essa a causa di una brutta infezione ha varcato l’ingresso di una casa di riposo, fotocopia sbiadita del mondo esterno dove aleggia la presenza, inespressa ma incombente, del signor Presidente che ha dato il permesso speciale all’amato di andarla a prendere. A lui rievoca il suo amore assoluto, misto di passione e quotidianità, e spiega le ragioni della sua consapevole scelta di restare al di là della “soglia”, per non dover spiegare che i due mondi non sono poi così diversi l’uno dall’altro, che anche dall’ “altra parte” non si conosce tanto di più il mistero della vita, e non privare così il suo poeta di quella tensione esistenziale che ne alimenta l’ispirazione.
 Già più volte rappresentato – ricordiamo tra gli allestimenti più recenti anche quello del 2012 in sloveno per la regia di Igor Pison presso il Teatro Stabile Sloveno di Trieste –, "Lei dunque capirà" ha trovato un’interprete d’eccezione nella grande attrice italiana Elisabetta Pozzi, nella recente messinscena presso il Teatro Cuminetti offerta alla città dall’Università di Trento, con il contributo dell’ Opera Universitaria di Trento, nell’ambito dell’iniziativa
Due giorni con Claudio Magris. Dalla scena al dialogo organizzata dal Dipartimento di Lettere e Filosofia. A lei abbiamo rivolto qualche domanda.

“Lei dunque capirà” è un monologo di grande intensità. Qual è stato il tuo approccio emotivo al testo? 
Mi ha molto colpita, quasi intenerita, il modo molto intimo e struggente in cui Magris esorcizza un grande dolore personale. Attraverso l’esperienza ultraterrena della moglie lui racconta se stesso, con una capacità di autocritica particolarmente profonda. Ho cercato di accostarmi a questo testo con grande pudore, perché mi sembrava quasi di spiare dentro le emozioni di un così grande scrittore.

Quali sono state le difficoltà e le insidie che hai incontrato dinnanzi a una scrittura così struggente e "fisica"?
La difficoltà recitativa di questo monologo risiede nella continua alternanza di toni. Si passa da espressioni e da termini colloquiali, quasi gergali – “squinzia” per esempio – ad aperture poetiche altissime. Non c’è un flusso continuo nella narrazione, è una scrittura quasi a singhiozzo. Il lavoro di preparazione sul testo è stato impegnativo ma nel complesso anche molto stimolante.

Quale ruolo hanno avuto nell’allestimento le musiche di Daniele D’Angelo?
In un testo dove la parola è “tanta”, crea labirinti e voragini, la musica serve a intervallare il testo e a richiamare il personaggio stesso di Orfeo, il cantore mitico per antonomasia, che compare in controluce dietro la scena in chiave attualizzata con la sua chitarra elettrica. È stato molto divertente collaborare con Daniele nella scelta di quale dimensione musicale conferire all’ambientazione. Alla fine si è scelta una contaminazione di stili moderni, con battute messe in musica secondo lo stile delle canzoni francesi o musiche che, facendo da sottofondo alle parole, creano una ‘bolla’ recitativa di grande intensità emotiva in cui lei si rivolge non al Presidente, ma direttamente al suo amato.
 
Euridice in Magris è protagonista assoluta della storia, diversamente da quanto accade nel mito classico. Non è la prima volta che interpreti personaggi femminili intensi, emblemi di un amore assoluto. Penso, per restare in ambito classico, a Medea e Fedra rappresentate con straordinaria intensità a Siracusa nel 2009 e nel 2010. In cosa l’Euridice di Magris si differenzia da loro?
Si lavora sempre in maniera diversa dinnanzi ai grandi personaggi drammatici. La Medea di Euripide ha i toni di un grande classico, non richiede retorica né psicologismi ma solo piena forza emotiva. Fedra rappresenta la passione pura, l’abbandono totale di una creatura femminile a un amore non corrisposto. Nella riscrittura, poetica, musicale, che del mito classico fa Ghiannis Ritzos il suo messaggio diventa addirittura più politico che esistenziale. L’Euridice di Magris rappresenta invece l’amore di due persone che diventano una sola, l’amore coniugale in bilico tra quotidianità e passione.

Sei stata ospite più volte nella nostra università al Dipartimento di Lettere e Filosofia, dove hai fatto lezioni recitate ai nostri studenti. Quale emozione ti dà incontrare i giovani?
Ho sempre avuto uno stretto contatto con i giovani, ancora recentemente nei corsi di preparazione teatrale che ho tenuto presso l’Istituto Universitario di Arti Visive di Ca’ Foscari a Venezia. Mi dispiace però vedere che rispetto al passato hanno meno ideali, meno passione. Forse hanno attorno a sé un humus culturale meno fertile, forse gliel’hanno fatta passare.