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ALCOL E AGGREGAZIONI GIOVANILI: SIMBOLI E RITO

Incontro aperto all’Università di Trento per affrontare il tema in prospettiva sociologica

6 giugno 2017
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ALCOL E AGGREGAZIONI GIOVANILI: SIMBOLI E RITO
ALCOL E AGGREGAZIONI GIOVANILI: SIMBOLI E RITO
di Bruno Bertelli e Valentina Molin
Rispettivamente professore del Dipartimento di Sociologia e ricerca Sociale e collaboratrice di ricerca post doc del Dipartimento di Sociologia e ricerca Sociale.

Non è semplice ragionare attorno al significato simbolico dell’uso, anche eccessivo, di alcol fra i giovani. Oltre ai criteri medici ed epidemiologici, che delineano ciò che è uso e abuso, occorre esaminare ciò che viene ritenuto adeguato e inadeguato in base al frame di riferimento condiviso dagli attori che prendono parte alla scena.

A tal fine si può adottare un approccio di tipo globale per poter cogliere come il consumo di alcol, e anche di sostanze stupefacenti, costituisca per gli attori in gioco un’azione dotata di senso e razionalità (nell’accezione weberiana del termine), in modo del tutto analogo anche ad altre tipologie di comportamenti a rischio. Ciò significa che alcuni giovani mettono in atto tale condotta con lo scopo di perseguire specifici obiettivi personalmente e socialmente ritenuti significativi. Come emerge da diversi contributi di ricerca, l’alcol appare un oggetto utilizzato al fine di gestire l’immagine del proprio Sé e le relazioni sociali con i pari nell’ambito dei tempi e dei luoghi del tempo libero. Tramite l’uso (e l’abuso) dell’alcol, ma anche di alcune sostanze stupefacenti illegali, i giovani ricercano uno stato di eccitazione che sia però conciliabile con la normalità degli impegni quotidiani, solitamente legati allo studio.

In particolare, emergono tre specifiche funzioni rituali le quali, seppur con alcune lievi variazioni rispetto ai luoghi o alle sostanze alcoliche utilizzate, risultano stabilmente presenti fra i giovani di oggi e di ieri. La prima, nota come mood setting, lega gli effetti rilassanti e disinibenti dell’alcol al contesto sociale del gruppo in cui viene consumato: in queste situazioni sono, infatti, consentiti momenti di libertà e intimità che difficilmente si profilano in situazioni di sobrietà, ed eventuali lapsus o contraddizioni possono poi essere scusati dal fatto di essere stati “bevuti”. La seconda funzione pone l’accento sul rito di passaggio: tipicamente, infatti, il consumo di alcol marca la transizione da una condizione a un’altra (giorno/notte; tempo del lavoro o studio/tempo libero, ecc.). Infine, la terza funzione è precipuamente di tipo sociale, e racconta come il rito del brindisi in compagnia, anche ripetuto sino all’ubriachezza, divenga un collante relazionale, capace di dissolvere gerarchie e formalità.

Un altro aspetto su cui va posta l’attenzione è la forte ambivalenza della sostanza alcolica, analizzando le situazioni in cui – riprendendo in questo caso la prospettiva medica – emerge il suo lato prettamente drogastico. Partendo dal presupposto per cui nei contesti del “bere giovane” l’uso e l’abuso di alcol non vengono quasi mai considerati come problematici – visto che è lo stesso frame (cornice) che stabilisce la normalità del consumo anche eccessivo – si è giunti alla conclusione che la problematizzazione di quanto può avvenire nel contesto prende forma solo nel momento in cui è la stessa cornice ad essere irrimediabilmente infranta. Ciò accade quando l’attore compie un’azione così grave da non poter essere salvata richiamando a giustificazione la scusante relazionale del bere.

La prospettiva sociologica offre, dunque, spunti interessanti anche in termini preventivi, considerato che si ritiene impercorribile tanto la via neo-proibizionista quanto quella che propone un’incontrollata liberalizzazione. La strada proposta dall’alcologia sociale è, infatti, quella che tiene in considerazione l’ineliminabile complessità della bevanda alcolica, fatta di contrasti e ambiguità, proponendo una via di auto-regolazione, responsabilizzazione ed equilibrio.

La lezione “Alcol e aggregazioni giovanili. Simboli e rito”, tenuta a maggio dalla dottoressa Valentina Molin nell’ambito del corso di laurea triennale in Sociologia della devianza, ha posto al centro la questione dell’ambivalenza dell’alcol sotto un profilo eminentemente sociologico. Sono stati ripresi e ripercorsi alcuni degli argomenti già presentati nel testo uscito nel 2016 e curato da Bruno Bertelli e Valentina Molin “Aggregazioni giovanili e alcol a Trento. Happy hours, movida, divertimento fra tolleranza, conflitto, mediazione e prevenzione”.