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IL NUOVO QUADRO POLITICO TEDESCO

Un'analisi dei cambiamenti prodotti dalle ultime elezioni federali in Germania

18 ottobre 2017
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IL NUOVO QUADRO POLITICO TEDESCO
di Jens Woelk
Professore associato di diritto costituzionale comparato presso la Facoltà di Giurisprudenza e la Scuola di Studi internazionali dell’Università di Trento.

La vittoria nelle elezioni federali tedesche del 24 settembre 2017 segna la conferma di Angela Merkel come cancelliera al suo quarto mandato consecutivo. Tale successo potrebbe, tuttavia, rivelarsi una vittoria di Pirro, trattandosi per il suo partito del peggior risultato dal 1949. Anche il partner della Grande Coalizione, i socialdemocratici con il candidato Martin Schulz, ha subito perdite di dimensioni storiche. Con sorpresa annunciata, il partito di estrema destra, Alternative für Deutschland (AfD), ha invece facilmente superato la clausola di sbarramento entrando nel Bundestag con il 12,6% dei voti come terzo partito. Dopo quattro anni di assenza tornerà nel Parlamento federale il partito FDP (liberali) con un rispettabile 10,5%, mentre gli altri due partiti si sono affermati rispettivamente al 9,2% (Die Linke), e al 8,9% (i Verdi). 

Nel nuovo Parlamento entreranno 709 deputati, e quindi 111 in più rispetto alla composizione ordinaria. Il sistema elettorale proporzionale che determina la composizione viene “corretto” da una componente maggioritaria. Infatti, gli elettori nelle 299 circoscrizioni possono votare sia per le liste (regionali) sia, con un voto separato, per una persona (i cosiddetti “mandati diretti”). A causa della facoltà di esprimere un voto disgiunto, un partito può raggiungere più mandati diretti, rispetto alla quota spettante alla propria lista nel calcolo proporzionale: i cosiddetti “mandati in eccedenza”. Tale distorsione del risultato proporzionale deve essere compensata con ulteriori seggi per gli altri partiti fino a raggiungere nuovamente le corrette proporzioni. In assenza di un tetto massimo, questo meccanismo di compensazione fa lievitare il numero dei deputati; di conseguenza è molto criticato per i costi e gli effetti negativi sul lavoro parlamentare.

Le elezioni federali del 2017 segnano la fine dell’era di tranquillità e stabilità che aveva caratterizzato, con pochi partiti moderati e maggioranze stabili, il sistema politico tedesco del secondo dopoguerra. È una significativa erosione della base elettorale dei due “grandi” partiti di raccolta e l’aumento del numero complessivo dei partiti rappresentati nel Parlamento (ora sette!). Ma è soprattutto l’ingresso di un partito populista di destra, l’AfD, a rompere un tabù confermando un processo di “normalizzazione” in atto dalla riunificazione. Con la sua campagna di alternativa autentica alla politica degli altri partiti, sostenuta da slogan populistici, anti-europei e xenofobi, l’AfD ha vinto più di 90 seggi ed è arrivata a essere il secondo partito nella Germania orientale, con il 21%. Nel suo primo commento, il leader ha promesso di voler “dare la caccia” a Merkel e agli altri politici. Tuttavia, l’AfD è tutt’altro che un partito compatto per cui vari commentatori prevedono delle forti controversie interne e perfino delle scissioni che sono già iniziate. Il giorno successivo alle elezioni c’è stato l’annuncio a sorpresa dell’uscita di un membro del direttivo dal costituendo gruppo parlamentare dell’AfD nel Bundestag.

Il devastante risultato elettorale ha subito portato i socialdemocratici a escludere la continuazione della Grande Coalizione, preferendo una ricostituzione nell’opposizione e non lasciando il posto del partito di opposizione più grande all’AfD. Questa scelta riduce le possibili opzioni di coalizione per Angela Merkel alla sola combinazione CDU/CSU, Verdi e liberali. Conosciuta in Germania come coalizione “Giamaica” (per i colori dei partiti che corrispondono a quelli della bandiera giamaicana), questa opzione è stata sperimentata finora soltanto nel piccolo Saarland (dal 2009-2012) e, da qualche mese, nello Schleswig-Holstein. Un accordo non sarà facile, sia per le differenze fra Verdi e liberali su vari temi (si distinguono soprattutto nelle posizioni sul ruolo dell’intervento pubblico nell’economia) sia per il partner bavarese di Merkel. Questo ha incassato una sonora sconfitta a soltanto un anno dalle prossime elezioni regionali, rendendo probabile una sua svolta a destra per riconquistare voti persi all’AfD. È dunque probabile che le trattative per la formazione di un governo saranno lunghe e difficili, come in altri paesi, ma ciò rappresenterebbe una novità per la Germania. A differenza del passato, quando l’integrazione europea era allo stesso tempo necessità e legittimazione, la Germania ora potrebbe, a livello europeo, privilegiare più apertamente i propri interessi nazionali. Anche questo sarebbe un segno della “normalizzazione” in atto.

L’esito delle elezioni federali tedesche, nel contesto più ampio della storia tedesca del secondo dopoguerra e della situazione attuale in Europa, è stato discusso nell’incontro “Germania al voto: analisi e prospettive”, che si è tenuto lo scorso 3 ottobre presso la Biblioteca Comunale di Trento. L’iniziativa fa parte del ciclo “Orizzonti internazionali: dialoghi su attualità e affari internazionali” organizzato dalla Scuola di Studi Internazionali. A dialogare con il pubblico i professori Jens Woelk, Stefani Scherer (Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale) e Gustavo Corni (Dipartimento di Lettere e Filosofia).