Heinz Schilling, foto Roberto Bernardinatti, archivio Università di Trento

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AD HEINZ SCHILLING LA LAUREA HONORIS CAUSA IN SCIENZE STORICHE

L’Università di Trento ha conferito il titolo onorifico a uno dei massimi studiosi tedeschi della Riforma protestante

1 dicembre 2014
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Giovanni Ciappelli
di Giovanni Ciappelli
Professore associato presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.

Il 13 novembre scorso, all’interno della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’Ateneo trentino, il Dipartimento di Lettere e Filosofia ha conferito la Laurea magistrale Honoris Causa in Scienze storiche al Prof. Heinz Schilling. Come ha ricordato anche il Direttore del Dipartimento, Fulvio Ferrari, la decisione si giustifica per più motivi, non ultimo quello di collegare idealmente la città in cui si tenne il Concilio di Trento che ha lanciato la Riforma cattolica alla figura di uno dei massimi studiosi tedeschi della Riforma protestante. D’altronde Schilling ha un legame con l’Italia, e con Trento in particolare (con l’Istituto Storico Italo-Germanico della Fondazione Bruno Kessler e con l’Università) a partire dagli anni 80. Gli esiti del suo lavoro travalicano i confini della Germania di cui si è prevalentemente occupato, e i suoi temi sono sostanzialmente interdisciplinari, ciò che ha consentito a un intero Dipartimento di discipline umanistiche di riconoscersi in questa decisione. Infine, ha una forte sensibilità per i temi in grado di fornire chiavi di interpretazione storiografica forti, legati alla storia concettuale e all’individuazione di punti di svolta nello svolgimento della storia. 

Schilling è stato noto fino a ieri al pubblico italiano non particolarmente familiare con la lingua tedesca soprattutto per due opere pubblicate in traduzione italiana dal Mulino rispettivamente nel 1997 e nel 1999: due sintesi, che non si limitano a offrire in modo unitario una ricostruzione d’insieme di una nazione complessa e articolata come quella tedesca prima del compimento dell’unità nazionale, ma propongono nuove chiavi interpretative su due secoli e mezzo cruciali. Da domani gli italiani lo conosceranno anche per la traduzione della nuova biografia di Martin Lutero, pubblicata a Monaco da Beck nel 2012 e già assurta a caso nazionale, per l’accoglimento positivo o entusiastico pressoché unanime da parte della stampa e degli studiosi, e per la immediata diffusione presso un pubblico vasto. 

A partire da uno studio del 1978 sul conflitto fra un principe territoriale che voleva imporre il calvinismo sulle proprie terre e i suoi sudditi che intendevano difendere la libertà di praticare la confessione luterana, Schilling ha sviluppato la sua famosa teoria della confessionalizzazione, che ha condiviso con l’altro eminente storico tedesco di matrice cattolica, Wolfgang Reinhard. Nel corso dell’età moderna prìncipi e chiese delle tre diverse confessioni presenti nell’area tedesca (cattolica, luterana e calvinista) avrebbero cercato di consolidare su basi confessionali certe sia le istituzioni religiose, sia gli stati, e di uniformare i comportamenti di tutti i membri della società. Questo a causa della stretta interconnessione fra religione e politica, e fra Chiesa e Stato, che è una delle caratteristiche della prima età moderna. In particolare l’intervento congiunto dei due poteri, volto a trasformare tutti i membri della società in fedeli ortodossi e devoti, e in sudditi leali e obbedienti, attraverso l’introduzione di pratiche e norme pervasive, ha preso soprattutto ad opera di Schilling il nome di disciplinamento. E questo concetto gli ha consentito di spostare l’accento dalla Riforma come momento fondante della modernità, caro alla narrazione storiografica tradizionale soprattutto degli storici non cattolici, al periodo successivo, che va dalla pace di Augusta alla pace di Westfalia, la fine della Guerra dei Trent’anni. 

La coerenza dimostrata da questo modello ha consentito di estenderne le conclusioni a una situazione più ampia. Quindi non solo la confessionalizzazione ha dominato la discussione sugli studi di storia tedesca degli ultimi trent’anni, ma è un paradigma interpretativo che ha esteso la propria influenza a livello europeo, e anche in Italia. Nella sua estensione a situazioni diverse da quella dell’Impero il modello è stato sottoposto anche ad alcune critiche. Ma il principale merito di Schilling è stato quello di rispondere ogni volta, anziché con un possibile irrigidimento sulle proprie posizioni, con una notevolissima capacità di ammettere i punti critici e di adattare di conseguenza la propria visione, in un modo che tiene conto dei suggerimenti di ulteriori sfumature nella delineazione del quadro, ma che riesce a tener ferma la parte più consistente e più solida della propria costruzione. 

Le stesse caratteristiche manifestate nei suoi lavori finora ricordati sono presenti anche nelle sue ultime monografie. Nel 2008 la Brandeis University ha pubblicato in inglese le conferenze da lui tenute nel 2006 a Gerusalemme, in cui non si limita a sintetizzare i principali assunti della propria elaborazione, ma li colloca all’interno della Storia d’Europa vista nel confronto fra istanze neo nazionali e condizionamenti globali della cultura e dell’economia. 

Nel 2012 è uscita la sua già ricordata biografia di Lutero. Anche colleghi in passato critici nei confronti di alcuni suoi assunti hanno dovuto riconoscere che si tratta del più importante libro su Lutero scritto da decenni. Perché  segue il criterio che ha orientato anche tutta la sua direzione delle celebrazioni per il cinquecentenario: depurare la figura di Lutero dalle sovrapposizioni determinate da secoli di identità insieme confessionale, giustappunto, e nazionale, e vederlo come una figura storica compresa all’interno del suo tempo. Per cui quindi non solo Lutero non è più visto nella veste eroica e alla fine mitica che gli è stata cucita addosso da un’apologetica confessionale, o da un’ottica nazionalista, l’uomo che combatte da solo contro il Papato e contro l’Impero per vedere trionfare la giustizia, e che inoltre avvia da solo l’inizio della modernità, ma un uomo a tutto tondo, visto anche nelle sue contraddizioni e a volte nella compresenza di nature diverse.

Anche nella sua “Lectio magistralis”, dal titolo “1517. A Landmark in World History?” Schilling ha ripreso i temi a lui cari, sottolineando che certo il 1517 è stato considerato, a partire dai maggiori intellettuali tedeschi dell’800, come una delle “pietre miliari” della Storia. Ma che una distanza di 500 anni impone oggi di riconsiderare questa prospettiva da un punto di vista comparativo più ampio. In primo luogo lo stesso anno vide lo sviluppo anche di alcuni tentativi di Riforma da parte della Chiesa cattolica, basati anch’essi su una diversa considerazione del testo biblico ed evangelico (Contarini, Cisneros). In secondo luogo anche alcuni episodi nei rapporti dell’Europa con il mondo esterno (il contatto spagnolo con i Maya nello Yucatan, la missione portoghese in Cina, la presa del Cairo da parte degli Ottomani, il fallito tentativo dei portoghesi di impadronirsi della penisola arabica) determinarono la forma di importanti equilibri nella situazione mondiale, forieri di conseguenze. Quindi la pubblicazione delle 95 tesi di Lutero non fu il solo evento significativo di quell’anno fatidico. Ma fu il solo che produsse nel cuore dell’Europa occidentale un processo di differenziazione che avrebbe aperto potenti canali di cambiamento. Alcuni dei quali si espressero anche nella risposta di Riforma interna che la Chiesa di Roma diede alla sfida di Lutero con la conclusione del Concilio di Trento nel 1563, che insieme alla svolta protestante contribuì alla creazione di un cristianesimo più moderno. Quindi, in una specie di modello circolare della sua argomentazione, ha concluso Schilling, “Trento e Wittemberg vanno bene insieme”.