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ENERGIE RINNOVABILI SULLE ALPI: A CHE PUNTO SIAMO?

Il teleriscaldamento a biomassa in ambienti di montagna al centro della discussione nell’assemblea nazionale FIPER ospitata dall’Università di Trento

17 aprile 2015
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Maurizio Fauri
di Maurizio Fauri
Professore associato di Sistemi Elettrici per l'Energia presso il Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica dell’Università di Trento.

Fare il punto sul teleriscaldamento a biomassa nell’ambiente montano e individuare gli ostacoli a livello normativo e di politiche energetiche. Questi gli obiettivi del convegno “Spazio Alpino e Bio-economia: promuovere una gestione sostenibile dell’energia a favore delle risorse naturali e culturali del territorio”, che si è tenuto il 27 marzo scorso a Trento presso l’Auditorium del Dipartimento di Lettere e Filosofia.

Il convegno, organizzato da FIPER (Federazione Italiana dei Produttori di Energia da Fonti Rinnovabili), ha dedicato un primo momento ad alcune delle autorità politiche più vicine a questa tematica: Mauro Gilmozzi, assessore all’Ambiente della Provincia autonoma di Trento; Massimo Mucchetti, presidente Commissione Attività Produttive del Senato; l’onorevole Enrico Borghi, relatore della legge sulla Montagna; Albert Plangger, Commissione Affari Camera; Vittorio Prodi, Commissione Ambiente per l’Unione europea.

Il presidente di FIPER Walter Righini ha evidenziato che, secondo un’indagine condotta da FIPER, sarebbero ben 801 i Comuni delle zone montane non ancora metanizzati, dove però una rete di teleriscaldamento potrebbe costituire la soluzione ideale. Purtroppo, in Italia manca ancora una legge quadro su questa tematica e, di conseguenza, gli investimenti nel settore sono in una fase di stallo. Salvatore Lombardo, di INFRATEL [ndr: società in-house del Ministero dello Sviluppo Economico, soggetto attuatore del Piano nazionale Banda Larga e Progetto Strategico Banda Ultra Larga], ha sottolineato come le infrastrutture necessarie per la rete di teleriscaldamento sono anche sfruttabili per gli impianti a fibra ottica per una rete a banda ultralarga; così facendo sarebbe possibile raggiungere gli obiettivi previsti sia dal Piano Strategico BUL (Banda Ultra Larga) che dal Decreto sull’efficienza energetica.

Ma ci sono altri esempi che dimostrano come la politica italiana freni l’innovazione tecnologica e le risorse rinnovabili, anziché promuoverle. Giustino Mezzalira, Direttore Ricerca e Gestioni Agro Forestali – Veneto Agricoltura, ha mostrato come la superficie boschiva potrebbe essere vista in un’ottica strategica come laboratorio di innovazione e motore dello sviluppo locale. Il legname potrebbe essere utilizzato per la produzione di biomassa legnosa per il teleriscaldamento: utilizzando in maniera intelligente questa risorsa, non si andrebbe ad intaccare il verde dei nostri territori e si riuscirebbe a preservare un equilibrio ecosostenibile.

Recentemente in Versilia, riporta Righini, centinaia di alberi sono stati abbattuti dal vento. Secondo l’attuale normativa questi non si sarebbero potuti sfruttare come biomassa in quanto “rifiuti”; nonostante ciò, l’ARPAT Toscana è intervenuta sostenendo che, visto lo stato di emergenza, si potevano utilizzare. Questo è uno dei tanti esempi di come la politica italiana abbia poca lungimiranza e corra ai ripari solo di fronte al fatto compiuto, in situazione di urgenza.
Ma non ci si può sempre nascondere dietro l’inadeguatezza della politica: anche i cittadini debbono assumersi le proprie responsabilità cominciando con il cambiare modo di pensare e di agire. Ciò non è da sottovalutare in quanto, semplicemente grazie alla modifica di comportamenti e abitudini, è possibile ridurre i consumi di energia fino a ben il 30%.

Per contenere il surriscaldamento globale entro un incremento massimo di 2°C, la IEA (International Energy Agency) ha stabilito che la concentrazione di CO2 va limitata a 450 ppm (parti per milione). Per raggiungere questo obiettivo è necessario incrementare le fonti rinnovabili e gli interventi di efficienza energetica, grazie ai quali, solamente per l’Italia, si aprirebbe un mercato pari ad alcune di decine di miliardi di euro. Per realizzare questo cambiamento non basterà l’introduzione di nuove tecnologie, è necessario soprattutto un cambio sostanziale di mentalità che coinvolga l’intera società a tutti i livelli decisionali, da quello industriale a quello civile, fino alla Pubblica Amministrazione.