Immagini tratte dal film vincitore

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“NOWHERE PLACE” VINCE IL PREMIO SPECIALE STUDENTI AL TRENTO FILM FESTIVAL 2015

Gli universitari di Trento, Bolzano e Innsbruck premiano il cortometraggio della giovane regista olandese Susanne Opstal

6 maggio 2015
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di Elena Barichello, Marco Gianella, Ruben Lasen
Studenti dell’Università di Trento, hanno fatto parte della giuria studentesca congiunta delle Università di Trento, di Bolzano e di Innsbruck nell’edizione 2015 del Trento Film Festival.

Elena Barichello, Marco Gianella, Ruben LasenAnche quest’anno, il compito dell’assegnazione del premio speciale degli studenti delle Università di Trento, Bolzano e Innsbruck al 63° Trento Film Festival è stato affidato a una giuria di studentesse e studenti dei tre Atenei. I membri della giuria sono stati Ruben Lasen, Marco Gianella e Elena Barichello per l’Ateneo di Trento (ritratti nell'ordine nell'immagine a sinistra, foto archivio Università di Trento), Martina Ranedda, Giulia Lamerata e Asiyat Gamzatova per l’Università di Bolzano, Bianca Gasser, Christina Muigg e Sabrina Peer per Innsbruck. Tra giovedì 30 aprile e venerdì 1° maggio gli studenti hanno visionato ben venticinque tra film e cortometraggi di registi di età inferiore ai trentatré anni.

La scelta è stata ardua soprattutto per l’elevata qualità delle produzioni, anche se alla fine si è arrivati a un confronto tra il toccante film-documentario "Jeff Lowe’s Metanoia" di James Aikman sulla vita del famoso alpinista americano e il cortometraggio della regista olandese ventiquattrenne Susanne Opstal intitolato "Nowhere Place".

Al termine delle due giornate, non potendo premiare entrambi i film, la scelta del vincitore è ricaduta sul corto di Susanne Opstal.

NOWHERE PLACE

“Cosa pensi quando ti ritrovi a guardare il cielo di una notte senza nuvole, piena di stelle come mai prima d'ora?" 

Questa frase, che sentiamo sul finire dell'affascinante corto olandese "Nowhere Place", lascia in sospeso lo spettatore aprendo di fronte a lui immaginari tanto vasti quanto imperscrutabili sulle sue capacità e aspirazioni. Più che la semplice visione di un cortometraggio, la giovane regista olandese Susanne Opstal ci regala un viaggio sensoriale fatto di immagini e parole profonde, intrecciando sapientemente tre storie di vita accomunate da una presenza costante: l'essere umano come unica entità al mondo pronta a osare sempre l'impossibile.

La storia dell’alpinista Wilco van Rooijen segue il suo tentativo di conquistare una delle vette più alte del mondo, il Cho Oyu, dopo essere scampato a una tragedia sul K2 nel 2008, in cui perse tutte le dita dei piedi per congelamento.

Parallelamente seguiamo anche le testimonianze di Stephan Günther, pilota tedesco scelto con altri canditati per essere inviato su Marte nella missione Mars One con il compito di abitare e colonizzare il pianeta, consapevole dell’impossibilità di fare ritorno sulla Terra. 

Due semplici uomini e padri, rappresentati in tutta la loro forza e convinzione senza mai essere osannati ma che arrivano infine a farci percepire il loro lato più oscuro, più (dis)umano. 

Vediamo infatti Wilco van Rooijen annullare cinicamente lo spazio di condivisione e affetto con il figlio per concentrarsi unicamente sulla sua impresa. Allo stesso modo, Stephan Günther si sente completamente a suo agio nella consapevolezza di dover un giorno abbandonare la moglie, i figli e gli amici pur di realizzare il sogno più grande della sua vita, in grado di regalargli l’illusione di essere ricordato per aver fatto qualcosa di rivoluzionario.
 
Quello che davvero colpisce nell'intensa esperienza emozionale che la regista Opstal ci regala è la perfetta compresenza della terza narrazione: le immagini degli ultimi momenti prima del terribile massacro alla Columbine High School, non lontano da Denver, in Colorado, dove nel 1999 due studenti diciottenni - Eric Harris e Dylan Klebold - aprirono il fuoco uccidendo dodici alunni e un insegnante. Questo terzo racconto è sapientemente accompagnato da alcune frasi tratte dai diari dei due adolescenti prima della strage, che colpiscono in modo contrastante per la loro intensità, e per il fatto di legarsi indissolubilmente anche alle altre due storie. In questo modo si insinua nello spettatore una sensazione di ansia, tensione e straniamento che non lascia la presa nemmeno dopo i titoli di coda.

È davvero questa la sensazione che si prova nel voler superare i propri limiti? Quanto siamo disposti a sacrificare di noi stessi, degli altri, per essere qualcuno e allo stesso tempo ciò che vorremmo essere?