Un momento dell'incontro per la presentazione del volume di Stefania Cavagnoli "Linguaggio giuridico e lingua di genere"

Eventi

LA LINGUA ITALIANA AL FEMMINILE

Un incontro sul linguaggio giuridico e la lingua di genere

14 maggio 2014
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Barbara Poggio
di Barbara Poggio
Delegata per le pari opportunità dell’Università di Trento e coordinatrice del Centro Studi Interdisciplinari di Genere.

È possibile una simbiosi tra linguaggio giuridico e lingua di genere? Se ne è discusso recentemente in un incontro che ha avuto luogo presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’ateneo, in cui è stato presentato il volume di Stefania Cavagnoli, linguista dell’Università “Tor Vergata” di Roma, Linguaggio giuridico e lingua di genere. All’incontro, promosso dall’Università di Trento in collaborazione con il Centro Studi Interdisciplinari di Genere, sono intervenute oltre all’autrice la rettrice Daria de Pretis, l’assessora provinciale all’università e ricerca e alle pari opportunità Sara Ferrari e la presidente dell’Accademia della Crusca Nicoletta Maraschio. Ha moderato l’incontro il direttore del Corriere del Trentino Enrico Franco.

Quello del linguaggio di genere non è certo un tema nuovo. Già negli anni ’70 il dibattito femminista aveva individuato nel linguaggio proprio uno dei canali fondamentali di produzione e riproduzione delle diseguaglianze. In Italia il contributo più significativo era stato poi quello di Alma Sabatini, con Il sessismo nella lingua italiana, pubblicato nel 1987, in cui venivano proposte alcune raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, fatte proprie dalla stessa Presidenza dei Ministri, ma in realtà poi poco praticate sia all’interno delle istituzioni che della comunicazione pubblica.

L’invito a porre attenzione al linguaggio in una prospettiva di genere incontra in effetti ancora oggi molte resistenze. Da chi solleva il problema della scarsa funzionalità o della dimensione estetica (“suona male”), a chi sceglie addirittura i toni della delegittimazione e del sarcasmo, fino a chi pensa che si tratti di una questione secondaria, mentre altri sarebbero i veri problemi su cui intervenire. In realtà, come è stato più volte sottolineato nel corso dell’incontro, la questione del linguaggio non è certo accessoria, ma assume anzi una valenza significativa nella costruzione di specifici rapporti di genere all’interno della società.

Il linguaggio è infatti – così come il genere – una costruzione culturale e sociale, ma al contempo anche uno strumento e una pratica in grado di influenzare e modellare la società e le relazioni tra gli individui al suo interno. Ciò vale tanto più per il linguaggio giuridico, che è proprio, per antonomasia, il linguaggio che norma, che delimita i confini della legittimità. E quindi, più di altri linguaggi costruisce la realtà, definendo e normando i rapporti della società civile, attraverso l’imposizione di regole e sanzioni. Non essendo neutro rispetto al genere, perché prodotto e riflesso di una specifica cultura, tuttora connotata da rilevanti asimmetrie, tende a sua volta a riprodurle.

Queste considerazioni emergono con evidenza dalla riflessione sviluppata da Stefania Cavagnoli, che spazia dalla considerazione degli articoli pubblicati sulla stampa italiana, all’analisi di vari testi giuridici – tra cui la Costituzione, il Codice penale e il Diritto di famiglia – alla ricognizione di alcune esperienze esemplari presenti in altri Paesi, dove l’attenzione al rispetto delle differenze è senza dubbio più presente e ormai consolidata.  I molti esempi forniti e l’accurata analisi dei testi consentono di mettere in luce come l’attuale linguaggio giuridico, spesso improntato all’utilizzo del cosiddetto maschile inclusivo, tenda a produrre una visione distorta della realtà, oltre che a compromettere la comprensibilità del testo.

Trasformare il linguaggio, quello giuridico ma non solo, in una prospettiva di genere, sostiene Stefania Cavagnoli, rappresenta una strategia per modificare situazioni di squilibrio di potere, nella direzione di una uguaglianza sostanziale e non solo formale. E questo vale sia per i nuovi diritti, che necessitano di nuove parole, così come per i vecchi ruoli, che possono oggi assumere diverse configurazioni. Le regole in realtà già esistono, basta solo applicarle.