Credits: Luca Chistè, "Ex carcere di via Pilati" ©

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DENTRO LE MURA

Un dibattito a più voci sull’emergenza carceri promosso dall’associazione studentesca Elsa Trento

25 maggio 2016
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DENTRO LE MURA
di Veronica Manca
Dottoranda presso la Scuola di Studi Giuridici Europei e Comparati dell’Università di Trento.

Con il convegno "Il carcere può rieducare? Un’ambiziosa scommessa di dialogo e di dibattito intorno all'esecuzione penalegli studenti dell’associazione Elsa Trento hanno aggiunto un ulteriore tassello alle numerose iniziative già presenti sul territorio intorno al tema dell’emergenza carceri. Si tratta di una questione di estrema attualità, già evidenziata dalla pronuncia Torreggiani del 2013, con la quale la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. La Corte evidenziava una situazione patologica ed endemica di sovraffollamento carcerario qualificata come forma di tortura e trattamento inumano e degradante. Al 31 gennaio 2013, a fronte di una capienza regolamentare pari a 47.040 unità, nelle carceri italiane erano presenti 65.905 detenuti con un’eccedenza di 18.865 persone (con un tasso di sovraffollamento medio del 140%).

Una situazione drammatica, aggravatasi nel corso degli anni, che vede troppo spesso carceri al collasso con condizioni di vita inadeguate, episodi di violenza, soprusi e suicidi (con una media di 50 suicidi l’anno). A tre anni di distanza il quadro è notevolmente mutato, ma nuove criticità si profilano all’orizzonte. Sebbene il legislatore sia intervenuto sull’assetto normativo in prospettiva deflazionistica, riducendo il numero di detenuti presenti nelle carceri (al 31 aprile 2016 i detenuti presenti erano 52.848 a fronte di una capienza di 49.504 unità), il sistema penitenziario si presenta ancora oggi slegato rispetto a concrete possibilità di reinserimento del detenuto nel tessuto sociale. L’implementazione delle misure alternative e il potenziamento di una graduale responsabilizzazione del detenuto sembrano essere le vie auspicabili per l’attuazione della funzione rieducativa della pena, ai sensi dell’articolo 27 della Costituzione. Obiettivi che risultano difficilmente praticabili, considerato che l’Ufficio dell’Esecuzione Penale Esterna (UEPE) è sottodimensionato (in media 2-3 unità di personale a fronte di 500 detenuti), così come non è garantito un numero adeguato di personale “rieducativo” (come assistenti sociali, educatori). A queste carenze strutturali in parte supplisce il volontariato penitenziario: si calcola infatti un vero e proprio “esercito” di 50.000 volontari.

Una pena detentiva “giusta”, conforme alla sua funzione rieducativa, nonché ai diritti umani del detenuto, è stata il file rouge del convegno. La professoressa Antonia Menghini, docente di Diritto penitenziario dell’Università di Trento, ha precisato che la legge sull’ordinamento penitenziario del 1975 individua espressamente il detenuto non più come soggetto passivo dell’esecuzione penale, ma quale titolare di diritti e destinatario del trattamento penitenziario e rieducativo. Nella lunga marcia per l’affermazione dei diritti del detenuto e della loro tutela, un ruolo fondamentale è stato svolto dalla Corte Costituzionale che, con due sentenze significative (212/1997 e 26/1999), ha ribadito che lo status di detenuto non preclude la titolarità di diritti fondamentali e la possibilità che gli stessi siano fatti valere in giudizio. La Corte ha inoltre esteso la tutela giurisdizionale a tutti i diritti, anche non attinenti a beni inviolabili. La relatrice ha tracciato una panoramica delle varie forme di reclamo conosciute nel nostro ordinamento e, traendo spunto anche dalle due sentenze Sulejmanovic e Torreggiani della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ha messo in luce alcuni snodi problematici. In particolare ha sottolineato la necessità di individuare correttamente le posizioni soggettive tutelabili e i correlativi strumenti di tutela e di definire l’ampiezza del controllo e dei poteri riconosciuti alla Magistratura di Sorveglianza. Infine, alla luce della recente decisione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa che ha promosso le riforme attuate dall’Italia archiviando l’affaire Torreggiani, la relatrice ha proposto una riflessione sulla reale efficacia dei nuovi istituti contemplati nell’ordinamento penitenziario: il reclamo giurisdizionalizzato e il rimedio risarcitorio.

Le criticità dell’attuale sistema penitenziario sono state sollevate all’unanimità dai vari relatori. Il magistrato Francesco Maisto ha auspicato che il legislatore intervenga per adattare la risposta punitiva alla gravità del reato, residuando la soluzione del carcere solo laddove altre misure risultino inadeguate. Valerio Pappalardo, direttore della Casa Circondariale di Trento, ha inoltre evidenziato le principali problematiche della realtà locale: 342 detenuti, rispetto ad una disponibilità di 120 celle, a fronte di una carenza di personale, sia della polizia penitenziaria sia di operatori specializzati; assenti, inoltre, serie possibilità di reinserimento nella società e carenti opportunità lavorative per i detenuti. La popolazione carceraria è destinata ad aumentare vista la previsione di una sezione “speciale” per i detenuti autori di reati a sfondo sessuale. La mancanza di figure professionali specializzate (come assistenti sociali e mediatori culturali) rischia di compromettere la riuscita del trattamento rieducativo e la pena finisce per essere esclusivamente una forma di controllo passivo totalizzante. Si auspica, quindi, la nomina del Garante dei detenuti anche per la realtà trentina, a oggi assente, e si invita la collettività a prendersi carico del “problema carcere” lungo un percorso culturale e giuridico che sia in grado di rendere effettivo il reinserimento nella società.

L’evento è stato organizzato da Elsa Trento (The European Law Students’ Association) e dall’Ordine degli Avvocati di Trento con il patrocinio della Camera penale di Trento, di Apas (Associazione Provinciale di Aiuto Sociale per i detenuti, gli ex-detenuti e le loro famiglie) e dell’Università di Trento.
Ha moderato il dibattito il professor Gabriele Fornasari, ordinario di Diritto penale presso l’Università di Trento; sono intervenuti il dottor Valerio Pappalardo, il magistrato Francesco Maisto, la professoressa Antonia Menghini, l’avvocato Fabio Valcanover e l’avvocato Andrea de Bertolini, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Trento.