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Formazione

La libertà di studiare

Una convenzione tra Università e Casa circondariale di Trento per promuovere la formazione di chi si trova in carcere

22 febbraio 2024
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Di Sara Carneri e Daniele Santuliana
Ufficio eventi / Ufficio stampa e relazioni esterne

«Ho deciso di iscrivermi per avere cura di me stesso. Lo studio per me è strumento di libertà consapevole, di memoria, significativa e complessa. Il suo ruolo nella mia vita è sempre stato centrale». Poche parole, quelle che arrivano da V. detenuto studente iscritto alla laurea magistrale in Filosofia, ma cariche di significato. Descrivono bene il senso di una scelta, quella di iniziare o proseguire gli studi e di impiegare un tempo di attesa in modo diverso, costruttivo, come un nuovo inizio. UniTrentoMag raccoglie le esperienze di chi ha potuto iscriversi all’Università di Trento grazie a una convenzione tra Università di Trento e Provveditorato regionale per l'amministrazione penitenziaria di Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige nella Casa circondariale di Trento.

Le impressioni dei detenuti e delle detenute, raccolte alla Casa circondariale di Trento, si assomigliano nell’enfasi sulla volontà di riscatto: «Volevo ripartire da zero. Ricostruire me stessa – spiega M., anche lei studentessa in Filosofia. Lo studio è fondamentale per me. L’ho scelto per me stessa. Credo che la formazione universitaria mi servirà, una volta tornata in libertà».

Ma lo studio in carcere può essere un’occasione di ridare una chance anche a vecchi progetti. È il caso di M., iscritto a Ingegneria informatica: «Da giovane avevo già provato a iscrivermi a un corso di laurea, ma avevo dovuto abbandonare per motivi economici. Ora ho tempo. Ed è un peccato sprecarlo. Lo studio per me è un modo per tenere la mente allenata. In carcere si smette di fare qualsiasi cosa e voglio evitare l'apatia».

Le difficoltà dello studio in carcere sono legate soprattutto alla frequenza dei corsi e alla fruizione dei materiali di studio. Le detenute e i detenuti vorrebbero una ancora maggiore interazione con l’Università. E poi il grande problema della solitudine legata all'ambiente e alla mancanza di condivisione della loro esperienza di studio con le altre persone. Ma per altri gli ostacoli sono anche di altra natura: «È impossibile trovare il silenzio per potersi concentrare – ammette M. – e non ci sono persone con le competenze necessarie per fornire un aiuto».

Proprio per far fronte a questo senso di abbandono è stata ideata e sostenuta la convenzione siglata nell’estate 2022. «Chi studia in carcere non deve sentirsi abbandonato, ma va anzi seguito e accompagnato» commenta Antonia Menghini, docente di Diritto penale e penitenziario all’Università di Trento e Garante provinciale dei diritti dei detenuti. «Occorre lavorare su tre fronti. Innanzitutto, bisogna raccogliere materiali che permettano di coinvolgere realmente chi studia in carcere nella vita universitaria, a partire dalle video-registrazioni delle lezioni. Sentire la voce del docente è una piccola cosa, ma può fare la differenza. Poi bisognerebbe, in prospettiva, consentire la partecipazione alle lezioni da remoto: fino a qualche anno fa era fantascienza, ma ora la tecnologia consente di farlo. Infine è necessario investire sul ruolo di tutor, individuando queste figure anche tra dottorandi, dottorande e docenti».

Al momento le detenute e i detenuti iscritti all’Università di Trento sono cinque. «Può sembrare un numero basso – spiega Menghini – ma bisogna considerare la composizione della popolazione carceraria di Spini di Gardolo. Le case circondariali sono destinate alle pene non definitive o a quelle definitive di durata inferiore a cinque anni. Quindi, c’è un turn over molto elevato, difficilmente compatibile con un percorso universitario. Due delle persone che si sono iscritte all’università da detenute stanno proseguendo il loro percorso fuori dal carcere. La situazione è molto diversa nelle case di reclusione destinate alle pene più lunghe. C’è poi da dire che larga parte della popolazione carceraria di Trento è formata da persone poco alfabetizzate, pertanto è maggiore la richiesta per percorsi formativi di grado inferiore, dalla scuola primaria in poi».

Nel carcere di Spini, non c’è solo Università di Trento: l’esperienza di studio universitario si allarga anche verso altri atenei, seguendo gli interessi dei detenuti. D., ad esempio, è iscritto alla magistrale in Urbanistica e pianificazione per la transizione allo Iuav di Venezia e racconta: «Avevo deciso di iscrivermi a un corso di laurea per concretizzare le mie passioni, per la carriera, un futuro migliore e tranquillo, e per rendere soddisfatta la mia famiglia. Oltre ai professori, in questo percorso mi ha sostenuto la mia meravigliosa mamma, la persona più speciale. È grazie a lei che lo studio è sempre stato presente nella mia vita. Per me la formazione universitaria è importantissima per poter tornare in libertà, per poter avere un lavoro tranquillo»

Un altro passo importante nella formazione universitaria sono tirocini e stage, sulla cui attuazione in carcere rimangono però ancora vari ostacoli: «Non c’è incompatibilità formale – rassicura Menghini – ma di fatto è molto difficile, se non impossibile, frequentare un tirocinio mentre ci si trova in carcere. Per questo sconsigliamo di frequentare un corso universitario che preveda tirocini obbligatori fin dai primi anni. Anche considerando i permessi premio sarebbe difficile. In altri istituti penitenziari, in Italia, la situazione è diversa. A Torino e Bologna, ad esempio, ci sono sezioni dedicate agli studenti universitari e i docenti hanno la possibilità di entrare in carcere per fare lezione. A Trento, siamo riusciti a portare in carcere i video delle lezioni registrate durante il Covid. È un punto di partenza, ma la strada è ancora lunga».

Cosa prevede la convenzione
La convenzione permette a detenuti e detenute la possibilità di non pagare le tasse universitarie, o di pagarle in modo ridotto. Questo meccanismo è comunque legato al rendimento. Bisogna conseguire un numero minimo di crediti all’anno: un modo per valorizzare l’impegno reciproco, dell’Università e di chi studia.
L’amministrazione penitenziaria facilita la frequenza mettendo a disposizione spazi dedicati per lo studio. Viene consentito di tenere un computer in cella e chi si iscrive a un corso di laurea viene affiancato da una figura di tutor. Per il momento il tutoraggio è affidato quasi esclusivamente a docenti del Liceo Rosmini di Trento ma, in futuro, si sta ragionando su una possibile apertura su base volontaria ad altre figure, ad esempio a chi frequenta un dottorato.