I primi tre dottorati in Susteems ©UniTrento ph.Pierluigi Cattani Faggion

Formazione

Oltre il greenwashing

Essere responsabili sul serio. La missione del dottorato in Sostenibilità: economia, ambiente, management e società

24 aprile 2024
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Alessandra Saletti
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Da cosa sappiamo, a come lo facciamo. Il tutto per un obiettivo: attuare un vero cambiamento nel modo di essere sostenibili in azienda, nelle organizzazioni e nei territori. Così funziona il circolo virtuoso della sostenibilità proposto dal corso di dottorato ‘Susteems’ dell’Università di Trento. In occasione della proclamazione dei primi tre dottori di ricerca, UniTrentoMag è andato a vedere come funziona la sostenibilità che funziona.

Essere green è una dichiarazione di intenti, un impegno o magari solo una questione di facciata? Ci si interroga spesso sulle reali intenzioni che muovono le scelte messe in atto da aziende, istituzioni e anche da singoli personaggi pubblici. Perché essere sostenibili oggi non è solo un atto di responsabilità nei confronti del pianeta e delle persone che lo abitano, ma anche una leva reputazionale importante e un fattore determinante per convincere consumatori sempre più attenti e sensibili al tema. 
Le aziende lo sanno e corrono ai ripari cercando nuove figure professionali che la sostenibilità la sanno costruire davvero. Secondo il “Global Green Skills Report 2023” redatto da LinkedIn, nell’ultimo anno è infatti cresciuta la domanda di “green skills” e tra i principali settori interessati ci sono la produzione energetica, i trasporti e la finanza. A capire l’aria che tira in fatto di sostenibilità è stata qualche anno fa l’Università di Trento che – tra i primi atenei in Italia a muoversi in questa direzione – ha dato vita a un dottorato di ricerca specifico in Sostenibilità: economia, ambiente, management e società (Susteems). Oggi il nuovo dottorato proclama i primi tre neodottori – Akylai Anarbaeva, Marco Compagnoni e Alessia Zoppelletto – specialisti della sostenibilità che potranno mettere a frutto le competenze acquisite nella ricerca o nei nuovi ‘green jobs’. 
«Essere sostenibili in azienda è sempre più importante. Questa consapevolezza sta crescendo nelle aziende, ma non solo. è un’esigenza che manifestano sempre più anche i consumatori, gli istituti finanziari, i policy makers, i fornitori» spiega la dottoressa di ricerca Alessia Zoppelletto. «In questi anni abbiamo assistito a un vero boom di ricerche per ruoli di gestione della transizione digitale e sostenibile, come le figure di chief digital officer o di corporate social responsability manager. La presenza di queste nuove figure fa cambiare la struttura organizzativa stessa delle aziende, perché spesso si interfacciano in modo diretto con la dirigenza e allo stesso tempo sono trasversali, cioè intervengono in più dipartimenti. E toccare le regole prestabilite, la cultura aziendale, le job position richiede uno sforzo di adattamento e di gestione anche della possibile resistenza al cambiamento. Ecco perché il tema della sostenibilità va inteso nella sua complessità e nelle sue relazioni trasversali con gli altri passaggi del processo produttivo». 
Nella sua tesi di dottorato Zoppelletto descrive la transizione verso la sostenibilità come una delle sfide più importanti per le imprese, dalle multinazionali alle new ventures digitali. «Nelle singole organizzazioni, nelle reti di impresa, nelle filiere, negli ecosistemi organizzativi: la sostenibilità è una questione di filiera. Si devono progettare bene e controllare tutti i passaggi in chiave sostenibile, altrimenti la certificazione finale del prodotto perde di significato. Questo però richiede un cambio di paradigma». 
Un cambio di mentalità che non tutti sono già maturi per fare: «Certamente le start up partono con maggiore consapevolezza, spesso perché dietro ci sono le nuove generazioni, più attente a questi aspetti. Ma poi bisogna vedere nel più lungo periodo, se i loro modelli di business resistono alla sfida della sostenibilità nell’incontro con le esigenze di mercato. Molto si sta comunque facendo a vari livelli. Di certo la pressione a fare bene in questi aspetti cresce all’aumentare della dimensione aziendale e dell’esposizione pubblica». 
La questione si complica quando poi sul tavolo non ci si occupa solo della transizione green ma anche di quella digitale. «Il problema viene amplificato» commenta Marco Compagnoni, che nella sua tesi di dottorato esamina proprio quella che viene definita la “Twin Transition” in tutte le sue possibili conseguenze. «Le aziende non possono preoccuparsi solo di essere sostenibili. Devono anche reagire e stare al passo con l’evoluzione tecnologica per mantenere la loro competitività sul mercato. Pensiamo ad esempio all’importazione delle ‘terre rare’, un gruppo di elementi chimici, essenziali nella produzione di componenti per vari usi, ad esempio per la fabbricazione di motori elettrici e le pale eoliche. L’Europa le importa dalla Cina per il 95% del suo fabbisogno. E da anni il mercato registra un’impennata nella domanda con conseguente aumento dei costi. Il problema è che la loro estrazione dai materiali radioattivi a cui sono legate è un’operazione molto impattante per l’ambiente, anche per via dell’ingente consumo di acqua che richiede. Su questo – come su tante altre importazioni da paesi in via di sviluppo – il controllo è molto più limitato. Ecco perché è importante impegnarsi a trovare soluzioni di filiera». 
Una possibile risposta potrebbe venire ancora una volta dal ripensamento dalle basi: «Occorre investire molto di più in un approccio basato sull’economia circolare. Sostituire i materiali e riciclare quelli che già ci sono non è solo uno slogan. Bisogna seguire tutte le fasi: prevedere i rischi legati alle tecnologie, seguire passo per passo l’iter produttivo in tutti i suoi snodi e ragionare fin da subito sulle risorse da rimettere in circolo dagli scarti di lavorazione una volta concluso l’iter produttivo. Aspetti che richiedono attenzione e competenze nella progettazione». 
Proprio su questa trasversalità di approccio insiste il dottorato di ricerca Susteems attivato da UniTrento: «Se molto spesso in questi percorsi di formazione avanzata e di ricerca si punta ad una iperspecializzazione, qui abbiamo fatto una scelta diversa, ancora più ambiziosa» chiarisce Roberta Raffaelli, professoressa al Dipartimento di Economia e Management e coordinatrice del dottorato. «Per occuparsi di sostenibilità non bastano solide competenze disciplinari, che peraltro non mancano nel nostro percorso. Serve un approccio globale alla questione, un coinvolgimento a tutti i livelli. Ce lo ricorda anche GreenComp, il quadro europeo delle competenze per la sostenibilità che insiste sull’interdisciplinarietà ma anche su tre abilità chiave che è necessario sviluppare: pensiero sistemico, pensiero critico e definizione, inquadramento o formulazione del problema (il cosiddetto problem framing)». 
Competenze che i primi tre dottorati hanno acquisito e che ora porteranno nel mondo della ricerca e delle imprese. Dopo vari contatti con aziende del territorio e nazionali per stendere il proprio progetto di dottorato, Alessia Zoppelletto e Marco Compagnoni proseguiranno la ricerca nel settore della sostenibilità con un post-doc rispettivamente all’Università di Verona e all’Università di Milano Bicocca. Akylai Anarbaeva invece ha già trovato la sua collocazione lavorativa proprio grazie alla borsa finanziata dall’azienda Gpi che le ha permesso di frequentare il dottorato Susteems e di condurre una tesi elaborando un set di metriche personalizzate capaci di misurare l’impatto sociale delle tecnologie sanitarie sviluppate dall’azienda.