Un momento dell'incontro alla BUC (foto archivio UniTrento).

Formazione

FRANCESCO DAL CO RACCONTA RENZO PIANO

L'incontro con gli studenti di Ingegneria edile-architettura

13 febbraio 2017
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Cristiana Volpi
di Cristiana Volpi
Ricercatrice presso il Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica (DICAM) dell'Università di Trento.

Non ci poteva essere luogo più adatto degli spazi della nuova BUC (Biblioteca Universitaria Centrale) per il racconto di Francesco Dal Co, storico dell’architettura e direttore del periodico Casabella, sui paradossi che hanno contraddistinto la costruzione del Centro Nazionale d’arte e di cultura Georges Pompidou di Parigi. L’edificio, di cui il 31 gennaio 2017 si sono festeggiati i quarant’anni dall’inaugurazione, ha costituito infatti la prima esperienza per Renzo Piano nel campo della progettazione di biblioteche, come lo stesso architetto ha ricordato durante la prolusione all’anno accademico 2016-17 tenuta presso l’Università di Trento. 

Prodotto del clima sociale e politico che ha caratterizzato la Francia alla fine degli anni Sessanta, Beaubourg, dalla denominazione dell’area scelta per la sua ubicazione, è tuttora uno dei monumenti più visitati della capitale. Ma negli intenti iniziali, chiaramente espressi nel bando di concorso e nel progetto del 1971, la nuova Casa della cultura nazionale, fortemente voluta dall’allora Presidente della Repubblica Georges Pompidou, allo scopo di riaffermare il primato della Francia nel settore della cultura e delle arti, non doveva essere un monumento; lo è però diventata nel corso degli anni agli occhi dei tanti osservatori, a dimostrazione del ruolo che il tempo involontariamente riveste come grande “costruttore”. È questo solo il primo dei paradossi per un edificio considerato un’icona della modernità del XX secolo, ma in realtà realizzato facendo ricorso a tecniche ottocentesche quali la forgiatura, con cui sono state prodotte, in stabilimenti tedeschi (altro paradosso), le gerberettes, ovvero gli elementi di collegamento in acciaio tra le travi orizzontali e i montanti verticali, frutto di invenzioni statiche messe a punto nel secolo precedente per ponti e viadotti. Parimenti, il principio della modularità e il sistema di montaggio impiegati presentano evidenti similitudini a livello concettuale con quelli utilizzati per la costruzione, a partire dal 1853, delle Halles. Questi grandi mercati parigini sono stati eretti su progetto di Victor Baltard e Félix Emmanuel Callet non lontano dal plateau Beaubourg, nell’ambito del radicale piano di riforma urbana promosso sotto il governo di Napoleone III e in seguito demoliti, quasi contemporaneamente alla decisione di intraprendere l’edificazione del nuovo centro culturale.

Ciononostante è proprio la struttura, nata da una sapiente ricerca di equilibrio e leggerezza, a conferire al Centre Pompidou la sua immagine di “macchina” moderna, in cui tutte le parti sono ben definite ed esibite, anche attraverso l’uso del colore che manifesta le forme, alla maniera dell’avanguardia costruttivista. È quanto emerge fin dai primi disegni, che hanno consentito al progetto di prevalere su 681 concorrenti: vinse il concorso, infatti, il gruppo formato dai giovani architetti di origine italiana Renzo Piano, Richard Rogers e Gianfranco Franchini e da alcuni ingegneri dello studio britannico Ove Arup & Partners, tra i quali Peter Rice, autore, in precedenza, dei complessi calcoli delle vele della Sydney Opera House. Malgrado le modifiche apportate al progetto iniziale, che privano le facciate del carattere di strumento di comunicazione, Beaubourg rimane un’enorme “macchina”, dove viene mostrato tutto ciò che normalmente in un’opera di architettura non si vede, a cominciare dai condotti, attraversati da flussi, sia fisici che immateriali; in questo modo gli spazi interni risultano liberi e adatti ai cambiamenti, come richiesto dai diversi usi cui una Casa della cultura e delle arti moderna è preposta. 

La peculiare configurazione che ne ha fatto il simbolo della modernità di un’epoca, al pari di quanto è accaduto alla Tour Eiffel, è stata, tuttavia, oggetto di numerose critiche: anche il Centre Pompidou, infatti, è stato accusato di costituire una minaccia all’insuperabile (e intatta) bellezza della città. In realtà, l’opera di Piano, Rogers, Franchini e Ove Arup & Partners ha perfettamente raggiunto lo scopo per il quale è stata realizzata, riaffermando il primato di Parigi a livello estetico e, al contempo, ricordando che questo primato è l’esito di continue trasformazioni, come dimostra la storia delle Halles: citando Karl Kraus, “tutto ciò che è vecchio un tempo era nuovo”. 

L’incontro con Francesco Dal Co si è svolto il 25 gennaio 2017 presso la Biblioteca Universitaria Centrale (BUC) dell’Università di Trento. Vi hanno preso parte gli studenti del corso di laurea in Ingegneria edile-architettura e in particolare quelli iscritti al corso di Storia dell’Architettura Moderna con Laboratorio, tenuto da Cristiana Volpi.