Robert Sudgen, foto archivio Università di Trento

Formazione

RAZIONALITÀ E BENESSERE DEGLI INDIVIDUI

Nella lectio magistralis del professor Robert Sudgen una riflessione su comportamenti razionali e psicologia umana nei modelli economici

28 gennaio 2015
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Marco Faillo
di Marco Faillo
Ricercatore presso il Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento.

Lo scorso 22 gennaio, il professor Robert Sugden della University of East Anglia (UK), ha tenuto, presso la Scuola di Scienze Sociali dell’Ateneo, una lectio magistralis dal titolo “Preference purification and the inner rational agent: a critique of the conventional wisdom of behavioral welfare economics”.

Il tema affrontato nella lezione è di grande importanza per il dibattito interno alle scienze sociali sulla relazione tra teorie descrittive, che ci dicono come gli esseri umani si comportano, e teorie normative, che invece ci aiutano a identificare criteri per definire i comportamenti che permettono di aumentare il benessere degli individui e della società.

In economia, ha spiegato Sugden, questa relazione risulta essere conflittuale. L'individuo descritto nei manuali usati dai nostri studenti, e che è anche alla base della teoria economica normativa, è un essere perfettamente razionale, capace di valutare un'infinità di opzioni e di scegliere quella che gli garantisce il massimo livello di benessere. Ma l'evidenza raccolta nel corso degli anni dagli economisti sperimentali e comportamentali ha dimostrato che gli esseri umani sono solo limitatamente razionali, dispongono di scarse informazioni, hanno capacità cognitive ridotte e scarsa capacità di autocontrollo. Una teoria normativa che presuppone individui iperrazionali è dunque in conflitto con ciò che le persone reali fanno. E ciò costituisce un serio problema, non solo a livello teorico, ma anche in termini di pianificazione economica e sociale.

Una possibile soluzione a questo problema è stata proposta nel 2008 da Richard Thaler e Cass R. Sunstein in un testo che ha avuto un grande successo, dal titolo “Nudge”, tradotto in italiano come “La spinta gentile”. I due autori partono dalla constatazione che spesso ci capita di compiere azioni e di prendere decisioni che hanno effetti negativi sul nostro benessere. Gli esempi sono molti, dalle scelte alimentari a quelle previdenziali, al consumo di tabacco e alcool. Per aumentare il benessere degli individui si dovrà cercare di indurli a fare quello avrebbero fatto se non fossero stati limitatamente razionali. E questo risultato si può ottenere attraverso “spinte gentili”, che permettono di correggere gli “errori” più comuni che le persone compiono nel prendere decisioni. Un semplice esempio di questa strategia, applicata alla vendita di alimenti, è quello di mettere i cibi più sani bene in vista e quelli meno sani in posti più difficili da raggiungere. In questo modo, la tendenza a scegliere i prodotti immediatamente disponibili, che costituisce una “deviazione” dalla razionalità in senso economico, indurrebbe invece gli individui a compiere un'azione che produce un beneficio per sé stessi.

La critica di questo approccio ha rappresentato il cuore della lezione di Sugden, il quale ha dimostrato che la strategia usata dai sostenitori della teoria della “spinta gentile” poggia su fondamenta piuttosto fragili. In essa, infatti, l'individuo è concepito come un essere perfettamente razionale imprigionato in un guscio di irrazionalità, che, una volta rimosso grazie a un intervento dall'esterno, permette di scegliere ciò che è compatibile con i suoi veri obiettivi. Questa rappresentazione, ha fatto notare Sugden, ha come principale limite quello di prendere poco sul serio la psicologia umana, ridotta a ciò che interferisce con la razionalità perfetta, di cui invece non viene fornita alcuna spiegazione in termini psicologici. L'individuo prigioniero del guscio di irrazionalità è quello descritto nei libri di testo e i sostenitori della spinta gentile non ci dicono nulla sui suoi processi mentali, quindi non c'è modo di stabilire quali siano le sue reali preferenze e i suoi reali obiettivi. In mancanza di questa spiegazione è impossibile fondare una teoria normativa proprio perché non sappiamo quale scelta produrrà maggiori benefici per l'individuo. 

Sugden ha concluso facendo notare che l'imperfezione sta dunque nei nostri modelli e non nei processi decisionali che cerchiamo di descrivere. Possiamo affrontare questi problemi solo attraverso una riformulazione delle teorie che tenga conto della complessità della psicologia umana. Ma questo obiettivo è ancora lontano dall'essere raggiunto.