Silvio Garattini | Foto archivio Università di Trento

Formazione

A LEZIONE DA SILVIO GARATTINI

Ha parlato di etica e ricerca a studenti e studentesse di Giurisprudenza. Intervista al fondatore dell’Istituto Negri

30 marzo 2018
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di Marinella Daidone
Lavora presso l'Ufficio Web, social media e produzione video dell'Università di Trento.

Silvio Garattini, quasi un mito nel campo della ricerca farmacologica. Fondatore (nel 1963) e direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche "Mario Negri". Fondatore dell'European Organization for Research on Treatment of Cancer. Autore di molte centinaia di lavori scientifici pubblicati in riviste nazionali ed internazionali e di numerosi volumi nel campo della farmacologia. 
Silvio Garattini è stato ospite della Facoltà di Giurisprudenza, dove ha tenuto una lezione del ciclo Meeting the Expert intitolata “La ricerca clinica: criticità e prospettive”, nell'ambito del modulo Jean Monnet sul Biodiritto europeo (responsabili Carlo Casonato e Simone Penasa).

Professor Garattini, lei ha dedicato la sua vita alla ricerca. Perché è così importante la ricerca clinica?
La ricerca è importante indipendentemente dalla sua denominazione perché fa parte dell’istinto dell’essere umano conoscere il mondo, interpretare le leggi generali e capire come sono fatti i materiali, i vegetali, gli animali, l’uomo. È una grande sfida. Io “purtroppo” ho un lungo chilometraggio dal punto di vista della ricerca. Ho cominciato a occuparmi di ricerca da studente di medicina nel 1952 e da allora il mio lavoro è stato sempre dedicato alla ricerca nel campo dei farmaci sia a livello sperimentale, in laboratorio con gli animali da esperimento, sia organizzando studi clinici controllati, che sono quelli che permettono di stabilire l’efficacia di qualsiasi trattamento. Penso che sia stato, tutto sommato, un grande divertimento quello di potermi occupare di ricerca e anche un grande privilegio che auguro a molti. Tutti dovrebbero, nel loro iter culturale e professionale, trascorrere qualche anno in un laboratorio di ricerca perché è la ricerca che permette di avere spirito critico e razionalità nell’affrontare i problemi. Nel nostro Paese ne abbiamo molto bisogno perché la scienza non fa parte della nostra cultura che è ancora di tipo letterario, filosofico o giuridico; la scienza è considerata qualcosa che dà benefici, ma non come parte della conoscenza. La nostra società, a partire dal sistema scolastico, non ha ancora incorporato la scienza. Nelle pagine culturali dei giornali non c’è mai un articolo scientifico, la scienza viene trattata in una pagina a parte. Credo che ci sia molto da fare già a partire dagli asili, ma è chiaro che le università hanno una grande importanza nel far accettare la scienza come parte della cultura. 

Quali problemi pone la sperimentazione di un nuovo farmaco al medico e al paziente?
Pone molti problemi. Intanto occorre riaffermare l’idea che la ricerca clinica non può essere un punto di partenza, ma deve essere un punto di arrivo. Bisogna arrivare alla sperimentazione clinica sulla base di una serie di dati raccolti che rendono verosimile, o comunque probabile, il fatto che un determinato trattamento, sia un farmaco o altro, abbia poi una valenza clinica. Non dimentichiamoci che i pazienti non vanno sottoposti a qualsiasi idea si abbia in mente. Ci deve essere una determinata documentazione e questo si fa con un lungo iter per stabilire l’efficacia, partendo da studi in silico, basati sull’utilizzo dell'informatica, poi da studi in vitro sulle cellule. Inoltre gli studi animali sono fondamentali perché non c’è niente che possa sostituire un organismo vivente. Ovviamente, non è detto che tutto quello che è attivo in animali da esperimento poi sia attivo anche nell’uomo, però è necessario avere dei dati dal punto di vista dell’efficacia e della tossicità. Non possiamo sottoporre il paziente a un trattamento che non sia già stato sperimentato sugli animali da esperimento per quanto riguarda la tossicità cronica, la cancerogenicità, gli effetti sulla riproduzione. Ci deve essere un corpo di conoscenze importanti, dopo di che si va a fare la ricerca clinica.
La ricerca clinica che si fa oggi è il frutto di una serie di progressi fatti negli ultimi decenni. La ricerca viene divisa in varie fasi. Nella fase uno si stabilisce, su soggetti solitamente volontari, quali siano le dosi massime di un farmaco che vengono tollerate dall’organismo in modo da somministrare poi agli ammalati una dose ben definita. I farmaci antitumorali devono essere sperimentati solo su soggetti che hanno un tumore. Nella fase due si studia già un effetto. Supponiamo di studiare un farmaco anti-ipertensivo: si comincerà a vedere se questo farmaco fa veramente scendere la pressione. La fase tre è molto complessa, la chiamiamo studi clinici randomizzati e controllati: coinvolge un campione importante di pazienti in cui si studia il nuovo farmaco nei confronti del miglior trattamento già disponibile sul mercato. Questo da un punto di vista etico è una regola fondamentale. Purtroppo avviene ancora oggi che si studi un nuovo farmaco comparandolo al placebo, quando ci sono già dei farmaci efficaci per quella determinata malattia. È importante che lo studio metta a confronto il nuovo e il vecchio farmaco e non il nuovo farrmaco e il placebo. Quando il farmaco viene approvato non bisogna smettere di studiarlo. Nella fase quattro (di post marketing) il farmaco viene studiato nella vita reale, cioè in pazienti che hanno le caratteristiche di tutti i giorni, che ricevono altri farmaci, che hanno magari poli-morbilità. È una fase in cui si deve valutare qual è il reale impatto del farmaco dal punto di vista terapeutico.
Naturalmente non possiamo nasconderci che ci sono grandi interessi industriali che tendono a magnificare i benefici e a minimizzare i rischi e quindi c’è bisogno di molta attenzione. Purtroppo in questo come in altri campi, c’è una forma di grande asimmetria: quasi tutti gli studi sono fatti dall’industria e pochissimi studi sono fatti da enti indipendenti. Questo deve sempre essere tenuto presente per avere un’idea di come stanno effettivamente le cose e degli interessi che ci sono in gioco.

È possibile conciliare il punto di vista etico con l’esigenza di sperimentare sempre nuove terapie?
La scienza e l’etica non sono in contraddizione. Se in un esperimento non c’è etica vuol dire che non c’è neanche scienza. Per esempio, nella selezione dei pazienti è etico che non sia il medico a scegliere quali pazienti prendono il nuovo farmaco e quali l’altro; è il caso che deve decidere. L’etica richiede che non ci sia un influsso personale nella valutazione. Il paziente non deve sapere se prende il farmaco nuovo o quello vecchio, il medico non deve sapere che cosa somministra perché altrimenti viene influenzato; è questo che noi chiamiamo il “doppio cieco”. Chi valuta il risultato non deve essere chi ha somministrato i farmaci. Il campione non deve essere troppo piccolo, altrimenti non ha validità statistica e non permette di arrivare a un risultato definitivo. Anche questi sono aspetti importanti.
Inoltre l’etica richiede che non si faccia una valutazione su quelli che chiamiamo i parametri surrogati. Noi non studiamo un farmaco perché fa diminuire il colesterolo, ma perché riteniamo che diminuendo il colesterolo ci siano meno infarti cardiaci. L’obiettivo primario è diminuire la mortalità, la morbilità e permettere al paziente una migliore qualità di vita. L’etica permea tutta la ricerca clinica e possiamo dire che la ricerca clinica che non osserva le regole della scienza non è etica.

Conosceva già l’Università di Trento? Ha dei contatti o delle collaborazioni con docenti dell’Ateneo?
Certo la conoscevo, è un’ottima università, che ha delle eccellenze verso cui noi guardiamo con grande interesse. Abbiamo molti rapporti con l’Ateneo. A questo stesso ciclo di incontri parteciperà in aprile Gianni Tognoni dell’Istituto Negri, che presiede il Comitato etico per le sperimentazioni cliniche dell’APSS di Trento. Io sono stato ospite dell’Ateneo molte volte e ho partecipato anche al Festival dell’Economia.