Fotogramma dal film Gli Spietati (Unforgiven), Regia di Clint Eastwood, Prodotto da Warner Bros. e Malpaso Productions, 1992.

Formazione

LA RAZZA E IL POTERE DELLA NARRAZIONE

Una lezione di Jessica Maucione della Gonzaga University su letteratura, cinema e cultura americana

16 maggio 2018
Versione stampabile
Jessica Maucione
di Jessica Maucione
Professoressa associata di inglese e studi femminili e di genere alla Gonzaga University di Spokane, Washington, USA.

Nel suo recente bestseller internazionale Sapiens: A Brief History of Humankind Yuval Noah Harari sostiene che noi esseri umani ci siamo evoluti e abbiamo mantenuto la nostra integrità di specie grazie alla capacità di inventare e raccontare storie collettivamente. Studi recenti indicano che leggere narrativa generalmente aumenta la capacità degli esseri umani di provare empatia. Eppure, nonostante tutto questo potenziale di incremento dell’interconnessione umana attraverso la narrazione, l’analisi critica di molti testi provenienti da posizioni di potere e di privilegio rivela le modalità con cui, insita nell’architettura di queste narrazioni, si trovi spesso una disumanizzazione dei personaggi. Questi vengono identificati sulla base della loro razza secondo una tecnica di racconto che evidenzia, celebra e, soprattutto, accresce l’umanità dei protagonisti bianchi e dei loro pari. In queste narrazioni l’essere bianchi diventa sinonimo di umanità e le minacce all’umanità dei personaggi bianchi spesso giungono in definitiva da personaggi disumanizzati, sottosviluppati e piatti dalla pelle nera o marrone. I codici binari che operano in queste narrazioni – bianco/nero, buono/cattivo, umano/inumano – generano uno spazio di disconnessione tra individui e gruppi e lo normalizzano, portando con sé anche timori, incomprensioni, paura, razzismo e violenza razziale. Come afferma Michel de Certeau, prima viene la storia e poi la realtà.

Anche la razza è una finzione, che è stata costruita e ricostruita in modi diversi in tutto il mondo; la sua costruzione americana è del tutto particolare e il modo migliore per tracciarne il percorso è forse attraverso lo studio dei prodotti culturali degli Stati Uniti. Il mio lavoro sui testi della letteratura, dei film e della cultura popolare dell’America mette in luce degli schemi di razzializzazione che separano le specie umane sulla base di linee razziali inventate e così facendo sostengono la supremazia bianca, a volte palesemente ma più spesso in modi incredibilmente sottili. Mi interessano più di tutto i testi che avanzano rivendicazioni o che si guadagnano il plauso della critica o del pubblico per il loro presunto progressivismo sociopolitico, mentre invece ancora perpetuano i miti congiunti dell’eccezionalismo americano e della superiorità bianca. Per esempio, alcuni studi letterari e mediatici fanno risalire la disumanizzazione e la cancellazione violenta dei nativi americani, degli afro-americani e di altri individui e gruppi identificati sulla base della loro razza a generi popolari come il western. Quindi quando Unforgiven, il film di Clint Eastwood del 1992, venne presentato come film anti-western che avrebbe dovuto servire da antidoto e rimedio a tutto quello che il genere aveva ingiustamente perpetuato, questa cornice riuscì a dissimulare i modi in cui il film, in ultima analisi, conferma le mitologie trasversali dell’eccezionalismo americano, della superiorità maschile e della supremazia bianca.

Parallelamente cerco e porto in classe, e nei luoghi propri dell’analisi critica, narrazioni che si oppongono all’approccio della cultura bianca dominante – e questa attività lascia ben sperare. In contrapposizione all’esempio di Unforgiven di Clint Eastwood, Creed di Ryan Kyle Coogler, con Michael B. Jordan, attenua quell’inno di Sylvester Stallone all’eccezionalismo americano in quanto supremazia bianca che è la serie di Rocky. Creed s’inserisce in un progetto artistico più ampio che prevede di ricavare spazio per rappresentazioni di personaggi di colore che siano centrali e non marginalizzati, umanizzati e non disumanizzati, e in un momento in cui le immagini e i corpi degli uomini di colore sono diventati bersagli principali della violenza sia rappresentata che fisica. Coogler e Jordan sono parte di una nuova tradizione di riscatto che cerca di porre rimedio al trattamento riduttivo della blackness e della mascolinità nera in particolare negli Stati Uniti.

La letteratura e i media popolari multietnici svolgono un importante lavoro culturale nella lotta al razzismo, all’etnocentrismo e alla supremazia bianca. Non solo offrono molteplici prospettive attraverso le quali i lettori e gli spettatori possono identificarsi, ma implicitamente rivelano anche quanto ci sia di sbagliato nelle presupposizioni e negli stereotipi sui cui spesso poggiano le narrazioni diffuse dalla cultura americana dominante. La globalizzazione della letteratura e della cultura popolare americane ci impone, in modo ancora più essenziale, di riconoscere il potere delle storie, di leggere ed esaminare i testi in modo critico, e di scegliere di occuparci di narrazioni create da artisti diversi.

Jessica Maucione ha trattato il tema durante il seminario "Narratives and Counter-Narratives: the stories Americans tell about race", tenutosi il 19 aprile presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento; responsabile scientifica professoressa Giovanna Covi. L’appuntamento, rivolto a studentesse e studenti dei corsi in Letterature angloamericane e aperto al pubblico, è stato organizzato dall’ Ambasciata degli Stati Uniti-Ufficio Culturale Programma American Studies Italy.

[Traduzione Paola Bonadiman] 


English version

RACE AND THE POWER TO TELL STORIES
Jessica Maucione, from Gonzaga University in Spokane, Washington, gave a lecture on American literature, film and popular culture at the University of Trento

In his recent international best-selling book, Sapiens: A Brief History of Humankind, Yuval Noah Harari argues that humans have evolved and maintained our integrity as a species because of our ability to collectively create and tell stories. Recent studies suggest that reading fiction generally increases human beings’ capacity for empathy. Yet despite all of this potential for increasing human connectedness through narrative, critical analyses of many texts coming from positions of power and privilege reveal ways in which inherent in the design of these narratives is often a dehumanization of characters who are racialized as a storytelling technique that highlights, celebrates, and complicates the humanity of white protagonists and their white peers. In these narratives, whiteness becomes synonymous with humanness and threats to white characters’ humanity often come in the form of ultimately dehumanized, undeveloped, and flat black and brown characters. The binaries at work in these narratives—white/black; good/bad; human/inhuman—produce an arena for and normalize disconnection between individuals and groups along with apprehension, misunderstanding, fear, racism, and racist violence. As Michel de Certeau asserts, the story comes first and reality follows. 

Race is also a fiction—one that has been constructed and reconstructed in various ways around the world—and one whose American construction is peculiar and perhaps best traced through studying the cultural products of the U.S. My work with the texts of American literature, film, and popular culture exposes patterns of racialization that separate the human species along manufactured racial lines and thereby sustain white supremacy, sometimes in obvious but most often in incredibly subtle ways. I am most intrigued by texts that make a claim on or win critical or popular acclaim for their supposed sociopolitical progressiveness while still perpetuating the joint myths of American exceptionalism and white superiority. For example, several literary and media studies trace the dehumanization and violent erasure of indigenous Americans, African Americans, and other racialized individuals and groups in popular genres such as the western. So when Clint Eastwood’s 1977 film Unforgiven was touted as the anti-Western that served as an antidote to and an undoing of all that had been wrongly perpetuated by the genre, this framing effectively masked the ways in which the film ultimately sustains the intersectional mythologies of American exceptionalism, male superiority, and white supremacy. 

At the same time I seek out and bring into the classroom and arenas of critical analyses narratives that counter the dominant white-centered approach—and there is much hope to be found in this activity. As a counterpoint to the example of Eastwood’s Unforgiven, Ryan Kyle Coogler’s Creed, starring Michael B. Jordan, acts not only as a corrective to Sylvester Stallone’s hymn to American exceptionalism and/as white supremacy that is his Rocky series, it is also part of a bigger artistic project of carving out space for representations of black characters that are centralized rather than marginalized, humanized rather than dehumanized, and at a time when images and bodies of black men have become primary targets for representational as well as physical violence. Coogler and Jordan are part of a new redemptive legacy that seeks to rectify the reductive treatment of blackness and black masculinity in particular in the United States. 

Multi-ethnic literature and popular media do important cultural work in combating racism, ethnocentrism, and white supremacy. Not only do they offer multiple perspectives with which readers and viewers can identify, they also implicitly reveal what is wrong with the assumptions and stereotypes upon which narratives stemming from American dominant culture often rest. The globalization of American literary and popular culture makes it ever more imperative that we recognize the power of stories, read and watch texts critically, and choose to engage narratives produced by diverse artists.

Jessica Maucione held a seminar titled "Narratives and Counter-Narratives: the stories Americans tell about race", at the Department of Humanities of the University of Trento on 19 April; scientific coordinator: professor Giovanna Covi. The seminar, aimed at students from the courses of Anglo-American literatures and open to the public, was organized by the US Embassy’s Cultural Office – American Studies in Italy Program.