Immagine tratta dalla locandina dell'evento

Formazione

GIORNALISMO

In Ateneo alcuni tra i più noti giornalisti italiani. Primo appuntamento 2 marzo con Stefano Feltri. Intervista a Claudio Giunta.

19 febbraio 2016
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di Marinella Daidone
Lavora presso la Divisione Comunicazione ed Eventi dell’Università di Trento.

Giornalismo” è il titolo di un ciclo d’incontri con alcuni tra i più noti giornalisti italiani per parlare di quello che resta, di quello che cambia e di quello che sparisce (come recita il sottotitolo) nel mondo dell’informazione.
Interverranno: Stefano Feltri (vicedirettore de Il Fatto Quotidiano - 2 marzo), Luca Sofri (direttore de Il Post - 9 marzo), Giovanni De Mauro (direttore di Internazionale - 8 aprile), Claudio Cerasa (direttore de Il Foglio - 13 aprile) e Giovanni Caprara (già responsabile della redazione scientifica del Corriere della Sera - 23 aprile).

Il programma completo degli incontri è disponibile alla pagina dedicata.

Ne abbiamo parlato con il responsabile scientifico, Claudio Giunta, delegato del rettore per la stampa e la comunicazione. Claudio Giunta insegna Letteratura italiana e collabora con il Sole 24 ore e Internazionale. 

Professor Giunta, come sta cambiando il mondo dell’informazione? Il termine “stampa” è diventato anacronistico?

Facciamo questo ciclo di incontri anche per capire questo. Siamo nel mezzo di una rivoluzione, dalla carta al digitale, e vogliamo conoscere il punto di vista non di osservatori distaccati (come siamo noi) ma di quelli che vedono le cose dall’interno, e stanno cercando – molto banalmente – di fare in modo che occuparsi di informazione possa continuare ad essere una professione (retribuita), e non un hobby. Non mi pare che ‘stampa’ sia un termine anacronistico: ma certamente si va verso un sistema integrato stampa+online, ed è un sistema tutto da inventare, e che si sta inventando, con esiti anche incoraggianti, mi pare. 

È ancora possibile essere credibili, responsabili, accurati nell’epoca di internet e dei social network?

Mi pare che lo sia senz’altro, ma più che frutto di una scelta personale (dei giornalisti, voglio dire), serietà e attendibilità sono, per così dire, effetti del contesto: ci sono, reggono fino a quando c’è un pubblico che è disposto a pagare per avere informazioni serie e attendibili, cioè un pubblico sufficientemente intelligente e colto. Così il problema dell’informazione tocca e si sovrappone al problema dell’istruzione, della scuola, dell’università. Di qui l’opportunità di parlarsi, tra giornalisti e professori.

Quali consigli darebbe ai suoi studenti che pensano di diventare giornalisti?

Di imparare a scrivere decentemente: credo che i giornali (su carta o online) del futuro avranno bisogno di tanti mediocri peones, come adesso, ma anche di un certo numero di persone colte, capaci, in grado di scrivere in modo chiaro e piacevole. E poi credo cominci ad essere necessario imparare a girare dei video, montare, post-produrre, e insomma a farsi una piccola esperienza nel settore digitale. E poi immagino (ma non sono un esperto) che una buona scuola di giornalismo possa servire. 

Cosa vuol dire portare i giornalisti nelle aule universitarie? 

Dato che tutti hanno la loro opinione sui media, l’idea era quella di portare all’università quelli che i media li fanno. E abbiamo scelto non le 'facce da televisione' o gli 'opinionisti di professione', ma alcuni dei giornalisti che in questi anni hanno fatto, partendo quasi dal niente, le cose più interessanti: Internazionale, Il post, Il Foglio, il Fatto Quotidiano, la scienza comunicata in modo intelligente dal Corriere della Sera. Tra l’altro, l’età media degli invitati è molto bassa, e ci piace anche questo. 

Ricerca universitaria e media: un rapporto che può migliorare?

Sono favorevole a un mondo in cui ognuno si fa i fatti suoi. Gli studiosi studiano, pubblicano articoli o libri importanti che fanno progredire la ricerca e, molto mediatamente, la vita delle persone. Poi muoiono, e i giornali li commemorano, commossi, con articoli scritti in buon italiano. Mi basterebbe questo. Ma se Lei vuol dire che i giornali potrebbero anche occuparsi di quello che si fa nelle università, seriamente, be’ certo, perché no. Ma tutto voglio meno che l’apertura di ‘tavoli di collaborazione’, congressi, seminari congiunti. Se l’università e i giornali sono gestiti da persone serie, il rapporto migliora da sé; sennò non ci sono santi.