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PRENDERSI CURA DEI BENI COMUNI PER USCIRE DALLA CRISI

a cura di Marco Bombardelli

5 ottobre 2016
Versione stampabile
Marco Bombardelli
è professore ordinario della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento.

La crisi economica ha favorito politiche di restrizione dei bilanci degli Stati. Queste vengono realizzate anche attraverso l’intervento sui beni pubblici, sia con la ricerca di una maggiore efficienza nella gestione, sia tramite pratiche di dismissione e vendita. Questa linea di intervento è però riduttiva, perché si limita a un approccio di tipo “quantitativo”, che rischia di avere come conseguenza la diminuzione della capacità delle amministrazioni pubbliche di dare risposte adeguate ai bisogni dei cittadini. Occorre, quindi, andare alla ricerca di paradigmi e soluzioni alternative, capaci di assicurare al contempo, da un lato, innovazione e crescita economica, dall’altro, coesione sociale e sicurezza. In questa prospettiva, i “beni comuni” assumono particolare importanza. I saggi raccolti nel presente volume ne considerano le caratteristiche e le potenzialità. Innanzitutto, come risorse “nuove” a cui attingere per garantire bisogni altrimenti non più soddisfabili a causa della penuria di risorse di tipo tradizionale. Ma anche come mezzi attraverso cui è possibile attivare, nel momento stesso della loro cura, delle dinamiche relazionali tra pubbliche amministrazioni e soggetti privati, le quali possono fungere da catalizzatori di nuove energie e diventare quindi esse stesse una risorsa, in quanto idonee a creare del “valore sociale aggiunto” con il loro svolgimento.

Dal capitolo | La cura dei beni comuni come via di uscita dalla crisi | Marco Bombardelli (p.1)

La crisi economica ha favorito politiche di restrizione dei bilanci degli Stati, che hanno determinato azioni volte al reperimento di risorse e alla riduzione della spesa pubblica, esercitate in varie direzioni. Una delle linee seguite è quella che prevede l’intervento sui beni pubblici, sia attraverso la ricerca di una maggiore efficienza nella loro gestione, prevalentemente attraverso l’affidamento della stessa a soggetti privati (o comunque “privatizzati”); sia tramite pratiche di dismissione del patrimonio pubblico, volte a eliminare i costi relativi alla sua manutenzione e ad aumentare le entrate degli enti pubblici attraverso i proventi delle vendite. Nelle intenzioni dei suoi promotori questa linea di intervento può portare a dei risultati utili, riducendo gli oneri derivanti dalla scarsa capacità delle istituzioni pubbliche di gestire correttamente i beni di cui sono proprietarie, migliorando la situazione delle casse pubbliche e favorendo nuove occasioni di investimento in settori tradizionalmente non disponibili per l’afflusso di capitali privati, così da avviare nuovi cicli di produzione e stimolare la crescita.

Dal capitolo | Che cosa sono i beni comuni? | Fulvio Cortese (p. 37)

Il presente contributo si articola in due parti e in una conclusione. La prima parte si propone di offrire una panoramica del dibattito italiano sui beni comuni, evidenziandone Autori e principali correnti (par. 2), illustrando le definizioni più significative sul piano normativo e giurisprudenziale (par. 3), ma anche isolando e facendo emergere espressamente il cuore degli approcci metodologici sottostanti e i rapporti tra le ricostruzioni più diffuse e alcune note teorie economiche (par. 4). La seconda parte, invece, ha lo scopo di sottolineare le radici profonde dei fermenti interpretativi così riassunti, da un lato evidenziandone le connessioni con le tesi sulla forma di Stato e sulla cittadinanza (par. 5), dall’altro rilevandone le relazioni con la discussione sui beni pubblici e con l’evoluzione della relativa disciplina (par. 6). La disamina si chiude con la descrizione di alcuni tratti fondamentali e trasversali delle “dottrine dei beni comuni”, presenti in tutte le letture finora fornite, ma diversamente valorizzati a seconda delle finalità di volta in volta perseguite dalle rispettive rappresentazioni. L’analisi di questi tratti consente di svolgere alcune rapide valutazioni sul grado di attuale compatibilità delle differenti visioni con l’ordinamento vigente e sulla possibilità concreta che le relative istanze siano effettivamente riconosciute (par. 7).

Dal capitolo | Nuove risorse e nuovi modelli di amministrazione | Gregorio Arena (p. 283)

«Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà», art. 118, ultimo comma, Costituzione. L’ultimo comma dell’art. 118 è il punto di partenza per sviluppi impensati quando esso entrò in vigore nel 2001 in seguito alla riforma del titolo V della Costituzione. Si tratta di sviluppi che dipendono in gran parte dal fatto che il principio di sussidiarietà orizzontale non è come potrebbe sembrare a prima vista, un principio “isolato” all’interno di un titolo dedicato alle regioni, alle province ed ai comuni, bensì è inserito in una fitta rete di rimandi e collegamenti con altri articoli e principi costituzionali che per così dire ne nutrono e ne arricchiscono ulteriormente le già notevoli potenzialità innovative nel rapporto fra cittadini e amministrazioni. Di seguito se ne indicheranno alcuni, ma in realtà i collegamenti potrebbero essere molto più numerosi, considerata la ricchezza concettuale e pratica del principio di sussidiarietà.

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