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Fattori di produzione, innovazione e distribuzione di valore nella filiera agroalimentare

di Matteo Ferrari

30 giugno 2023
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La sostenibilità della produzione agroalimentare, la food sovereignty, il diritto al cibo dipendono anche dalla possibilità di accedere a fattori di produzione innovativi, i quali a loro volta incidono sull’allocazione del valore tra gli attori della filiera. I cambiamenti che stanno interessando il segmento a monte del comparto agroalimentare pongono il giurista di fronte ad alcune domande cruciali: chi dovrà sopportare i costi di queste trasformazioni? A quali condizioni si potrà accedere a fattori produttivi innovativi? Prendendo in considerazione le più recenti evoluzioni che hanno interessato la disciplina di sementi, fertilizzanti e agrofarmaci, ma guardando altresì all’importanza che dati e informazioni stanno assumendo per le imprese che operano nella filiera agroalimentare, il volume offre un’analisi che pone in luce le opportunità e le criticità che derivano dal crescente peso che tecnologia e innovazione hanno in agricoltura.

Matteo Ferrari è professore presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento.

Dalle Conclusioni (pagg. 365-369)

Volendo provare a riassumere quanto emerso nei capitoli precedenti, sono tre gli elementi da cui appare utile partire. Ciascuno di essi appare concatenato all’altro. 

In primo luogo, il fatto che i fattori di produzione stanno assumendo un peso crescente all’interno del comparto agroalimentare. Ciò è particolarmente vero per quei fattori caratterizzati da un qualche grado di innovazione, più o meno marcato a seconda dei casi. Il caso dei dati digitali, che abbiamo voluto considerare evocando la nozione di input, è significativo, perché permette di evidenziare come essi possano fungere da base per elaborare nuove funzionalità e servizi e come i medesimi stiano diventando una componente sempre più importante in agricoltura. Prospetticamente, un fronte di grande rilievo è dato proprio dalla complementarità tra prodotti fisici tradizionali (sementi, agrofarmaci, fertilizzanti) e servizi (agricoltura di precisione) resa possibile dall’elaborazione di masse ingenti di dati. Il ruolo giocato dai fattori di produzione è magnificato dai processi di concentrazione in atto nei segmenti a monte della filiera, i quali hanno portato al sorgere di imprese multinazionali che controllano importanti quote di mercato a livello globale. Una concentrazione facilitata anche dalla contrazione degli investimenti da parte del settore pubblico, un tempo attore centrale in un comparto che, invece, è ora lasciato in misura crescente nelle mani dei privati.

Il secondo elemento è rappresentato dai disequilibri presenti nel tratto a monte della filiera. Si tratta per molti versi della conseguenza del primo punto evidenziato. L’innovazione nella concezione, produzione e infine commercializzazione di fattori produttivi necessita di ingenti investimenti, know-how molto sofisticati, capacità di sfruttare complementarità e sinergie con altri prodotti o servizi: un insieme di variabili che richiedono il raggiungimento di ordini di grandezza assai ampi per poter operare efficacemente. La creazione di poli tecnologici e finanziari capaci di gestire tale complessità su scala globale determina in ricaduta asimmetrie di potere di mercato tra fornitori e acquirenti, specie in un contesto nel quale i secondi sono già fisiologicamente piccoli e vulnerabili. L’asimmetria delle forze in campo è quindi un carattere che connota non solo le relazioni tra agricoltori e trasformatori/distributori, ma anche i rapporti tra parte agricola e fornitori di fattori di produzione. 

In questo contesto si inserisce il terzo elemento, rappresentato dal ruolo che una serie di dispositivi, giuridici o para-giuridici, giocano nella fornitura di fattori produttivi. Il riferimento è alla proprietà intellettuale, al contratto e alla tecnologia. Pur da angoli visuali diversi e con modalità differenti, essi hanno quale scopo fondamentale quello di restringere l’accesso ai fattori di produzione, tutelando così le risorse investite per il loro sviluppo, al contempo, però, limitando in capo agli agricoltori la possibilità di loro impiego. È indubbio che negli ultimi lustri si sia assistito ad un processo di rapida espansione delle privative, spesso utilizzate in modo cumulativo per proteggere il medesimo ritrovato, così come del segreto commerciale e del contratto. In aggiunta, la tecnologia in alcuni ambiti sta progressivamente soppiantando la regola giuridica, attraverso soluzioni tecniche talmente complesse e “chiuse” da rendere superfluo l’intervento del diritto. In tal modo, e operando in modo sinergico tra loro, i dispositivi richiamati creano le condizioni per rafforzare ulteriormente il potere dei fornitori di input. 

A fronte di uno scenario fortemente condizionato dalle variabili appena evidenziate, qual è la risposta apprestata dall’ordinamento? Essa può essere sinteticamente qualificata come insufficiente per almeno tre ordini di ragioni. In primo luogo, mancano regole puntuali pensate per gestire le fattispecie di squilibrio che si danno nel segmento a monte della filiera. Come più volte messo in evidenza, la fornitura di input si colloca in un cono d’ombra regolativo che non permette, allo stato, di individuare meccanismi capaci di offrire tutele efficaci e specifiche agli agricoltori. Questo vale con riferimento all’associazionismo agricolo e all’idea che la negoziazione collettiva possa costituire un antidoto alle asimmetrie di potere. Ma vale anche in relazione alla disciplina delle pratiche commerciali scorrette, che dovrebbe fornire gli strumenti per correggere l’iniquità di condizioni, contrattuali o para-contrattuali, che impongono unilateralmente costi e rischi in capo al soggetto debole del rapporto.

In secondo luogo, a far da contraltare all’assenza di regole specifiche si pongono la frammentazione della disciplina applicabile e l’ampio spazio lasciato all’autonomia privata e alla tecnologia, fattori entrambi che acuiscono le asimmetrie già esistenti. La mancanza di norme ad hoc determina infatti il ricorso alla regolazione di ordine generale, la quale finisce però per trascurare le peculiarità proprie della filiera agroalimentare, finendo per offrire un argine del tutto incapace di contrastare i disequilibri esistenti. A ciò si aggiunge il fatto che la centralità del contratto e il potere tecnologico non solo rafforzano le asimmetrie esistenti, ma a loro volta ne creano di nuove. Se si pensa, ad esempio, al caso dei dati digitali, si è visto come contratto e tecnologia permettano di trasformare dati e informazioni in beni giuridici che poi vengono ulteriormente qualificati in termini di esclusività: una dinamica che rafforza il potere in capo ai grandi operatori.

La terza e ultima ragione che spiega l’insufficienza delle risposte fornite dall’ordinamento è di ordine sistemico. Come si è cercato di mettere in luce nel quarto capitolo, l’eccezionalismo agricolo è stato negli ultimi decenni condizionato dalla considerazione di una tipologia di rapporti, quelli tra agricoltori e trasformatori/distributori, che trascura il segmento a monte della filiera dell’agricoltore. Ciò non significa sminuire l’importanza dell’eccezionalismo agricolo; al contrario, esso costituisce la pietra angolare su cui poggia l’intero edificio rappresentato dalla regolazione della filiera agroalimentare e, in chiave prospettica e come meglio si dirà a breve, dovrebbe essere ulteriormente valorizzata per offrire tutele anche nelle relazioni che intercorrono tra agricoltori e fornitori di input.
[…]
Sullo sfondo rimane la questione evocata fin dalle prime pagine di questo lavoro, vale a dire la necessità di essere consapevoli dell’impatto che tutte queste dinamiche e variabili hanno sulla ripartizione di valore. La questione riguarda non solo, o non tanto, il peso che la fornitura di fattori produttivi ha sull’attuale assetto distributivo, che pure non è trascurabile, come visto nel primo capitolo. Cruciale è comprendere, piuttosto, chi dovrà beneficiare, e per converso sopportare i costi, dei processi di transizione, tecnologica, digitale e ambientale in atto. Mentre si spera che, a livello aggregato, essi portino vantaggi, non è affatto detto che finiscano per beneficare, a livello micro, direttamente gli agricoltori. 

Gli ingenti investimenti pubblici che nel prossimo futuro verranno destinati a rendere la filiera agroalimentare più sostenibile comporteranno inevitabilmente innovazioni anche nei fattori di produzione: ma questi nuovi input saranno accessibili a condizioni eque? O, invece, finiranno per aggravare gli squilibri che già affliggono questo segmento della filiera? La domanda deve allora essere riformulata in questo modo: come cambiare gli attuali presidi normativi per affrontare e gestire i problemi che si sono appena evidenziati, tenuto conto in particolar modo delle indicazioni contenute nell’art. 39 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE)? Il senso di questa domanda fa capire una volta di più che l’innovazione giuridica costituisce una tessera fondamentale nella più complessa trama di mutamenti che nel prossimo futuro interesseranno il comparto agroalimentare.

Per gentile concessione della casa editrice Ledizioni