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Il danno da movida tra tutela inibitoria e risarcimento del danno

di Annalia Maistrelli

21 luglio 2023
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La ricerca ha inteso affrontare il fenomeno della «malamovida» attraverso il prisma delle tutele giuridiche attuabili per salvaguardare gli interessi dei soggetti da esso coinvolti. L’opportunità di approfondire questo tema nasce da un dato ben noto all’opinione pubblica: la proliferazione, negli ultimi anni, di quartieri residenziali interessati da una forte concentrazione di locali notturni di piccole dimensioni, che costringono la clientela, soprattutto giovanile, a riversarsi sulla strada pubblica antistante, generando assembramenti fino a tardo orario. Da ciò derivano situazioni di degrado che si concretizzano in schiamazzi fino a tarda notte, fenomeni di ubriachezza e mancato rispetto delle norme igieniche e di decoro.

In questo contesto confliggono il diritto al riposo e alla salute dei residenti, gli interessi economici dei gestori dei pubblici esercizi e gli interessi di coloro che ricercano situazioni di socializzazione e di divertimento.

A seguito di un'approfondita analisi delle principali norme giuridiche che rilevano in tema di malamovida e degli strumenti adottati dagli enti comunali per contrastare il fenomeno, centrale si è rivelata l'analisi della giurisprudenza, la quale non sembra aver adottato una linea interpretativa uniforme. In alcuni casi, infatti, i giudici individuano come responsabile dei danni arrecati ai residenti direttamente l’ente Comune, mentre in altri, i singoli gestori dei pubblici esercizi sono chiamati a rispondere per non aver adottato accorgimenti idonei a limitare gli schiamazzi e il generale degrado da parte degli avventori sulla pubblica via antistante alla propria attività. A tal proposito, il cuore di questa trattazione è dato dallo studio della nota sentenza del Tribunale di Torino con cui il Comune è stato condannato a risarcire i residenti per i danni alla salute patiti a seguito degli schiamazzi e del degrado connesso alla malamovida, la quale è stata confermata anche in appello.

Annalia Maistrelli ha conseguito la laurea presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento

Dal capitolo 3. La giurisprudenza in materia di movida molesta. La responsabilità dell'ente comunale e il risarcimento del danno non patrimoniale (pagg. 112-114)

La responsabilità dei gestori dei pubblici esercizi e dell’Ente comunale per lo spazio pubblico adiacente all’esercizio commerciale. Dall’analisi dei regolamenti e delle ordinanze che è stata svolta nel capitolo precedente emerge come l’Ente comunale ha individuato nei gestori dei pubblici esercizi i responsabili degli effetti collaterali della movida, ponendo in capo ad
essi obblighi particolarmente stringenti e prevedendo dure sanzioni. Si pensi, ad esempio, alle previsioni relative all’anticipazione degli orari di chiusura delle attività di somministrazione, il dovere di adoperarsi per evitare stazionamenti
della clientela fuori dal locale e nei tratti di strada limitrofi o, ancora, l’obbligo di dotarsi di steward per la gestione degli avventori a partire da un certo orario. Tale prospettiva appare quanto mai curiosa se si considera che la maggior parte dei
comportamenti che recano disturbo alla tranquillità cittadina sono da ascriversi a singoli soggetti o a gruppi che stazionano nella pubblica via consumando bevande alcoliche e/o tenendo comportamenti incivili e illeciti.

Oltre alla difficoltà di individuare una base giuridica su cui fondare la responsabilità dei gestori dei pubblici esercizi in uno spazio che non gli compete per comportamenti tenuti da soggetti terzi, ciò che i gestori dei pubblici esercizi contestano è la mancanza di strumenti in loro possesso per contrastare il fenomeno degli schiamazzi e del vociferare di coloro che stazionano nello spazio pubblico adiacente alla propria attività.

Infatti, sul punto la giurisprudenza non sempre si è mostrata concorde con la visione delle Amministrazioni comunali. In questo senso, negli ultimi anni si sono registrati orientamenti differenti che, in taluni casi, sono in linea con le previsioni normative dei Comuni mentre in altri se ne discostano e, anzi, individuano nell’Ente comunale il vero responsabile dei danni provocati al riposo e alla tranquillità dei residenti dalla c.d. malamovida.

Sul tema della responsabilità del gestore di un esercizio di somministrazione relativa agli schiamazzi della clientela che staziona sul suolo pubblico adiacente al locale, le pronunce dei giudici sono state assai contrastanti.
Rileva, a questo proposito, una sentenza della Cassazione penale del 2020214 avente ad oggetto il ricorso proposto dal Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Udine avverso un’ordinanza del Tribunale friulano relativa
ad una presunta violazione dell’art. 659 cod. pen. Il caso è nato a seguito dell’esposto presentato al Comune dall’amministratore di un condominio nel quale venivano riportate le lamentele di alcuni condomini dovute agli schiamazzi
provenienti da un locale vicino, corroborate da diverse segnalazioni dei residenti della zona. A seguito delle stesse, nel tempo erano stati effettuati numerosi interventi da parte delle forze dell’ordine, finalizzati a ripristinare la quiete e la
tranquillità e l’ARPA del Friuli-Venezia Giulia aveva accertato presso l’abitazione di uno dei residenti, il superamento dei valori limite previsti dalla normativa relativa alle emissioni sonore, sia a finestre aperte che chiuse. Stando alla
relazione, tale superamento era da attribuirsi proprio al vociferare delle persone che stazionavano nelle aree limitrofe del bar in questione. Tutto ciò premesso, mentre il G.I.P. aveva ritenuto configurabile il reato di disturbo della quiete
pubblica ex art. 659 cod. pen., il giudice d’appello ha escluso di poter addebitare al gestore del locale la responsabilità penale omissiva per gli schiamazzi della clientela. La motivazione alla base della decisione era legata al fatto che, innanzitutto, non era stato accertato chi fossero gli avventori del locale e, inoltre, durante il processo era stato rilevato che il gestore si era attivato in diverse occasioni per tacitare la clientela, sia attraverso l’affissione di cartelli in cui si invitata alla moderazione, sia attraverso richiami orali.

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