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La Cina rossa. Storia del Partito comunista cinese

di Guido Samarani, Sofia Graziani

28 luglio 2023
Versione stampabile

Nel 2021 il Partito comunista cinese (Pcc) ha celebrato i suoi cento anni di vita e nell’autunno del 2022 il XX Congresso nazionale del Pcc ha segnato uno dei momenti storici chiave nella storia del partito. È impossibile conoscere e comprendere la Cina, la sua storia moderna e contemporanea, i grandi successi così come le tragedie, senza conoscere a fondo ed in modo documentato la storia del Partito comunista cinese. Nel luglio del 1921, quando nacque, aveva una cinquantina di membri ed era un soggetto politico marginale; oggi conta circa novantasei mi¬lioni di iscritti e dal 1949 è alla guida di un paese immenso quanto diversificato che è diventato la seconda potenza economica mondiale (la Repubblica popolare cinese, Rpc). Prima di prendere il potere il Pcc ha conosciuto un percorso complesso quanto travagliato, riuscendo a sopravvivere, tra il 1921 e il 1949, ad aspre guerre civili interne ed alla lunga e sanguinosa aggressione imperialista occidentale e giapponese. Successivamente, a partire dal 1949, ha assunto la guida della Cina portando avanti un progetto ambizioso, fatto di momenti gloriosi quanto di eventi drammatici, per la rinascita economica, sociale e culturale del paese ed il suo autonomo protagonismo in campo globale. […] Il volume propone al lettore un’analisi ampia ed approfondita del percorso dei comunisti cinesi, basata sull’esame di una enorme documentazione storica e della più recente storiografia occidentale e cinese. Si tratta della prima opera del genere in Italia, frutto del lavoro pluriennale di due storici italiani della Cina, e che segue di oltre cinquant’anni la pubblicazione della traduzione italiana della storia del Pcc dello storico francese Jacques Guillermaz, ad oggi l’unico volume a disposizione in lingua italiana. È un’opera che rappresenta allo stesso tempo un punto di arrivo nella conoscenza e comprensione della storia del Partito comunista cinese e della “Cina rossa” ed un punto di partenza per nuovi studi e approcci.

Guido Samarani è Senior researcher presso l'Università Ca' Foscari di Venezia
Sofia Graziani è professoressa presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento

Da: Parte Prima, capitolo I (pagg. 20-23)

Il I Congresso nazionale del Partito comunista cinese

Nel corso dei decenni molti aspetti e questioni relativi al I Congresso del Pcc sono state chiarite, anche grazie alla pubblicazione di memorie dei vari protagonisti; ciononostante, restano ancor oggi diverse carenze e pesano altresì diversità nelle analisi storiografiche su non pochi problemi, a cominciare dalla data del Congresso, dal numero ed identità dei delegati, dal numero di iscritti al partito, ecc. 
In primo luogo, la data: benché ufficialmente la data di fondazione sia a tutt’oggi l’1 luglio 1921, sappiamo che in realtà il I Congresso si aprì il 23 luglio e si concluse ai primi di agosto, anche se numerose fonti sottolineano come in origine esso dovesse aprirsi in giugno, ma la data fu poi spostata a causa delle difficoltà di vari delegati di giungere in tempo. In secondo luogo, numero ed identità dei delegati e dei partecipanti. I delegati furono 13 ossia: Li Da e Li Hanjun, rappresentanti del gruppo di Shanghai; Liu Renjng e Zhang Guotao, gruppo di Pechino; Mao Zedong e He Shuheng, gruppo di Changsha, Hunan; Chen Tanqiu e Dong Biwu, gruppo di Wuhan, Hubei; Deng Enming e Wang Jinmei, gruppo di Jinan, Shandong; Chen Gongbo, gruppo di Canton; Zhou Fohai, gruppo di Tokyo e Bao Huiseng, delegato da Chen Duxiu; assenti invece per motivi vari i due principali protagonisti del lavoro politico ed organizzativo per la fondazione del partito, ossia Chen Duxiu e Li Dazhao. Presenti furono altresì il già citato Maring, rappresentante del Comintern, e V.A.N. Nikolsky, a nome del Far Eastern Secretariat del Comintern. Infine, le fonti concordano sostanzialmente sul fatto che al momento del I Congresso il Pcc potesse contare su di una cinquantina di membri […]
Infine, va messo in luce come la nascita del Partito comunista cinese non fu l’unico importante segnale della formazione di partiti comunisti o di ispirazione comunista in Asia, in generale in quanto sezioni nazionali del Comintern: il primo in ordine cronologico fu il Partito comunista indonesiano, fondato nel 1920 e per la cui costruzione ebbe un ruolo fondamentale il citato Maring prima di andare in Cina; dopo la nascita del Pcc, tra il 1922 e la fine degli anni Venti/inizi anni Trenta nacquero partiti comunisti in Giappone, Corea, Indocina e in India (anche se qui le origini del movimento comunista risalgono al 1920).

Da: Parte seconda, capitolo VI (pagg. 117-118)

Il Partito-stato e la strategia di sviluppo economico-sociale

Con la presa del potere da parte dei comunisti cinesi, nel 1949 iniziò una nuova fase della storia del Partito comunista. Diventato soggetto politico determinante nel governo del paese, il Pcc spostò il focus del proprio lavoro dalle campagne alle città, dalla lotta armata alla costruzione sociale ed economica e si impegnò sulla via di un’istituzionalizzazione del nuovo ordine, mantenendo tuttavia il proprio carattere rivoluzionario. […] La dirigenza comunista imperniata su Mao Zedong definì i propri obiettivi muovendo anzitutto dalla necessità di procedere al recupero dell’unità nazionale, […] e alla ricostruzione economica con il ripristino della produzione agricola e industriale. A questo si aggiunse la necessità di persuadere i capitalisti a rimanere in Cina e a collaborare con il nuovo regime, nel quadro di una politica che, richiamandosi alle idee della “nuova democrazia”, faceva appello a diverse forze sociali. […] Terminato il periodo di ricostruzione e consolidamento, nel 1953 venne avviato il primo piano quinquennale che portò a una rapida industrializzazione di tipo sovietico e permise di dare impulso alla transizione dalla “nuova democrazia” al socialismo. Se negli anni Cinquanta la strategia di sviluppo fu modellata sull’esperienza sovietica, dalla fine del decennio il Pcc pose al centro la ricerca di una via autonoma al socialismo e al comunismo che coincise con l’affermazione della visione radicale di Mao, le cui conseguenze furono disastrose per il paese (Grande balzo in avanti e Rivoluzione culturale).

Da parte seconda, capitolo VII (pagg. 150-151)

L’ideologia della “Nuova Cina”

[…] Per quanto il cuore del pensiero di Mao sia rintracciabile negli scritti precedenti il 1949, dopo la fondazione della Rpc egli continuò a sviluppare le sue idee, modificando e adattando nozioni introdotte in precedenza al nuovo contesto che si andava delineando con la presa del potere. Nella sua elaborazione teorica successiva alla nascita della “Nuova Cina” si riscontra, tuttavia, una continuità di fondo con il periodo precedente: come scriveva qualche decennio fa Stuart Schram, il decano degli studi su Mao in Occidente, una delle principali continuità fu la sua preoccupazione di adattare il marxismo-leninismo alla realtà sociale ed economica di un paese profondamente arretrato e rurale, e di arricchirlo con idee e valori che affondavano le radici nel passato della Cina. […]

Da: Parte terza, capitolo X (p. 212)

Sistema politico, riforme e modernizzazione

Lo storico terzo plenum dell’XI Cc del Pcc (18-22 dicembre 1978) diede avvio al processo di riforma che pose al centro del lavoro del partito lo sviluppo economico, ridisegnando la strategia di sviluppo precedentemente adottata. Il plenum fu seguito da anni di sperimentazioni volte ad aprire la Cina al mondo esterno e a liberalizzare l’economia secondo un approccio pragmatico. Se la strategia riformista visse un momento di congelamento a seguito della repressione delle dimostrazioni studentesche di piazza Tiananmen (1989), essa venne rilanciata e approfondita a partire dal 1992 sullo sfondo della dissoluzione dell’Urss che diede impulso alla riflessione sul ruolo dirigente del Pcc e sulle strategie future, determinando nella leadership comunista cinese la convinzione che solo premendo l’acceleratore sulle riforme di mercato ed elevando gli standard di vita della popolazione il comunismo poteva essere salvato in Cina. 

Da: Parte Terza, capitolo XII (pagg. 249-250)

L’organizzazione del partito oggi

Negli ultimi 40 anni circa (1979—2021), i principi fondamentali e la struttura dell’organizzazione del Partito comunista cinese hanno conosciuto importanti mutamenti pur nel permanere di non pochi elementi di continuità con il passato. Uno dei cambiamenti più significativi è stato in generale l’avvio ed il consolidamento di un processo di “istituzionalizzazione e legalizzazione della democrazia socialista” nell’ambito della vita politica del partito. Si è trattato di un processo segnato innanzitutto dalla regolarità dei momenti formali più rilevanti in osservanza dello Statuto (assisi a livello centrale, regionale e locale) ma anche dalla definizione di norme per la successione della leadership, da un ruolo maggiore della specializzazione funzionale in seno al gruppo dirigente e da una parallela diminuzione – quantomeno in alcune fasi - del ruolo del fazionalismo nella vita interna: un processo formalmente avviato nel corso del XII Congresso nazionale del Pcc del settembre 1982, al fine di evitare il possibile ripetersi di quella eccessiva concentrazione di potere emersa durante gli anni della Rivoluzione Culturale (Mao ed i suoi più stretti collaboratori)  e con l’obiettivo di dare vita ad una sorta di sistema di pesi e contrappesi. 
Tali mutamenti non vanno in alcun modo minimizzati o banalizzati: basti pensare, ad esempio, al fatto che tra il 1949 ed il 1978 si tennero solo 4 congressi nazionali (1956, 1969, 1973 e 1977) mentre nel quarantennio successivo ben 8 (XII: 1982; XIII: 1987; XIV: 1992; XV: 1997; XVI: 2002; XVII: 2007; XVIII: 2012; e XIX: 2017), ai quali si aggiungerà il XX a fine 2022, e che nel periodo maoista molte decisioni importanti sul piano interno ed internazionale furono assunte da un gruppo ristretto di dirigenti e soprattutto da un unico leader, Mao Zedong. 
Di fatto, come è stato messo in luce nella prima e seconda parte, sin dai suoi primi anni di vita il Pcc adottò una struttura leninista la quale è rimasta nel tempo la forma dominante sul piano organizzativo, tranne probabilmente negli anni Sessanta con la Rivoluzione culturale; allo stesso tempo, la vita interna è stata costantemente retta dal principio del “centralismo democratico”, il quale si basa su 3 punti essenziali: una struttura organizzativa piramidale, con il singolo subordinato all’organizzazione e la minoranza subordinata al Centro (Comitato centrale e relative strutture dirigenti); la leadership collettiva, finalizzata a cercare di mitigare la tendenza – implicita in una simile organizzazione fortemente gerarchica – all’emergere di un leader dominante; la protezione dei diritti delle posizioni minoritarie e la possibilità effettiva dei singoli membri di sostenere posizioni diverse da quelle della leadership. 

Per gentile concessione di Editori Laterza