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Percorsi interculturali

a cura di Cinzia Piciocchi, Davide Strazzari

22 settembre 2023
Versione stampabile

Ogni professione ha i propri strumenti di lavoro: per il giurista, i principali sono le definizioni, le classificazioni ed i principi la cui individuazione critica, interpretazione ed applicazione in un contesto contenzioso hanno conseguenze importanti in termini di garanzia effettiva dei diritti. Le complessità della società contemporanea hanno condotto chi si occupa di diritto ad avvicinarsi ai confini con altri saperi: la medicina, la scienza, la sociologia, l’antropologia. In queste intercapedini, ci si trova spesso a confronto con parole identiche, che possono assumere significato diverso quando rispondano alle regole della semantica condivise e note a chi si sia formato in un determinato ambito disciplinare, ma non immediatamente comprensibili a chi non ne abbia competenza. Il termine interculturalismo è uno di questi: penetrato nell’ambito giuridico, essendo menzionato talvolta in leggi, sentenze e più spesso in documenti internazionali e di dottrina.
La natura interdisciplinare di questa definizione, tuttavia, porta ad interrogarsi sul suo significato negli ambiti di discipline contigue, ma diverse rispetto al diritto e sulla possibilità di individuare terreni lessicali comuni. Da queste riflessioni è nato questo volume, che mette in dialogo giuristi/e con esperti/e di altre discipline, ponendo a tutti/e una stessa domanda iniziale: che cos’è interculturalismo? In che cosa esso differisce dal multiculturalismo?
Il volume si è posto l’obiettivo di verificare se l’interculturalità possa rappresentare un metodo di lavoro in alcuni contesti professionali e con quali strumenti esso si realizzi. Con questi obiettivi e su queste motivazioni, si è chiesto ad esperte ed esperti di diverse discipline, di fornire una prospettiva sul significato di questo concetto nel proprio ambito professionale. Ne sono derivate occasioni preziose di confronto, in cui è emerso come il primo elemento comune sia l’emergere di “questioni culturali”, che pongono medesime esigenze di riflessione e di ricerca di strumenti, per rispondere alle problematiche concrete che si presentano nella quotidianità del proprio lavoro.

Cinzia Piciocchi è professoressa presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento
Davide Strazzari è professoressa presso il Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell'Università di Trento

Dal Capitolo Il concetto di cultura e l'educazione linguistica interculturale (pagg. 36-38)

4.2. Culture… senza interculturalità

L’estratto sottostante riporta un’interazione che, sebbene non si sia realizzata in una classe di lingua straniera, rende perfettamente l’idea di come insistere – in un’ottica essenzialista – sulle culture nazionali degli allievi limiti di fatto il dialogo interculturale.

I. Parlando di vestiti, D. e K., vi potrebbero raccontare che i vestiti che hanno in Ghana sono famosi in tutto il mondo. D., glielo puoi raccontare? Prendi il quaderno.
S1. Io mi vesto in Italia come in mio paese.
I. Ma tu mi avevi portato l’anno scorso un vestito – e le stoffe del Ghana?
S2 [leggendo]. Sono di due tipi: il primo kente è di seta e un altro si chiama adinkra, di cotone, con disegni stampati.
I. I colori hanno dei significati particolari, vero? Anche in Cina –
S2 [sempre leggendo]. Il colore rosso è della terra e del sangue, blu è dell’amore, giallo, come l’oro, è il colore della ricchezza.
I. Allora durante le feste i colori dei vestiti possono cambiare a seconda del tipo di festa. E in Cina i colori sono? Ho letto che anche in Cina hanno dei significati diversi (…). Ti ricordi?
S3. Mmm – No (…) Ho il quaderno a casa.

Nella sequenza riportata, l’insegnante (I) compie svariati tentativi di far emergere le culture nazionali degli studenti, con l’evidente intenzione di rendere la lezione ‘interculturale’ facendo leva sulle diverse origini dei singoli. Come già rilevato da Pallotti, questi tentativi vengono realizzati posizionando gli allievi nel ruolo di esperti di quelle che l’insegnante considera le ‘loro’ culture di provenienza. Di fatto, le aspettative del docente vengono sistematicamente disattese dagli studenti che, uno dopo l’altro, rifiutano le identità o appartenenze culturali ascritte loro: il primo (S1) contesta implicitamente il fatto di essere stato chiamato in causa (“Io mi vesto in Italia come in mio paese”), dato che a suo parere non ha maggiori elementi dei compagni per rispondere alla domanda; il secondo (S2) e il terzo (S3) lasciano intendere – con mezzi rispettivamente extralinguistici (“[leggendo]” dal libro di testo) e verbali (“Mmm – No (…) Ho il quaderno a casa”) – che l’oggetto del discorso è per loro materia scolastica, non un dato personale di appartenenza.
L’estratto mostra nei fatti come impostare il metodo comparativo interculturale sulla dimensione nazionale possa scontrarsi con la realtà delle dinamiche identitarie: specie nelle attuali società globalizzate, le persone generalmente non hanno un unico senso di appartenenza (alla comunità nazionale, appunto) e, per di più, non percepiscono le proprie identità (nazionale, di genere, politica, ecc.) salienti in ogni contesto. In altre parole, è possibile – e comunque non potremmo dirlo con certezza – che S1, S2 e S3 si sentano ghanesi e cinesi in altri ambiti della loro via quotidiana (in famiglia, con gli amici, ecc.), ma che non si sentissero tali nel momento specifico catturato dall’estratto o, volendo azzardare una congettura, non nel contesto di classe in generale. È ipotizzabile invece che, a scuola, percepiscano rilevanti altre dimensioni di appartenenza (l’essere studenti/studentesse appunto, o anche l’essere eterosessuali/omosessuali, di destra/di sinistra, ecc.). È proprio a partire da questa più vasta gamma di variabili che, come vedremo nelle prossime pagine, l’approccio non essenzialista propone di concettualizzare e impostare il dialogo interculturale, nella classe di lingua e non solo.

5. La cultura in prospettiva non essenzialista

Nell’ultimo decennio o poco più, quindi in tempi relativamente recenti rispetto alla nascita dell’educazione linguistica interculturale, le riflessioni dedicate alla dimensione interculturale della didattica delle lingue si sono arricchite di principi teorici di stampo post-strutturalista. In questa nuova prospettiva, detta ‘non essenzialista’, la cultura è intesa come una qualsiasi comunità di individui che condivide una medesima lingua (sia essa una lingua nazionale o una specifica varietà linguistica), mira a raggiungere scopi comuni e crea per sé stessa una storia e un immaginario condivisi. Ne consegue che, oltre che su basi nazionali, le culture vengono definite ora sulla base di una pluralità di dimensioni di diversità (professionale, generazionale, di genere, politica, socioeconomica, ecc.).

Libro pubblicato in Open Access con licenza CC-BY-NC ND 3.0 e consultabile nell'archivio Iris.