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Dalla fisica alla filosofia naturale. Niels Bohr e la cultura scientifica del Novecento

di Federico Laudisa

13 novembre 2023
Versione stampabile

Per decenni la meccanica quantistica ha visto in Niels Bohr il proprio nume tutelare. E anche se oggi si tende a ridimensionare il suo ruolo nello sviluppo della teoria atomica (a favore dei contributi di Heisenberg e Born, di Dirac e di von Neumann), il ruolo di Bohr nella cultura filosofico-scientifica del Novecento rimane cruciale. Il fisico danese è infatti stato tra i primi a cogliere l’importanza di una ricerca collettiva, favorita da strutture adeguate e da un clima di apertura intellettuale e umana: luoghi di fermento creativo e amore per la libera discussione che avrebbero unito i migliori intelletti del continente europeo, e non solo. Ma Bohr rimane una figura centrale della cultura novecentesca ancheper la sua strenua dedizione nell’interrogazione filosofica della fisica: volta a estrarre dalle acquisizioni scientifiche una lezione più generale per la conoscenza umana.
Con scrittura chiara e felice Federico Laudisa ci racconta questa figura sfaccettata e profonda e, al tempo stesso, ci apre le porte dell’avventura quantistica: il principio di indeterminazione, il «problema della misura», gli ambiti di applicabilità della meccanica quantistica, e – più in generale –la conoscibilità dell’universo fisico. Fino al principio di complementarità, concetto centrale della cosiddetta «interpretazione di Copenaghen», che – spiega bene l’autore – è più controversa di quanto la vulgata non tenda a pensare.
Nella trama delle sue relazioni con gli altri protagonisti della fisica (da Albert Einstein a Werner Heisenberg) e della filosofia (il neokantismo di Ernst Cassirer, il falsificazionismo di Karl Popper), Laudisa scorge in Bohr un caso esemplare di come, partendo da una teoria fisica, si possano sollevare questioni di portata epistemologica generale. Sullo sfondo degli intensi dibattiti innescati dagli sviluppi vorticosi della fisica novecentesca, la figura di Bohr si colloca in quel raro «spazio logico» in cui storia intellettuale, storia della scienza e filosofia della scienza si intersecano, dando vita a nuove, sorprendenti immagini del mondo.

Federico Laudisa è professore di Logica e filosofia della scienza presso il Dipartimento di Lettere e filosofia dell'Università di Trento

Dall'Introduzione (pagg. 10-15)

In un suo volume dedicato all’evoluzione del concetto di rivoluzione nella scienza degli ultimi quattro secoli, il grande storico della scienza I. Bernard Cohen metteva in evidenza il paradosso insito nella trasformazione semantica sperimentata dal termine stesso rivoluzione:

È un fatto documentato che la parola “rivoluzione” divenne per la prima volta di uso generale come termine tecnico, nelle scienze esatte, dove ebbe per molto tempo (e ha ancora) un significato molto diverso da quello di un mutamento improvviso e drammatico. Rivoluzione significa tornare di nuovo, passare attraverso una sucessione ciclica, come nel caso delle stagioni dell’anno, o del flusso e riflusso delle maree. Nelle scienze la nozione di rivoluzione implica quindi una costanza nel mutamento, una ripetizione senza fine, una fine che è un nuovo principio. Questo è il significato cui pensiamo in espressioni come “le rivoluzioni orbitali dei pianeti”. L’espressione “rivoluzione scientifica” non trasmette, però, alcun senso di continuità e di permanenza: essa implica piuttosto una rottura nella continuità. 

Non stupisce che il Novecento sia non di rado definito come l’età delle rivoluzioni, un’età nella quale – osserva ancora Cohen  – numerosi sono coloro che in quel secolo riflettono sulla natura stessa delle rivoluzioni, tanto nel campo della scienza quanto in quello della filosofia (oltre ovviamente, è superfluo sottolinearlo, ai campi della politica, della società e dell’economia). […] Proprio uno dei più grandi rivoluzionari nella storia della fisica – Albert Einstein – scriveva ironicamente (ma non troppo) che spesso “il lettore ricava l’impressione che nella scienza si verifichi una rivoluzione ogni cinque minuti, un po’ come accade per i colpi di stato in alcune delle più piccole e instabili repubbliche” . Un profondo conoscitore dell’opera einsteiniana come Jürgen Renn ha sostenuto che imprese scientifiche come quelle di Galileo e Einstein si spiegano sulla base non di una pura e semplice sostituzione di paradigmi, ma piuttosto in termini di processi di ristrutturazione che egli – nel tentativo di delineare una vera e propria teoria della dinamica evolutiva del sapere scientifico – definisce processi copernicani.  
[…]
Riconoscere la complessità dell’intreccio tra novità e tradizione non implica naturalmente disconoscere che, nel caso dei fenomeni quantistici, la teoria che emerge dall’ipotesi dell’innovatore ‘controvoglia’ Max Planck  innesca una tra le più radicali rivoluzioni della scienza contemporanea. Così, per esempio, Robert Oppenheimer descriveva il fervore che ne era alla base:  

È stata un’epoca di intensi scambi epistolari e frenetici convegni, di dibattito, di critica e di brillante improvvisazione matematica. […] Per coloro che vi hanno partecipato è stata un’epoca di creazione; nelle loro nuove intuizioni c’era tanto il terrore quanto l’esaltazione. Probabilmente non ne resterà un resoconto conpleto dal punto di vista storico. In quanto storia, riportarla in vita richiederebbe un’arte del livello che sta dietro la storia di Edipo o quella di Cromwell, sia pure in un campo d’azione così lontano dalla nostra esperienza comune da rendere improbabile che i poeti o gli storici ne vengano a conoscenza.  

Per vari decenni, la meccanica quantistica è stata associata in maniera vigorosa al nome di Niels Bohr come suo nume tutelare, e quella che è stata a lungo la sua interpretazione canonica è stata appunto chiamata interpretazione di Copenaghen proprio come tributo simbolico al patriarca danese. Tuttavia, la posizione di Niels Bohr in questa rivoluzione è ben più sfaccettata di quanto non sia apparso fino a non moltissimi anni fa e, da questo punto di vista, l’ortodossia di Copenaghen ha recato in prospettiva alla figura di Bohr più danni che vantaggi. La lezione di Bohr è una componente non secondaria della cultura scientifica del Novecento e provare a restituirle profondità, superando i luoghi comuni di proseliti e nemici, è uno degli obiettivi di questo libro: il percorso verso questo obiettivo, tuttavia, non è né semplice né lineare, dal momento che sono svariati i fattori che sembrerebbero portare verso un ridimensionamento della figura intellettuale di Bohr. 

In primo luogo, il posto occupato da Bohr nella rivoluzione quantistica dal punto di vista strettamente scientifico ha ormai un significato soltanto storico: il modello atomico proposto nel 1913, pur costituendo una tappa essenziale sulla strada della quantizzazione di grandezze fisiche fondamentali (nonché meritevole del premio Nobel per la fisica del 1922), rappresenta un passaggio provvisorio e di fatto superato nell’epoca ‘eroica’ di Heisenberg e Born, di Dirac e di von Neumann. In secondo luogo, lo scarso interesse di Bohr per gli aspetti matematico-formali della teoria quantistica – che rimangono in larga misura ai margini delle sue analisi concettuali – lo allontana progressivamente dai temi che attirano maggiormente i fisici impegnati nel dibattito interpretativo attivo dalla fine degli anni Venti del Novecento. […] In terzo luogo (in parte come conseguenza del punto precedente), il destino infausto del principio di complementarità, cui Bohr assegnava il compito di portare sulle spalle praticamente tutto il peso della novita della teoria quantistica, senza contare la speranza di estendere la validità del principio anche ad altri campi del sapere. Anche se nel 1933 Wolfgang Pauli auspicava un grande futuro per il principio di Bohr –  proponendo di definire la meccanica quantistica nientemeno che teoria della complementarità, nello stesso senso in cui la descrizione einsteiniana dello spazio-tempo si chiamava teoria della relatività – il principio di complementarità non è stato di fatto incluso in quella strutturazione assiomatica della teoria che ha conquistato il consenso della comunità scientifica e che tuttora costituisce l’architettura formale insegnata in tutti i corsi di laurea in fisica del globo. Infine, è non è un dettaglio di poco conto, la scrittura di Bohr non ha certo la virtù della trasparenza. Tutti i testi scritti da Bohr dopo il 1927 (anno della prima formulazione del suddetto principio di complementarità), cui egli consegna il distillato del suo continuo ripensamento sulle peculiarità del mondo quantistico, si muovono all’insegna di una prosa spesso faticosa, che non ha mai smesso di mettere a dura prova le doti esegetiche (nonché la pazienza!) dei molti interpreti che si sono succeduti. Al di là di quel valore storico cui abbiamo accennato in apertura, dunque, cosa possiamo attenderci dalla riproposizione di una figura apparentemente inattuale sia dal punto di vista della fisica, sia dal punto di vista della filosofia che quella fisica pareva suggerire? Non poco, in effetti.  

Niels Bohr è stato tra i primi scienziati a cogliere l’importanza vitale di una ricerca collettiva, che sarebbe stata favorita dalla creazione di adeguate strutture e anche da un clima di apertura intellettuale e umana. Come vedremo con qualche dettaglio in più nelle pagine seguenti, l’istituto creato da Bohr a Copenaghen sarebbe divenuto un punto di riferimento per la comunità scientifica internazionale, un luogo di fermento creativo e amore per la libera discussione che avrebbe attirato i migliori intelletti del continente europeo e non solo. Con l’avvio dell’era atomica, questa attenzione avrebbe dato luogo alla creazione dapprima di un’istituzione scandinava (il NORDITA, l’Istituto Nordico per la fisica teorica) e successivamente del Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire, che sarebbe diventato – con l’acronimo CERN – il più importante laboratorio della fisica delle particelle al mondo. Coerentemente con questa attitudine, Bohr ha anche sempre mostrato grande sensibilità per il ruolo sociale della scienza e per i problemi della collocazione delle ricerche in fisica nucleare in un mondo politicamente instabile. Una sensibilità che era parte della sua stessa formazione morale, dimostrata in numerose occasioni, non ultima quella legata al ruolo che Bohr svolse nella resistenza antinazista prima della sua fuga dalla Danimarca. […]

In una direzione più marcatamente intellettuale, poi, ci sono varie ragioni per ricostruire questo capitolo della storia scientifica occidentale nel Novecento. In anni più recenti si è assistito a un lavoro di attenta ricostruzione delle analisi epistemologiche di Bohr, un lavoro che ha permesso di liberarlo da un’immagine quasi oscurantistica che non gli apparteneva, e di cogliere una multidimensionalità in grado di appassionare ancora il lettore contemporaneo. Questa ricostruzione rende Bohr ancora decisamente stimolante per chi abbia a cuore l’interrogazione filosofica sulle implicazioni della fisica: magari in modo meno elegante di Einstein, e senza l’esplicito tributo di quest’ultimo al pensiero filosofico in senso stretto, ma questo aspetto è senz’altro un’eredità fondamentale e tuttora viva del fisico danese.

F. Laudisa, Dalla fisica alla filosofia naturale. Niels Bohr e la cultura scientifica del Novecento, Bollati Boringhieri, Torino 2023.