Particolare della copertina

In libreria

Octavio Paz nel suo secolo

di Christopher Domínguez Michael. A cura di Massimo Rizzante. Traduzione di Stefano Pradel

1 dicembre 2023
Versione stampabile

Leggendo la biografia di Octavio Paz scritta da Christopher Domínguez Michael si può, forse per la prima volta, misurare in tutta la sua ampiezza la singolarità della traiettoria esistenziale e intellettuale di uno dei grandi poeti-critici del XX secolo (solo Yeats, Valéry, Pound ed Eliot condividono la profondità analitica e la grandezza poetica di Paz). Il biografo è riuscito, infatti, oltre che a documentare e a descrivere l’impegno e la vocazione dello scrittore messicano, ad apportare una profonda e originale riflessione sulla sua opera letteraria, in particolare sulla poesia matura, scritta da Octavio Paz durante i suoi soggiorni in India negli anni Cinquanta e Sessanta, fino a quella prodotta dopo il suo ritorno in Messico negli anni Settanta. Infine vi si trovano raccontate, in modo lucido e privo di sotterfugi ideologici, la grande avventura letteraria e politica della rivista “Vuelta”, la svolta liberale del poeta nel corso degli anni Ottanta e le sue prese di posizione dopo il 1989 e la rivolta neozapatista nel Chiapas.

Christopher Domínguez Michael è biografo, critico letterario e saggista latinoamericano
Massimo Rizzante è professore presso il Dipartimento di Lettere e filosofia dell'Università di Trento
Stefano Pradel è docente presso il Dipartimento di Lettere e filosofia dell'Università di Trento

Dal Capitolo IV: «Interludio: il Messicano nel suo labirinto» (pp. 177-236)

Paz deve parte della sua celebrità a un saggio in cui racconta la creazione della nazione messicana. Il labirinto della solitudine, inoltre, è parte integrante dell’interpretazione di uno degli eventi più discussi della storia: la conquista dell’impero Azteca avvenuta meno di cinquecento anni fa per mano di un manipolo di soldati inviati dall’imperatore Carlo V d’Asburgo. 
    Il labirinto della solitudine è la narrazione di come l’indio si sia ritrovato da un giorno all’altro ad essere orfano di tutto: un uomo che non solo aveva perso i suoi dei, ma che li aveva visti a tal punto sconfitti da non poterne più immaginare il ritorno. Durante il Vicereame infatti furono pochissimi gli indios che si ribellarono e che chiesero la restaurazione delle loro divinità. L’importanza di questa opera fra i libri di argomento nazionale è dovuta al fatto che Paz come scrittore fece più strada dei suoi predecessori. Raccontando la Conquista trasformò l’origine dei messicani nell’origine di quel nuovo Occidente che è l’America Latina. Il libro piacque perché colui che narra la nostra storia è un poeta surrealista e non un cristiano (figura che di solito custodisce il nostro particolare cattolicesimo) e perché si tratta di una storia di riconciliazione tra l’Occidente e l’Altro. Inoltre è un saggio scritto da un “nazionalista messicano” (non è importante in questa sede chiarire equivoci e implicazioni che oggi, rispetto al tempo in cui fu scritto il saggio, comporta tacciare qualcuno di nazionalismo).
    Nella versione spagnola di 1001 libri da leggere prima di morire (2007) si afferma: “Potrebbe sembrare che un libro composto da nove saggi sui diversi aspetti del carattere nazionale messicano sia una scelta insolita all’interno di una lista di romanzi imprescindibili. Eppure Il labirinto della solitudine rappresenta un’innovazione della finzione in prosa. È un romanzo di apprendistato, analitico e intensamente poetico che mostra la formazione non di un individuo bensì di un’identità nazionale. [...] Il libro descrive il Messico in un momento cruciale della sua costruzione e allo stesso tempo è critico nei confronti di alcuni aspetti dell’identità messicana: il maschilismo, l’ipocrisia, la rozzezza e i ruoli sessuali inamovibili. In questa opera Paz è in parte un antropologo e in parte un semiologo che interpreta i segni sui quali si edifica la cultura messicana: dai codici delle bande di giovani messicano-americani fino ai rituali pubblici del Día de los muertos. Fa valere inoltre la sua eloquenza di poeta, tanto che ogni pagina del libro mostra penetrazione istintiva, riferimenti precisi e ricercatezza verbale”. 
[…]
Il labirinto della solitudine è fra le opere che con maggior enfasi contribuirono al culto letterario della Rivoluzione, conseguenza di cui Paz forse si pentì, dato che dal 1951 divenne critico nei confronti del marxismo-leninismo e della sua diffusione internazionale. Quella messicana non fu una rivoluzione qualsiasi: sanguinosa e fotogenica ebbe come risultato un regime autoritario e corrotto. Tuttavia, rispetto al suo secolo, fu estranea al Terrore ideologico, elemento che non soltanto Paz ma anche molti storici marxisti perseguitati tanto dal nazismo quanto dallo stalinismo celebrarono. Sebbene, come ogni altra rivoluzione che si rispetti, non smise di essere una rivoluzione tradita.
[…]
    L’istinto di morte è l’orbita entro cui gravita Il labirinto della solitudine. A tal punto da permettere a lettori attenti come Thomas Mermall di sottolineare l’estrema fedeltà di Paz allo spirito di Freud de Il disagio della civiltà (1930). Per Paz vivere nel tempo storico significa esistere in uno stato di eterna repressione che è possibile esorcizzare soltanto attraverso l’abolizione della storia. L’età dell’oro – punto di coincidenza di marxismo e psicoanalisi – va collocata all’inizio e non alla fine della storia. Corrisponde al “principio di piacere” freudiano che, secondo Mermall, in Paz è associato al mito e allo stato prenatale. Essendo impossibile tornare al nulla, l’unica via per un poeta come Paz, estraneo al nichilismo e pessimista in misura ragionevole, è l’erotismo, l’impulso vitale. 

Dalla postfazione di Massimo Rizzante, «L’onore dei poeti» (pp. 401-406)

Mentre stavo correggendo le bozze del libro di Domínguez Michael, a un certo punto mi è sorta una curiosità. Quali opere di Octavio Paz sono oggi disponibili in Italia? A parte Il labirinto della solitudine, di sicuro il suo saggio più noto e tradotto in molte lingue, praticamente nient’altro. Negli anni Ottanta e Novanta, in seguito al Nobel e alla sua morte, alcuni saggi, L’arco e la lira, In India, La duplice fiamma e un’antologia della poesia, Vento cardinale e altre poesie, erano ancora reperibili. Poi, il silenzio. Un silenzio editoriale rivelatore. 
    A chi importa oggi leggere uno dei tre o quattro (con Seferis, Yates, Eliot, Valéry) poeti-critici più importanti del XX secolo? A chi importa leggere le opere dell’intellettuale più influente dell’America Latina? A chi importa di un poeta messicano che ha attraversato tutte le tappe storiche del XX secolo, dalla Rivoluzione messicana alla Guerra civile spagnola, dalla Rivoluzione bolscevica alla Rivoluzione cubana, dalla Seconda guerra mondiale alla Rivoluzione culturale cinese, dai campi nazisti alle purghe staliniane, dalla dissidenza ai regimi militari dell’America Latina, dalla fine del comunismo alla rivolta neozapatista? Che ha vissuto in America Latina, in Europa, negli Stati Uniti, in Giappone, in India interrogandosi, forse come nessun altro, sulle grandi civiltà concludendo che tutte le strade si incrociano in un punto che non è l’Occidente e la sua civiltà, “ma lo spirito umano che obbedisce ovunque e in ogni momento alle stesse leggi”? Che ha sperimentato, dal surrealismo alle derive dell’avanguardia, tutti gli splendori e le miserie della modernità artistica? A chi importa oggi la poesia del XX secolo? Oggi si preferiscono ricordare gli orrori storici del secolo scorso, ma si dimentica che quello che è stato definito il «secolo dei totalitarismi» non è stato segnato soltanto dai crimini provocati da quei regimi, ma anche dalla grande poesia, conseguenza diretta di quei regimi, che scrittori e artisti crearono perché noi, giunti dopo, non commettessimo l’errore di ridurre tutto un secolo ai suoi crimini. Se nel XXI secolo i ponti con il passato stanno crollando uno dopo l’altro è anche a causa di questa nostra memoria che fissandosi sui crimini della Storia ha smesso di accogliere l’arte come suo strumento di comprensione. Per comprendere la Russia di oggi, infatti, non basta lo story-telling di giornalisti, storici e politici. Servono i romanzi di Tolstoj e di Dostoevskij. Così come per comprendere l’America Latina dei narcos e dei golpe servono i saggi di Alfonso Reyes e di Octavio Paz. 
[…]
    Come tutti i grandi spiriti Octavio Paz non ha mai smesso di partecipare all’eterna querelle tra Antichi e Moderni. Eterna perché ogni epoca è, allo stesso tempo, sempre antica e moderna. 
    Figlio del XX secolo, e perciò erede della duplice radice illuministica e romantica, Paz, come scrive Domínguez Michael, pensava che “il poeta è critico perché moderno ed è moderno perché critico”. Si può perdonare a un poeta moderno di non disporre di tutti gli strumenti e perfino di riservare alla poesia solo i suoi stupori, offrendo un’immagine di sé che non può essere quella di nessuna persona viva. Quel che invece è difficile perdonare a molti artisti, bardi, romanzieri e uomini di scienza della generazione di Paz è come siano riusciti, scrive Domínguez Michael, “a vendere o affittare al potere totalitario un catalogo quasi infinito di alibi”, a mettersi un paraocchi, o a rimanere indifferente dinanzi a crimini di dominio pubblico. 
[…]
Al poeta onorevole spetta, in altre parole, un unico impegno: ascoltare qui ed ora, quale che sia la sua condizione storica e la sua volontà di cambiamento, “l’altra voce”, la voce che viene prima di ogni modernità, che è antimoderna perché è insensibile ai cambiamenti della Storia, che non nutre “nessuna illusoria speranza umana o paradisiaca” e che, per questa ragione, è in grado di pronunciare sempre “parole sacrileghe e blasfemie permanenti”.
    La rivoluzione e la poesia, per l’ultimo Paz, nascono dallo stesso desiderio: sono tentativi di distruggere il tempo presente e di instaurare un altro tempo. Tuttavia il tempo della poesia non è il tempo della rivoluzione, il tempo della ragione critica, il tempo delle utopie: “è il tempo prima del tempo, il tempo della vita anteriore che riappare nello sguardo del bambino, il tempo senza date”. Per l’ultimo Paz il poeta è critico perché antimoderno ed è antimoderno perché critico. 

© Mimesis Edizioni 2023 .