Un particolare della copertina.

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DANTE E LA TRADIZIONE GIURIDICA

di Claudia Di Fonzo

16 marzo 2017
Versione stampabile

L'intreccio tra sapere giuridico, teologico e filosofico è il milieu culturale nel quale nasce e matura la Commedia di Dante Alighieri e tanta poesia romanza delle origini. Il volume, finanziato nell'ambito del Prin (Progetti di Ricerca di Rilevante Interesse Nazionale) diretto da Diego Quaglioni, professore di Storia del Diritto medievale e moderno II presso l'Università di Trento, offre una rilettura originale di Dante e della sua opera alla luce della tradizione giuridica antica e medievale, da Cicerone (cui è dedicata la prima parte del libro) a Bartolo da Sassoferrato, senza trascurare il dantismo giuridico del Trecento e la tradizione di commento antica alla Commedia. Il capitolo conclusivo è dedicato alla innovazione iconografica di cui Dante è il protagonista e che lo accredita come quinto evangelista (così nell'affresco del Palazzo dei giudici e dei notai di Firenze).

Claudia di Fonzo è professoressa di Diritto e letteratura presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento.

Dal capitolo "Filosofia e tradizione giuridica - Introduzione. Un palinsesto dantesco" (pp. 21-23)

Il rapporto tra letteratura e diritto è paradigmatico nelle letterature romanze e in quella delle origini italiane, in Dante, Cino da Pistoia, Pietro Alighieri, Alberico da Rosciate e Bartolo da Sassoferrato, per citare solo coloro dei quali si parla in questo libro. Del resto la letteratura ebbe funzione autoritativa già nel Corpus Iuris giustinianeo, ma anche il diritto informò la letteratura greca e latina. Inoltre i produttori di poesia sono spesso giuristi. Quest'ultima è una questione assai rilevante, ma è un capitolo ampio e complesso che necessita di essere sviluppato altrove. Certo è che il “diritto comune” fu un fattore di unificazione culturale europeo. Alla base di questa intersezione tra diritto e letteratura c'è il modello di Cicerone. 
Il rapporto stretto tra letteratura e diritto è fondamentale anche nella letteratura provenzale. Il processo è un modello sotteso a molta di questa letteratura. Si possono enumerare diversi esempi di letteratura volgare con implicazioni analogiche suggerite da un terzo campo culturale, il giuridico. Come il partimen, anche il contrasto o disputatio si regge su un discorso binario dalla struttura oppositiva, secondo il tipico esprit de controverse medievale, ma il genere contrasto può maturare alla luce di un modello giuridico. La Disputatio rosae cum viola di Bonvesin da la Riva, contemporaneo di Dante, a giudizio di Maria Corti, è palesemente costruita come more iuridico: in essa il processo è una grande struttura metaforica che vede come contendenti la rosa e la viola e come giudice il giglio dei campi. La studiosa nota che «non solo si individuano loci argumentationum, consecutio, conclusio, petitio affectuum, minutio, sententia, cioè l'analogia di relazione o analogia strutturale, ma Bonvesin usa con precisione la terminologia del genus iudiciale, quei vocaboli tecnici, spie del modello». Sul terreno verbale la Corti nota che se diffinisce fa riferimento alla sententia diffinita, argumenta è l'atto di argomentare, plaizan rievoca il placitant (“testimoniano in un placito”); sul terreno nominale segnala: per drigo, per rason, somma, sententia ecc. «Bonvesin, come i trovatori che cantano l'amore, o gli autori del partimen, usufruisce di un modello giuridico non solo in quanto elemento strutturante, ma come fonte di prestigio per il messaggio che egli intende comunicare». L'oggetto vero del contendere non sono la rosa e la viola; attraverso i tre livelli di lettura del testo, letterale, etico, socio-politico, «lo scrittore lombardo mette alla fine sul banco degli imputati i signori con i loro vizi e i popolani con le loro virtù». Un processo ideale e utopico alla realtà storica descritta nel finale di De magnalibus Mediolani. Ecco dunque svelata, scrive la Corti, la ragione della struttura iudiciale della Disputatio: «il modello giuridico le conferisce autorità e prestigio». 
L'assunzione di un modello analogico, con il suo lessico tecnico, ha radici nella tradizione medievale latina. Vi è una fase più tarda (XVIII-XIV secolo) in cui testi latini in versi e in prosa replicano il debat romanzo, la sua funzione di strutture giuridiche e retoriche, come per il genere della disputatio il cui esemplare è il “Processo di Satana”. L'applicazione di un modello analogico di origine giuridica è un gioco della antica lirica francese come di quella spagnola e portoghese.
Tuttavia, continua la Corti, ai tempi di Dante le cose sono cambiate rispetto all'epoca della lirica trobadorica e siciliana. Lo stilnovismo di marca dantesca usufruisce oramai di un modello analogico assunto dai testi dei grandi mistici. L'uso del modello mistico si realizza nella produzione di Dante in tre fasi: Vita Nuova, Convivio, Commedia.
Vita Nuova: il mistico sta alla divinità come il poeta sta alla donna, che diventa analogo di proporzionalità della charitas mistica. All'amore profano vengono trasferite proprietà dell'amore mistico, tra cui l'ineffabilità, così come, di contro, all'amore mistico sono trasferite alcune proprietà dell'amore profano, quali l'irresistibilità, per connotare l'anelito e il desiderio. Nel Convivio il lessema ineffabile è applicato non già alla visione della donna amata ma alla contemplazione della donna gentile, cioè della filosofia. Nella Commedia l’excessus mentis del personaggio poeta è descritto con l'ausilio del linguaggio metaforico usato da Riccardo di San Vittore. 
La Corti rintraccia un genere di trasposizione analogica anche nel De vulgari eloquentia. Il campo prescelto è quello della riflessione linguistica. Ma il tipo di analogia rintracciato è diverso da quello individuato in questa sede: qui si propone di rintracciare l’analogia di significato tra la lingua materna (il volgare) e la lingua che Dio parlava con l’uomo prima della fattura e del peccato che ha frantumato e moltiplicato quella lingua in diverse lingue e, all’interno di queste, nei vulgaria municipalia.
Questione per nulla secondaria e autorevolmente frequentata e indagata è quella che si apre nel merito della Commedia in ordine al problema della colpa e della punizione, come pure quella relativa alla conoscenza che Dante ebbe del diritto civile giustinianeo e del diritto canonico. Dobbiamo inoltre ricordare che Dante fu un fuoriuscito, un esiliato che la sua patria aveva respinto per sempre e fu un emblema per quanti poi ebbero ragioni di amarezza nei confronti della conduzione della città e non solo della città. Lo scrittore della Vita Nuova, scrive John A. Scott, si trasforma nell'esule che esalta «tre soggetti nobili per il genere poetico più elevato, la canzone – salus, venus e virtus» per poi abbracciare «tutte le vicissitudini umane e persino l’intero cosmo nella sua Commedia».

Per gentile concessione di Carocci editore.