Particolare dalla locandina del convegno
 

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Diritto penale e modernità

di Roberto Wenin e Gabriele Fornasari

31 maggio 2017
Versione stampabile

Il presente volume dal titolo "Diritto penale e modernità. Le nuove sfide tra terrorismo, sviluppo tecnologico e garanzie fondamentali. Atti del Convegno. Trento, 2 e 3 ottobre 2015" raccoglie gli atti della conferenza che si è svolta presso la Facoltà di Giurisprudenza e che ha visto la partecipazione di esperti internazionali su questi temi.

Roberto Wenin è dottore di ricerca in Studi Giuridici Comparati ed Europei, Università di Trento. Gabriele Fornasari è professore di Diritto penale e Diritto penale internazionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento.

Dalla Prefazione (pp. 9-13)

Those who would give up essential Liberty,
to purchase a little temporary Safety,
deserve neither Liberty nor Safety.
(Benjamin Franklin)

The Security Council, […] condemning in the
strongest terms all acts of terrorism
irrespective of their motivation, whenever and
by whomsoever committed, as one of the most
serious threats to peace and security…
(Resolution 1624 (2005)

I gravi fatti di terrorismo avvenuti nel tempo intercorso tra la stesura della presentazione del convegno e la pubblicazione degli atti mi hanno indotto a riflettere.
In un suo recente contributo Massimo Donini si chiede: il clima politico, ermeneutico, giudiziario in Italia sarebbe differente se gli attentati si fossero verificati da noi? La stampa e l’opinione pubblica chiederebbero ai giudici e all’accademia da che parte stanno? La situazione nella quale si svolge il nostro dibattito non è ideale, ma semplicemente spesso astratta da una realtà che esiste in altre parti del mondo.
Per rendersene conto basti riflettere sulle naturali reazioni di fronte ai più “banali” episodi di microcriminalità che ci colpiscono personalmente e che sfociano istintivamente in richieste di maggiore sicurezza e rigore repressivo.
Eppure ho ritenuto di mantenere quanto allora scritto per la presentazione dell’iniziativa, consapevole del monito sulla funzione del pensiero critico, sforzandomi di fare della censura il pregio rispetto ad una lucidità di pensiero, talora apparentemente asettica, alla quale come dottrina siamo chiamati in quello che è un delicato gioco di equilibri.
Il presente convegno nasce da un progetto di ricerca, che porta il medesimo titolo, il quale cerca di confrontarsi con le attuali sfide alle quali è chiamato il diritto penale, nella vertiginosa evoluzione tecnologica che caratterizza le società odierne. In tal senso un sentito ringraziamento va naturalmente alla Provincia autonoma di Trento e alla sensibilità da questa mostrata nel sostenere e favorire, tramite impegni concreti, la ricerca e il dibattito, non solo scientifico, rispetto a temi di profonda attualità e delicatezza che rappresentano le sfide con le quali è chiamata a confrontarsi la moderna società.
La rete globale nella sua dimensione virtuale rappresenta talora un mondo parallelo a quello reale, nel quale si infrangono i tradizionali limiti dimensionali, come ad oggi conosciuti. Tale luogo virtuale, delocalizzato e, al contempo, globalizzato, impone non solo di riconsiderare i problemi di disciplina, anche futura, in una prospettiva essenzialmente sovranazionale, ma di rivedere altresì il contenuto dogmatico di categorie fondamentali della teoria del reato e della procedura penale.
La rete globale ha creato dimensioni e spazi inaspettati, non solo per lo svolgimento di attività lecite, ma anche per rapporti di natura illecita o delinquenziale. Proprio per la sua dimensione globale e sovranazionale, la rete rappresenta il terreno di elezione per un altro fenomeno, quello del terrorismo internazionale di matrice fondamentalista, che pare sfuggire ai tratti caratteristici del diritto penale tradizionale, incentrato sul rapporto cittadino-Stato e abituato a confrontarsi su di un piano culturale di natura essenzialmente omogenea. Il disagio nell’affrontare tale fenomeno, così lontano dal tradizionale modello di criminalità organizzata, emerge già nelle difficoltà ad offrire una definizione unitaria di terrorismo; difficoltà che hanno spinto a privilegiare soluzioni di contrasto spesso settoriali, così dando adito alla critica di una valenza essenzialmente politica della scelta punitiva. La rete per le sue caratteristiche – anonimato, rapidità e dinamicità dei flussi comunicativi, impatto mediatico – ha rappresentato lo strumento ideale per condotte di proselitismo, addestramento, reclutamento, reperimento di risorse e preparazione di attentati per fini terroristici. La dimensione sovranazionale del fenomeno criminoso e la natura “adimensionale” delle nuove tecnologie hanno reso sempre più pressante l’esigenza di una reazione a livello sovranazionale, innalzando organismi internazionali quali il Consiglio d’Europa, l’Unione europea, l’Onu a protagonisti indiscussi di una nuova fase di contrasto, con connessi problemi in termini di legittimazione democratica. Lo sforzo verso una progressiva armonizzazione delle legislazioni nazionali, presupposto indefettibile per un’efficace strategia di contrasto, impone l’adozione di un metodo comparato che consenta di cogliere il reale contenuto delle modifiche normative, frutto spesso di frenesie interventiste legate all’emotività del momento.
Gli attuali interventi del legislatore italiano, per lo più attuati mediante decreto legge, riproducono troppo spesso consueti schemi, legati all’inasprimento sanzionatorio, volti più a rassicurare la popolazione che a rappresentare reali strumenti di contrasto rispetto a fenomeni che richiederebbero processi sinergici operanti su più piani e non meramente repressivi. Sono di tutta evidenza i limiti e l’insufficienza del diritto penale, soprattutto laddove lasciato solo.
La gravità della minaccia spinge sempre più l’intervento statuale, in un’ottica preventiva e punitiva, verso forme di anticipazione della tutela a condotte meramente prodromiche, spesso socialmente neutre, in cui rischia di assumere un valore esorbitante l’elemento volontaristico della direzione finalistica della condotta.
Tale frenesia interventista porta, nell’ottica panpenalistica, a rovesciare i tradizionali postulati dello Stato liberale, con perdita del carattere frammentario del diritto penale.
L’inevitabile ineffettività legata al ricorso esasperato allo strumento penale, che espone a pericolo la stessa coerenza sistemica, viene poi a sua volta rielaborata con il messaggio propagandistico della necessità di un maggiore rigore nel far rispettare la legge. Al contempo l’emergenza terroristica instilla l’idea di una ineluttabile restrizione della libertà in favore della sicurezza, in ragione di un’asserita dicotomia fra sicurezza e libertà posta in termini di incompatibilità, sul presupposto che il probo cittadino non avrebbe nulla a temere e, anzi, una sua eventuale resistenza sarebbe quantomeno sospetta, secondo schemi tipici dei regimi totalitari.
Il pericolo diviene allora proprio quello di un’enfatizzazione e strumentalizzazione delle paure e insicurezze sociali al fine di veicolare limiti alle libertà, secondo il criterio dell’innesto all’apparenza innocuo e senza effetti collaterali.
L’arduo compito appare essere dunque quello di trovare un difficile equilibrio tra esigenze di tutela e la coerenza ai principi fondamentali di uno Stato liberale. Se da un lato è pur vero che non esiste una sconfinata prateria di internet dove tutto è permesso e niente è vietato, la retorica imperante sulla necessità di controlli rischia di sacrificare una quota eccessiva di libertà in nome di una sicurezza talora solo apparente; libertà che costituisce il tratto caratteristico di una realtà acefala divenuta strumento principale di manifestazione del pensiero e luogo primario dello sviluppo economico e sociale.
Il convegno, strutturato su varie sessioni, di cui qui si pubblicano gli atti, mirava dunque a confrontarsi con i problemi testé evocati, soffermandosi su tematiche sia di diritto sostanziale sia di natura processuale.

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