Immagine tratta dalla copertina del libro

In libreria

ATLANTE GEOPOLITICO DELLO SPAZIO POST-SOVIETICO

di Simone Attilio Bellezza

9 marzo 2016
Versione stampabile

Simone A. Bellezza ha conseguito un primo dottorato di ricerca all’Università Ca’ Foscari con una tesi sull’occupazione tedesca dell’Ucraina centro-orientale e un secondo dottorato presso la Scuola superiore di Studi Storici dell’Università di San Marino, studiando il dissenso nazionale ucraino negli anni ’60. Il filo conduttore di entrambe le ricerche era lo studio del movimento nazionale ucraino e delle forme di appartenenza nazionale nel XX secolo. È stato Shklar visiting fellow allo Harvard Ukrainian Research Institute nel 2008 e docente a contratto di storia dell’Europa orientale all’Università di Trento dal 2011 al 2013. Ora è collaboratore di ricerca presso lo stesso Ateneo. È membro della redazione della rivista «Snodi. Pubblici e privati nella storia contemporanea».

Introduzione

Sono passati quasi venticinque anni da quando l’Unione Sovietica, nel dicembre del 1991, ha cessato di esistere. I paesi occidentali, dopo un breve periodo di entusiasmo, si resero conto che la scomparsa di un così importante soggetto internazionale non aveva affatto reso più semplice governare il mondo: malattie, carestie, guerre, terrorismo e flussi di migranti e profughi ripresero a flagellare l’umanità quanto e più di prima. L’attenzione del mondo politico e scientifico occidentale si è così gradualmente spostata su altri scenari come quello medio-orientale, oppure sull’Asia e sull’America del sud dove nuovi e potenti stati, come Cina, India e Brasile, divenivano protagonisti di una crescita economica travolgente quanto squilibrata. L’interesse verso il vecchio nemico russo è andato scemando assieme alla convinzione che esso non rappresentasse più la minaccia che aveva intimorito il mondo durante la Guerra fredda. Nel frattempo la Russia, ferita nell’orgoglio dalla propria implosione economica e istituzionale, trovò nel mercato energetico quella fonte di guadagno che le permise di rimettersi in piedi e di ripensare il proprio ruolo internazionale, rivendicando una posizione alla pari con gli altri grandi attori internazionali quali gli Stati Uniti d’America, l’Unione Europea e la Cina.
Ciò che avveniva in Russia, soprattutto a partire dall’ascesa al potere di Vladimir Putin nel 1999, non fu però chiaro agli osservatori occidentali. Il potere emanato dal Cremlino prese di nuovo ad ammantarsi di mistero, di (servizi) segreti, di decisioni prese apparentemente da un uomo solo, il cui carisma è celebrato in toni simili a quelli sovietici. Inoltre, ciascuna delle quindici repubbliche nate dalla dissoluzione dell’URSS aveva intrapreso un proprio specifico percorso nella transizione dall’economia socialista a quella di mercato, complicando ancora più lo scenario complessivo.

La guerra ancora in corso fra Russia e Ucraina ha così preso di sorpresa quasi tutti, rimettendo su schieramenti contrapposti gli USA e l’UE da una parte e la Russia dall’altra. Se i primi dichiarano di voler difendere il diritto all’autodeterminazione e a un governo democratico di tutte le nazioni, la seconda considera queste dichiarazioni pura propaganda, utilizzata per coprire un nuovo imperialismo occidentale, che circonda la Russia di basi militari e ne ostruisce il libero sviluppo economico. Dal canto loro USA e UE guardano con sospetto a una Russia decisa a riaffermare il proprio ruolo di dominatrice sugli stati dell’ex impero sovietico e sono preoccupati dallo spregio con cui Mosca affronta le questioni dei diritti umani e della forma di governo democratica: così lo scontro ideologico sembra prevalere sulla necessità di comprensione reciproca.
Questo volume vuole invece invertire la rotta rispetto ai toni partigiani e da crociata che hanno caratterizzato le analisi dell’attuale crisi fra Russia e Occidente, scaturita dalla guerra ucraina. Lo si è fatto riunendo esperti dei tanti differenti ambiti che costituiscono lo spazio ex sovietico e chiedendo loro di valutare quale fosse stata l’evoluzione di ciascuna specifica tematica nel quarto di secolo appena passato. Ciascun saggio contiene anche una o due cartine nelle quali si è rappresentata graficamente la questione trattata, aggiungendo così un ulteriore livello di spiegazione altrimenti difficilmente ottenibile con le sole parole: anche prima della civiltà dell’immagine in cui viviamo, visualizzare un problema ha sempre aiutato a comprenderlo. Ogni saggio presta poi attenzione alla questione dell’eredità sovietica: è questo un ambito sul quale non si è riflettuto sufficientemente nemmeno a livello della ricerca storica e sociale internazionale. I secoli passati sotto il potere zarista e poi, ancor più, i settant’anni di potere sovietico non sono passati senza lasciare una profonda eredità in questi paesi, un’eredità che consisteva anche – lo si dimentica troppo spesso – in una rivendicazione di alterità rispetto allo sviluppo del “progresso occidentale”. È quest’ultimo fattore che sembra essere riemerso nel confronto in atto: la vera differenza consiste nel come si è gestita e si vuole continuare a gestire questa eredità.

Questo libro rappresenta un seppur cortissimo passo in avanti nella comprensione di questa dinamica, che sicuramente costituirà l’ambito privilegiato delle future ricerche nelle scienze umane e forse anche dell’evoluzione della politica internazionale mondiale (Beissinger - Kotkin 2014).
Un altro tratto comune di moltissimi contributi è l’utilizzo delle parole  nazione ed etnia. Si tratta di parole di difficile definizione perché il loro significato è cambiato nel tempo e ancora cambia secondo quanto ciascun autore decide di attribuirgli. Al nostro lettore basti sapere che con il termine di nazione, soprattutto dopo la Rivoluzione francese, si intende una comunità civile e politica che è percepita come tale dai singoli membri che aspirano a costituire o hanno già costituito un organismo statale entro dei confini geografici precisi, talvolta in opposizione o in confronto ad altre comunità (Anderson 1996). L’etnia è anch’essa una “comunità percepita” dai propri membri, ma per i quali l’elemento discriminante costitutivo dell’appartenenza è rappresentato da un mito delle origini: un nome identificativo, una storia comune e talvolta una lingua, una religione, un territorio condiviso. Con l’espressione nazione (a base) etnica si intende perciò una comunità politica nella quale l’elemento caratteristico dei singoli membri sia per l’appunto l’appartenenza a una specifica etnia (Smith 1992). È però importante tenere a mente che le nazioni non sono soltanto etniche e che nella storia abbondano anche le nazioni politiche e civili, ovvero basate su una comunanza di valori e di progettualità politica: esempi classici sono gli Stati Uniti d’America (nazione di migranti con differenti origini etniche), l’Unione Sovietica (unione di popoli per la costruzione del comunismo) e, seppure in fieri, la stessa Unione Europea.

Come si noterà dalla lettura, troppo spesso la definizione di quali debbano essere i confini delle comunità etniche e politiche di appartenenza è oggetto di scontro e funge da giustificazione della guerra. La nostra speranza nel congedare questo libro è che il lettore acquisti maggiore coscienza di quanto sfumati e incerti siano questi confini, che con tanta spocchiosa sicumera vengono rivendicati da stati impegnati fra loro in conflitti tanto bellici quanto ideologici. Se ci si interroga su quanto siano giustificate le rivendicazioni russe in difesa della popolazione russofona in Ucraina o nel Baltico, o se sia davvero possibile che Russia e Cina costituiscano un blocco di alleanze opposto a quello fra Stati Uniti e Unione Europea, questo volume intende fornire, se non una risposta, almeno una mappa con la quale orientarsi, che è poi ciò che si richiede a qualsiasi buon atlante.

Per gentile concessione de La Scuola.