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AI CONFINI DELL'UNITÀ D'ITALIA

di Luigi Blanco

4 maggio 2016
Versione stampabile

Luigi Blanco insegna Storia delle istituzioni politiche presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell'Università di Trento. Fra le sue opere più recenti, si segnalano le curatele "Organizzazione del potere e territorio. Contributi per una lettura storica della spazialità" (Milano 2008), "Dottrine e istituzioni in Occidente" (Bologna 2011) e con C. Tamanini "La storia attraversa i confini. Esperienze e prospettive didattiche" (Roma 2016).

"I confini dell’Unificazione"

A quali confini si fa riferimento allorché si indaga il lungo e tormentato processo dell’Unificazione nazionale italiana? Solo ed esclusivamente ai mutevoli confini politici, vale a dire esterni, che hanno segnato, per oltre mezzo secolo, le tappe del «lungo Risorgimento»? Quale ruolo e importanza assegnare ai confini degli antichi Stati della Penisola che saltano in contemporanea con la nascita del nuovo Stato unitario? Si può adoperare una prospettiva confinaria per rileggere questo processo? E, prima ancora, in cosa consiste e in che modo si può praticare, qualora risulti praticabile, una tale prospettiva? Quanti e quali profili si possono individuare, anche se non isolare, al suo interno e a quali risultati euristici si può pervenire?
Intorno a questi interrogativi, non sempre esplicitamente formulati e tematizzati, si sono sviluppate le riflessioni e le discussioni che hanno portato all’organizzazione e alla realizzazione, nell’ambito delle iniziative per il centocinquantesimo anniversario della nascita dello Stato unitario, del convegno «Ai confini dell’Unità d’Italia», di cui il presente volume rappresenta il frutto maturo. 
In via preliminare, va dichiarato che il titolo del convegno, che è poi anche quello del presente volume, si presta volutamente a interpretazioni diverse. Può essere letto, infatti, da un lato, come una sottolineatura e una problematizzazione dell’importanza strutturale, o costitutiva, delle tante periferie che compongono questo «paese troppo lungo», per riprendere il titolo di un volume del 2009 o le più risalenti considerazioni geopolitiche di Napoleone dal suo esilio di Sant’Elena; ma può indicare anche, dall’altro, una prospettiva, un punto di vista da cui osservare un processo che ha comunque avuto una guida, una conduzione unitaria, nonostante i tanti attori e le molteplici strategie, e uno svolgimento tendente ben presto, per convinzione o per necessità, alla centralizzazione politica e amministrativa.
Porsi «ai confini dell’unità d’Italia» significa, del resto, già di per sé sottolineare esplicitamente la varietà, le differenze costitutive del nostro Paese, la complessità della sua storia pre- e post- unitaria. E significa altresì, per ciò stesso, avere una consapevolezza ancor più acuta dell’immane sforzo, del vero e proprio ‹miracolo› che – grazie a tante circostanze, volute e cercate, ma anche impreviste e fortuite – si è realizzato con il «triennio glorioso», la sua lunga preparazione (non circoscrivibile al solo decennio cosiddetto appunto di «preparazione»), e l’altrettanto lungo e complesso svolgimento e compimento del Risorgimento nazionale. 
L’adozione di una prospettiva confinaria, utilizzata peraltro come semplice orientamento, neppure sempre esplicito, delle riflessioni sviluppate nei contributi pubblicati in questo volume, non sarebbe stata possibile senza lo sviluppo eccezionale che negli ultimi decenni hanno conosciuto i cosiddetti border studies, con le molteplici piste di ricerca in essi confluite. Strettamente connessi alla crisi degli Stati nazionali e all’allargamento degli orizzonti storiografici, conseguenza anche dei processi di decolonizzazione e della necessità di superare l’eurocentrismo dominante negli studi storici, tale filone di studi ha condotto a una nuova problematizzazione del confine in prospettiva storica. La messa in discussione della concezione lineare della frontiera, espressione, a dire il vero, relativamente recente del potere politico sovrano a dominanza statuale, e la sottolineatura del suo carattere zonale, mobile e poroso (non solo relativamente all’Età Moderna) hanno posto in evidenza la strutturale ambivalenza della nozione di confine con le sue funzioni di demarcazione, da un lato, e di intersezione, dall’altro. Ambivalenza che assume altresì le caratteristiche di una ambiguità di fondo, consistente nell’esaltazione dei simboli di manifestazione del potere e dei legami di appartenenza, ma anche, contemporaneamente, nell’accettazione e/o nella promozione, in virtù della prossimità con l’Altro, di forme attenuate e flessibili di manifestazione della sovranità.
Accanto al filone dei border studies, una nuova attenzione storiografica si è manifestata, a partire dagli anni novanta del secolo scorso, per la spazialità e il territorio. Rimossa e marginalizzata dallo storicismo imperante nelle scienze sociali ottocentesche, la dimensione spaziale è stata al centro di una svolta (spatial turn) che ha interessato molte discipline, a cominciare dalla storia, e che ha ridato concretezza e materialità alla nozione di territorio. Di quest’ultima si è contestata, anzitutto, la sua presunta naturalità e immobilità, per rimarcare, invece, il suo essere prodotto di un processo di continua costruzione e produzione storica, strettamente legato alle pratiche sociali degli individui  e agli investimenti, scientifici, culturali, economici, di cui esso è oggetto . La rivalutazione della dimensione spaziale dei processi e dei fenomeni storici è stata altresì fondamentale per gli studi politico-istituzionali, contribuendo a svelare quanto utopica fosse la previsione di un territorio perfettamente omogeneo, come base dell’esperienza statuale dell’Occidente europeo, e, al contrario, quanto differenziato e plurale sia stato il dato territoriale nella costruzione dello Stato moderno, e non solo nell’esperienza d’Antico Regime.
Tornando agli interrogativi iniziali sembra si possano individuare, tra i tanti possibili, e non riferibili solo al contesto politico-amministrativo, alcuni principali profili, non precisamente separabili, intorno ai quali articolare e precisare una prospettiva confinaria per la rilettura del processo di Unificazione nazionale che ha portato alla nascita dello Stato unitario italiano e sui quali mi limiterò a svolgere solo alcune considerazioni sintetiche e a indicare possibili piste di ricerca e di approfondimento.
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Il primo di tali profili, alquanto scontato, e che a dire il vero non viene né tematizzato esplicitamente, né tantomeno programmaticamente sviluppato nei contributi di seguito pubblicati, concerne le connotazioni fisico-geografica e giuridico-politica del nuovo confine anelato e fissato come obiettivo strategico dal politico Risorgimento della nazione italiana.
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I confini di cui si tratta prevalentemente nel presente volume, però, non sono quelli del nuovo Stato unitario e nazionale che si costruisce nel corso del tempo e si completa dopo un tragico conflitto mondiale; a essere posti sotto i riflettori sono soprattutto i confini interni, quei confini degli antichi Stati, che sono anche i confini delle molteplici appartenenze nazional-regionali o delle «nazioni prima della nazione», che andavano abbattuti (o che saranno derubricati in confini amministrativi) per poter erigere sulle loro ceneri la nuova nazione del Risorgimento.
«Fare l’Italia» e «costruire lo Stato» sono le due facce della stessa medaglia; indicano processi indissolubilmente intrecciati, ma pure estremamente diversificati. Essi utilizzano materiali diversi, abbisognano di risorse diverse, si misurano su tempi diversi. Da sempre al centro del dibattito storiografico, negli ultimi anni è stato soprattutto il primo dei due processi, sulla scia della nuova riflessione ‹culturalista› riservata al tema della nazione in quanto «comunità immaginata», a catalizzare la discussione storiografica, ponendo l’attenzione sui materiali di diversissima provenienza, spesso pre-politica, che portano alla realizzazione di quel «manufatto artificiale» che è la moderna nazione italiana e al riconoscersi in essa; ma, così facendo, sono rimasti in ombra e ai margini quegli altri legami di appartenenza (municipali, regional-nazionali, statuali) che rimarranno vivi e molto forti nonostante il processo di assorbimento delle antiche entità statuali della Penisola nella nuova compagine nazionale. 
In modo analogo, anche il processo di costruzione del nuovo Stato unitario necessita di una rilettura che riesca a coniugare il punto di vista della guida del processo, vale a dire delle aspirazioni unitarie, con quello delle vecchie formazioni politiche che sono costrette a cedere il passo. Non bisogna infatti scordare che per il nuovo Stato unitario che nasce, altri sette crollano. Cosa rimane delle tradizioni amministrative e legislative di questi Stati in eredità al nuovo Stato in via di costruzione? Pure questo interrogativo ha a che fare molto con il tema dei confini.
Non si tratta di riprendere la polemica e la contrapposizione, sempre attuale, tra unitaristi e federalisti , dietro la quale è destinata a riemergere anche quella tra gli ideali dei secondi e il realismo dei primi. Piuttosto si tratta di proporre una rilettura che adoperi uno sguardo incrociato dal centro e dalla periferia, o meglio dalle tante periferie, al plurale, nell’analisi del processo di formazione e costruzione del nuovo Stato unitario; significa interrogarsi sulle molteplici tradizioni, amministrative, ma non solo, che concorrono, secondo modalità, densità e velocità diverse, alla fondazione e strutturazione del nuovo Stato; significa ridare valore e consistenza alle differenze, a quel complesso assemblaggio di storie diverse, a quella polifonia territoriale, municipale, ‹identitaria› o di appartenenza, che caratterizza l’intera storia della Penisola, senza per questo svalutare, sminuire o, peggio ancora, mettere in discussione il processo di Unificazione nazionale.Per compiere un’operazione di questo tipo si rende necessario ricorrere a uno sguardo storico più lungo, che sia in grado di interrogare le vicende del compimento del Risorgimento nazionale a partire dalla storia degli Stati preunitari. Questo il punto di vista che si è cercato di proporre in questo volume. L’Ottocento, in modo particolare la sua prima metà, è rimasto per molto tempo, almeno da quando la storia del Risorgimento è stata marginalizzata se non espunta dagli ordinamenti didattici universitari, una sorta di terra di nessuno: negletto dai contemporaneisti, sempre più spinti a occuparsi del Novecento – anche per via della rilevanza assunta nei programmi d’insegnamento –; ignorato dai modernisti, preoccupati di cimentarsi con un’epoca storica estranea ai propri confini disciplinari. Nel caso italiano poi, per quanto la situazione sia decisamente migliorata negli ultimi tempi grazie all’impegno di numerosi studiosi, il secolo XIX, il lungo Ottocento, ha sofferto di una divisione a metà dovuta alla vicenda dell’Unificazione nazionale che è stata vissuta, a ragione, come spartiacque, ma che ha impedito spesso, per ciò stesso, di interrogarsi sulle grandi continuità, strutturali e culturali.

Per gentile concessione di Fondazione MST - Museo Storico del Trentino.