Mauro Politi, foto archivio Università di Trento

Internazionale

MAURO POLITI NEL COMITATO SUI DIRITTI UMANI DELL’ONU

Il docente di diritto internazionale dell’Università di Trento eletto tra i nuovi 9 membri del Comitato

25 luglio 2014
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Marinella Daidone
di Marinella Daidone
Lavora presso la Divisione Comunicazione ed Eventi dell’Università di Trento.

Un esperto italiano torna a sedere nel Comitato sui Diritti Umani dell’Onu (Organizzazione delle Nazioni Unite). Si tratta del professor Mauro Politi, ordinario di diritto internazionale presso la Facoltà di Giurisprudenza e la Scuola di Studi Internazionali dell’Università di Trento, eletto tra i nuovi 9 membri del Comitato. L’elezione è avvenuta nelle scorse settimane a New York nell’ambito dell’Assemblea degli Stati Parti del Patto delle Nazioni Unite del 1966 sui diritti civili e politici. Il professor Politi, oltre alla sua attività di docente universitario, ha ricoperto importanti incarichi sia presso l’Onu che presso la Corte Penale Internazionale. Gli abbiamo rivolto alcune domande.

Professor Politi, era dal 1999 che un italiano non faceva parte del Comitato sui Diritti Umani dell’Onu. Un incarico di grande prestigio e un grosso impegno. Ce ne può parlare?

Le sono grato per questa domanda. In effetti era dal 1999 che l’Italia non sedeva nel Comitato. L’ultimo era stato il professor Fausto Pocar e da allora l’Italia non aveva più presentato candidature per questo organismo, che è particolarmente importante nel campo dei diritti umani perché chiamato a monitorare il rispetto delle disposizioni del Patto internazionale del 1966 sui diritti civili e politici. Questo è un ruolo particolarmente significativo. L’Italia è sempre stata costantemente impegnata nel campo dei diritti umani all’ONU: ricordiamo le battaglie per la moratoria sulla pena di morte e il costante impegno tenuto dalla rappresentanza presso le Nazioni Unite, fin dai tempi in cui ne ero il consigliere giuridico.  Quindi si è trattato di una candidatura legata all’interesse costante che l’Italia ha mostrato per il tema dei diritti umani e all’impegno, sia mio personale che del governo, nel ristabilire una presenza italiana in questo organo.

Il lavoro da fare nell’ambito dei diritti umani è enorme. Quale ruolo è chiamato a svolgere il Comitato?

Il Comitato ha un ruolo particolarmente significativo nel campo del monitoraggio del rispetto dei diritti umani (in particolare i diritti individuali fondamentali, quali il diritto alla vita, alle libertà civili, al giusto processo ecc.) da parte degli Stati che fanno parte del Patto. Il Comitato ha due compiti. Il primo è quello di esaminare i rapporti che periodicamente gli Stati devono presentare al Comitato sui modi e le misure prese per rispettare tutte le regole del Patto. Il Comitato non è una corte, quindi non decide con sentenza, però può esprimere delle opinioni, dei punti di vista che sono molto importanti sul piano giuridico e politico e può soprattutto fare delle raccomandazioni agli Stati su quali misure debbano adottare per rispettare le disposizioni del Patto. 
Vorrei sottolineare anche un altro aspetto particolarmente significativo: al Patto del 1966 si è aggiunto un protocollo facoltativo, al quale hanno aderito circa 120 paesi su 168, che consente anche ai singoli individui di sottoporre delle richieste al Comitato sui Diritti Umani. Quindi ci sono tutta una serie di domande individuali che vengono esaminate e rispetto alle quali il Comitato fa a sua volta delle raccomandazioni. Il Comitato diventa quindi quasi una corte dei diritti dell’uomo, anche se le sue decisioni e i pareri non sono vere e proprie sentenze, ma il loro valore politico, oltre che giuridico, è altissimo.

Che tipo di questioni e di argomenti vengono sottoposti al Comitato?

Ho già accennato al fatto che il Comitato si occupa della conformità dell’azione degli Stati alle regole del Patto che riguardano i diritti umani fondamentali: in particolare, oltre al diritto alla vita, i diritti relativi alle libertà di espressione, di culto, di associazione, di rispetto delle garanzie del giusto processo. Ma questa è soltanto una esemplificazione.

Professore, Lei continuerà anche il suo impegno accademico?

Certo, l’impegno accademico proseguirà. Il lavoro del Comitato mi impegnerà molto nell’esame di rapporti e di procedure, che ancora non conosco in dettaglio. Entrerò a far parte effettivamente del Comitato dal 2015. Oltre al lavoro di preparazione cui accennavo, dovrò partecipare a 3 sessioni nell’arco di un anno, due a Ginevra e una a New York. Si tratta quindi di un incarico compatibile con l’impegno accademico a Trento, cui tengo moltissimo.

Tra i suoi precedenti incarichi c’è stato quello di giudice e promotore della Corte Penale Internazionale. Come giudica il ruolo della Corte?

Certamente la Corte è cresciuta parecchio, ha molti casi davanti a sé e oggi non si può immaginare una società internazionale senza una corte che punisca questi crimini particolarmente efferati. Questo è un dato altamente positivo. Ci sono naturalmente tutta una serie di problemi relativi alla cooperazione degli Stati con la Corte, ai rapporti con i paesi africani, all’arresto di coloro che sono raggiunti da mandati di cattura e a molte altre questioni che vanno affrontate con grande determinazione. 

Il 17 luglio è stata la giornata dedicata alla giustizia penale internazionale. Pensa che iniziative di questo tipo possano sensibilizzare l’opinione pubblica su questi temi?

Sì, penso che siano utili. Bisogna mantenere viva la fiamma della giustizia penale internazionale, per cui in tanti ci siamo battuti a partire dagli anni antecedenti al 1998. Un percorso che si concluse il 17 luglio di quell’anno, alla conferenza di Roma quando venne adottato il trattato internazionale istitutivo della Corte Penale Internazionale.
Una ricorrenza che quest’anno assume un valore particolarmente significativo per l’Italia perché abbiamo la presidenza di turno dell’Unione europea, quindi anche le riunioni della Corte Penale Internazionale saranno presiedute dall’Italia. 

Alla luce della sua esperienza, pensa che possiamo essere ottimisti e sperare in un mondo più giusto?

L’ottimismo e la fiducia per un modo più giusto sono i fattori che mi hanno spinto a occuparmi di queste materie. Quando si cominciò a parlare della creazione di una Corte Penale Internazionale, molti dicevano che non sarebbe mai accaduto. Invece la determinazione, la forza e la volontà della società civile e di molti governi, compreso quello italiano, hanno dato risultati: sono passi importanti che non avremmo fatto se non fossimo stati ottimisti. Nonostante i problemi e le difficoltà, bisogna ora continuare ad agire per rispondere alla domanda di giustizia che costantemente ci viene rivolta.