Filippo Grandi. Foto di Roberto Bernardinatti, archivio Università di Trento

Internazionale

L’EX COMMISSARIO ONU FILIPPO GRANDI SI RACCONTA

Come sono cambiati le crisi internazionali, gli aiuti e il ruolo degli operatori umanitari ONU

6 maggio 2015
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Serena Beber
di Serena Beber
Lavora presso la Divisione Comunicazione ed Eventi dell’Università di Trento.

Nell'ambito del ciclo di seminari “Fare una carriera internazionale. Da dove partire? Conversazioni con gli operatori esperti”, organizzato dalla Scuola di Studi Internazionali, Filippo Grandi, ex Commissario Generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei profughi palestinesi nei paesi del Vicino Oriente (UNRWA), ha raccontato la sua esperienza sul campo in qualità di operatore umanitario. 

Grandi ha iniziato ringraziando la Scuola di Studi Internazionali e in particolare il professor Paolo Foradori per l'invito, in quanto "il tema delle crisi internazionali e degli aiuti umanitari è più che mai urgente ora che le crisi sono sempre più vicine a noi, non possiamo ignorarne cause e conseguenze. Non possiamo 'farci l'abitudine', rimanere quasi impassibili davanti alla crisi che bussa sempre di più alle nostre porte, con migliaia di vite perse nel Mediterraneo, con migliaia di persone che fuggono da situazioni di guerra e sottopongono le nostre società occidentali a pressioni continue". 

Una carriera nell’ambito degli aiuti umanitari, ha ricordato Grandi agli studenti, pone delle sfide intellettuali crescenti, richiede una preparazione accademica ma anche personale, caratteriale, etica. "Il mio impegno sul campo è iniziato in Thailandia, come volontario di una ONG attiva nel soccorso di un campo profughi sul confine con la Cambogia. Oggi siamo tutti più esposti, forse più informati, ma 30 anni fa per me entrare in un ospedale da campo fu sconvolgente. Noi eravamo visualmente meno esposti ad immagini di sofferenza, malnutrizione, malattia e morte. Eravamo meno preparati all’impatto emotivo di questo lavoro. Tuttavia quel giorno compresi il valore del lavoro umanitario e iniziai la mia strada per lavorare in questa direzione". 

Grandi ha ammesso che le missioni umanitarie richiedono una capacità di compromesso che inizialmente gli è pesata molto. "Sempre in Thailandia compresi che i nostri aiuti non potevano arrivare a destinazione senza la collaborazione con gli aggressori, con chi era la causa della sofferenza dei rifugiati stessi. Mi fu chiesto di accompagnare un camion di aiuti alimentari verso il campo. Ci parcheggiammo lungo la strada e dalla boscaglia uscirono i guerriglieri e, senza che nessuno intervenisse, si impossessarono di tutto il cibo. Ero infuriato, deluso, sconvolto. Come potevamo chiamarci operatori umanitari ed essere allo stesso tempo complici degli aguzzini? Nel corso degli anni compresi che l'unico modo per poter operare in queste situazioni era trovare un accordo, un compromesso, sia pratico sia morale, e che la politica sarebbe sempre stata prevalente". Nel suo racconto Grandi sottolinea come questo accada in ogni conflitto: è impossibile portare sollievo ai rifugiati nella Striscia di Gaza senza dialogare con Hamas, alle vittime dell’ISIS senza interagire con i capi del Califfato.

Grandi ricorda il clima di ottimismo che aveva pervaso l’ONU all’indomani della caduta del muro di Berlino. La fine del mondo bipolare faceva presagire un futuro senza rifugiati: una previsione totalmente disattesa. Al contrario, le crisi si sono moltiplicate nel mondo multipolare, dove spesso è difficile identificare il nemico. La messa in vetrina da parte dei mass media degli elementi più violenti delle tragedie umanitarie, dei genocidi, la ‘guerra in diretta’, ha rallentato l'azione dei leader occidentali nell'intervento in zone di crisi. "Nel 2010, in Somalia, alcuni soldati ONU furono catturati, uccisi e trascinati lungo le strade di Mogadishu. Le immagini furono trasmesse in tutto il mondo. Da quel momento sparì l’ottimismo e, parzialmente, anche la voglia di rischiare dei leader occidentali. L’azione ONU divenne più lenta e meno incisiva”.

Con una brillante carriera trentennale in operazioni umanitarie, Filippo Grandi è uno dei diplomatici di massimo livello delle Nazioni Unite, verso cui ha parole di lode e di biasimo. Definisce l'ONU "Un'organizzazione complessa, lenta, che non rispecchia la realtà odierna. Pensiamo solo all'assenza di Paesi fondamentali come Brasile e India in seno al Consiglio di Sicurezza. Allo stesso tempo l’ONU rappresenta tutte le nazioni del mondo e la sua azione è quindi legittimata dalla sua stessa struttura. Le decisioni non sono guidate da interessi nazionali”.

Il diplomatico ha concluso il suo racconto ricordando le parole di apertura della Carta delle Nazioni Unite “Noi, Popoli delle Nazioni Unite, [...]" ed invitando a tornare a focalizzarsi sulle persone, sui popoli e non sulle nazioni, "perché questa è l'unica strada per ritornare a una condizione di pace e sicurezza".