Giovedì, 29 dicembre 2016

Atrofia muscolare: ricercatori al lavoro su una terapia non-invasiva

Pubblicati su “Science Translational Medicine” i risultati di uno studio clinico. Tra gli autori 4 ricercatrici attive al CIBIO

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Come una corsia preferenziale che permette di arrivare alla meta in modo diretto, veloce, sicuro. È la strada che potrebbe aprire uno studio clinico sull’atrofia muscolare spinale e bulbare pubblicato da “Science Translational Medicine” nei giorni scorsi: la strategia utilizzata consiste nel somministrare un composto per via intranasale, la quale permette di raggiungere i neuroni malati e i tessuti periferici attraverso il sistema nervoso centrale.

L'atrofia muscolare spinale e bulbare (in sigla SBMA, che sta per “Spinal and Bulbar Muscular Atrophy”), nota anche come malattia di Kennedy, è una malattia neurodegenerativa dalle conseguenze pesanti. Comporta la perdita dei motoneuroni che partono dal midollo spinale e che controllano il movimento del corpo e il movimento della muscolatura scheletrica. Tale malattia è dovuta a una mutazione del recettore degli androgeni e si manifesta nella popolazione maschile perché gli uomini hanno elevati livelli di androgeni rispetto alle donne.

Maria Pennuto - ©Roberto Bernardinatti archivio Università di TrentoTra gli autori dello studio pubblicato su “Science Translational Medicine” ci sono Maria Josè Polanco, Diana Piol, Mathilde Chivet e Maria Pennuto (nella foto - ©Roberto Bernardinatti - archivio Università di Trento), tutte ricercatrici attive al Dulbecco Telethon Institute del Centro di Biologia integrata – Cibio dell’Università di Trento, alcuni colleghi che da tempo collaborano con loro: Andrew C. B. Cato, Albert R. La Spada, Fabio Sambataro, Kenneth H. Fischbeck e Illana Gozes e ricercatori di altre istituzioni.

«Il nostro studio – spiegano le ricercatrici del Cibio di Trento – identifica una molecola (peptide), una proteina solubile, che può essere assunta per via intranasale e che in questo modo passa direttamente nel sistema nervoso centrale raggiungendo così quei neuroni che controllano i movimenti del corpo e dello scheletro, neuroni che invece è difficile raggiungere per via endovenosa o intramuscolare. Inoltre, abbiamo verificato che il peptide ha effetto anche su tessuti periferici, quali il muscolo scheletrico stesso».

Un laboratorio del CIBIO - ©Alessio Coser archivio Università di TrentoQuale potrebbe essere il risultato? «La proteina, una volta raggiunti i motoneuroni malati, riduce i livelli del recettore degli androgeni mutato e quindi rallenta il progredire della malattia mitigandone le conseguenze».

Lo studio è stato cofinanziato da Telethon (Italia e USA), dalla Provincia autonoma di Trento e da altre associazioni nazionali e internazionali.

Gli autori dell’articolo (“Adenylyl cyclase activating polypeptide reduces phosphorylation and toxicity of the polyglutamine-expanded androgen receptor in spinobulbar muscular atrophy”) sono:

Maria Josè Polanco, Diana Piol, Mathilde Chivet e Maria Pennuto (Università di Trento, Italy); Sara Parodi, Stefano Espinoza, Andrea Contestabile e Anna Rocchi (Istituto Italiano di Tecnologia, Italy); Conor Stack, Christopher Grunseich e Kenneth H. Fischbeck (NINDS-NIH, USA); Helen C. Miranda e Albert R. La Spada (University of California, San Diego, USA); Patricia M.-J. Lievens (Università di Verona, Italy); Tobias Jochum e Andrew C. B. Cato (Karlsruhe Institute of Technology, Germany); Raul R. Gainetdinov (St. Petersburg State University, Russia); Andrew P. Lieberman (University of Michigan, Ann Arbor, USA); Fabio Sambataro (Università di Udine, Italy); Illana Gozes (Tel Aviv University, Israel).

Un abstract dell’articolo è disponibile all’indirizzo: http://stm.sciencemag.org/content/8/370/370ra181