Capolettera d'un manoscritto dell'Isagoge. Foto Wikimedia Commons

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La malattia nel medioevo

Diagnosi e cure tra scienza filosofia e religione

9 dicembre 2021
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Francesca Bonini
Alessandro Palazzo
di Francesca Bonini e Alessandro Palazzo
Francesca Bonini è collaboratrice presso il Dipartimento di Lettere e filosofia dell’Università di Trento. Alessandro Palazzo è professore presso il Dipartimento di Lettere e filosofia dell’Università di Trento

La storia della medicina medievale è un ambito di studio vasto e complesso. Posta al crocevia di altri saperi (teologia, filosofia della natura, fisiognomica, alchimia e astrologia), la medicina costituisce una delle componenti principali della civiltà medievale nelle sue diverse articolazioni linguistico-religiose (Occidente cristiano, Islam, Ebraismo e mondo greco-bizantino) e nelle sue scansioni cronologiche, dall’epoca tardo-antica agli albori del Rinascimento.

Le istanze religiose, i condizionamenti sociali, l’organizzazione del sistema educativo e i rapporti con gli altri saperi influenzano il sapere medico medievale conferendogli caratteristiche peculiari. La preoccupazione per la salvezza dell’anima dà corpo ad una medicina spirituale che si intreccia con la cura del corpo. Nel mondo latino, ad esempio, Cristo è il modello del sofferente, ma anche il medico che offre la salvezza alle anime inferme a causa del peccato originale. Ai medici è richiesto non solo di conoscere e praticare l’arte con competenza, ma anche di ispirare la propria attività all’esercizio della carità nei confronti dei malati. Una serie di principi di deontologia stabiliscono inoltre i confini di liceità di alcune pratiche.

Nel corso del Medioevo la medicina si dota di solide basi teoriche attraverso un confronto sistematico con le opere biologiche di Aristotele e con i testi medici greci, arabi ed ebraici tradotti in latino (il corpus ippocratico-galenico, il De febribus di Isaac Israeli, il Liber ad Almansorem di al-Rāzī, il Canon di Avicenna, il Colliget di Averroè, ecc.). Nascono le scuole e i centri di studio – la più famosa è la Scuola di Salerno – e, a partire dalla fine del XII secolo, le Facoltà di medicina delle Università. A questa proliferazione di luoghi del sapere corrisponde una ricca letteratura in latino e in volgare. Il modello concettuale ippocratico-galenico viene recepito e adattato alle particolari circostanze. Secondo tale concezione, la malattia si configura come il disequilibrio dei 4 umori (sangue, flemma, bile gialla e bile nera) presenti nel corpo umano. Il medico è chiamato a ripristinare la proporzione tra gli umori. A questo scopo, prescrive specifiche terapie, raccomanda un determinato regime di vita, consiglia misure profilattiche. Gli interventi sono attuati sempre tenendo conto della posizione degli astri, le cui influenze sui corpi umani non si possono ignorare se si vuole ottenere la guarigione del malato.

Nel Trecento, tuttavia, i medici (i maestri della Facoltà di Medicina di Parigi, Jacme d’Agramont, Gentile da Foligno, Giovanni della Penna, ecc.) furono incapaci di spiegare entro lo schema nosologico ippocratico-galenico, e quindi su base umorale, la pandemia di Peste nera (1347-1350), descritta da Boccaccio nel Decameron. La ricca trattatistica sul tema (i cosiddetti Pestschriften) evidenzia chiaramente quanto i discorsi sulla peste fossero viziati da un approccio pre-laboratoriale (il bacillo della peste fu scoperto da Alexander Yersin solo nel 1894). Le misure preventive e le terapie suggerite sortirono effetti scarsi o nulli sulla diffusione. Medici e filosofi della natura credettero di identificare le cause del morbo nei fattori astrologici (le cause remote) o nella corruzione dell’aria di varia origine (le cause prossime), mentre nessuno sospettò il ruolo giocato dalle pulci dei ratti infetti come vettori del contagio di peste bubbonica. I medici rimasero anche piuttosto scettici sulla possibilità di una trasmissione per via aerea da uomo a uomo (peste polmonare). Anche i meccanismi dell’infezione dell’organismo rimasero sostanzialmente incompresi.

Ai vani tentativi di razionalizzazione da parte della scienza medievale si contrapposero varie spiegazioni soprannaturalistiche e isteriche. Come già era accaduto con la peste giustinianea nell’Alto Medioevo, anche la Peste nera fu spesso considerata una punizione collettiva inflitta da Dio agli uomini per i loro misfatti e fu interpretata escatologicamente come il preannuncio dell’apocalisse. Su questo sfondo diventano comprensibili le invocazioni dei santi e della Vergine, i riti pubblici di pentimento e le pratiche di automortificazione. Il senso di una catastrofe imminente allentò il rispetto delle norme morali e delle convenzioni sociali e fu all’origine di insensati bagordi. Il bisogno di trovare le cause della peste partorì vari capri espiatori: i lebbrosi, gli stranieri, i ricchi e, soprattutto, gli Ebrei, contro i quali furono messi in atto frequenti pogrom.

Il convegno “Prospettive mediche e filosofiche sulla malattia nel medioevo”, svoltosi presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Trento nei giorni 3 e 4 novembre 2021, organizzato dal professor Alessandro Palazzo e dalla dottoressa Francesca Bonini, ha indagato la concezione medievale di malattia e di cura. L’evento, parte del progetto postdoc “Agostino da Trento: peste e astrologia nel Trecento trentino”, supportato da Fondazione Caritro, ha analizzato le intersezioni e le connessioni tra la medicina, la filosofia e le altre scienze in epoca medievale.