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Vita universitaria

Una mappa per arrivare a destinazione con il ritmo giusto

Focus Piano strategico. Intervista col rettore Flavio Deflorian

12 maggio 2022
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di Elisabetta Brunelli
Ufficio Stampa e Relazioni Esterne dell'Università di Trento

Il rettore Flavio Deflorian traccia le peculiarità del primo Piano strategico post-pandemia. Tra flessibilità, finanziamento a stati di avanzamento, monitoraggio dell’efficacia delle azioni

Rettore, qual è la rotta dell’Università di Trento?

È una rotta protesa in avanti, come è sempre stato per l’Università di Trento. Guardiamo lontano, senza dimenticare il mondo che ci ospita. Così, il Piano strategico che abbiamo approvato, è fortemente radicato nel territorio trentino perché vuole essere una leva di sviluppo per la comunità locale, ma al tempo stesso aperta al mondo come è necessario per un’istituzione universitaria che vuole avere un impatto a livello globale nella formazione, nella ricerca e nella terza missione.

L’Università, come tutta la società, è stata segnata dalla pandemia. L’esperienza di questa emergenza, che da un giorno all’altro ha costretto a rivedere e riorganizzare ogni cosa, ha richiesto un impegno straordinario per garantire la continuità della didattica e della ricerca nonostante le difficoltà, ha portato anche nuova consapevolezza e senso di responsabilità. Cosa avete riversato di tutto ciò nel Piano strategico?

Il rettore Flavio Deflorian Foto Archivio UniTrentoUno dei valori che abbiamo riversato è la flessibilità intesa come capacità di adattare, in tempi rapidi e in maniera più efficiente possibile, le proprie attività in funzione degli stimoli esterni perché ciò che abbiamo imparato con la pandemia è che avvengono delle cose intorno a noi che non sono prevedibili e che richiedono di adattare prontamente le azioni per raggiungere gli obiettivi che ci si è dati. Se penso che in due settimane abbiamo messo online tutta la nostra didattica in presenza, dico che abbiamo dimostrato una capacità superiore a quella che pensavamo di avere. E la flessibilità può essere preziosa anche quando si presentano condizioni esterne positive, come è accaduto con il piano straordinario del Pnrr che mette a disposizione delle risorse sulle quali solo qualche mese fa non si pensava di poter contare.

È anche per questo motivo che il Piano strategico 2022-2027 non prevede risorse definitive allocate in partenza: anno per anno, attività per attività, ma opta per un budget in cui le risorse vengono assegnate in modo dinamico. Cosa risponde a chi considera questa scelta come fonte di incertezza e motivo di preoccupazione invece che come strumento per cogliere opportunità nuove come il Pnrr?

Posso rispondere che allocare le risorse in modo dinamico con il finanziamento a stati di avanzamento ci permette di ottimizzarle. Va precisato, inoltre, che ogni azione può contare su un budget complessivo e la programmazione può essere fatta sull’intera cifra. Faccio un esempio. Se per un’azione è previsto budget 100 si potrà sicuramente programmarla con la previsione iniziale di spendere di 100, ma se alcune spese si dimostreranno poi non necessarie o se si era stimato un costo che poi non si realizza e basterà 90, quei 10 che sono rimasti potranno essere agevolmente essere messi a disposizione di chi invece aveva sottostimato le necessità e ha bisogno di 110. Il finanziamento a stati di avanzamento dei lavori è un finanziamento che è tipico di tutte le progettualità e tanti colleghi e colleghe già lo conoscono e non lo troveranno strano.

Prima di essere un documento, il Piano strategico è stato un processo. Qual è il valore di questi mesi di ascolto e dialogo? 

Sì, il Piano strategico ha valore anche come processo collettivo, partecipato, lavoro di squadra sia nella fase dell’ascolto sia in quella di elaborazione e di approvazione. Nasce da una relazione sinergica all’interno della comunità universitaria (le proposte sono state 143 da Strutture accademiche e gestionali; 35 da Prorettori/Prorettrici e Delegati/e del Rettore) e nel dialogo con il territorio (notevole è stato il contributo dei tavoli preparatori all’assemblea di ateneo). Si è andati oltre quanto prevede lo Statuto (che dice semplicemente che lo approva il CdA su proposta del Rettore e Senato Accademico). Qui si è chiesto un ruolo attivo al Cda, al Senato accademico, alla squadra di prorettori e prorettrici, ai miei delegati e delegate, alla rappresentanza studentesca.

Il Piano strategico è il più importante documento di programmazione pluriennale dell’Ateneo, ma ciò basta a evitare che venga vissuto dalla comunità universitaria come l’ennesimo adempimento da recepire?

No, non basta. Il senso che si dà a questo documento dipende da come ogni componente della comunità universitaria lo vivrà. Se lo si vede come un documento che invita a usare bene le risorse che sono state assegnate, allora può sembrare poco più di un adempimento amministrativo. Se, invece, lo ribaltiamo e consideriamo le risorse (che non sono solo risorse finanziarie, ma anche risorse umane, spazi, edifici e così via) come uno strumento per realizzare i nostri obiettivi, allora il Piano strategico diventa una mappa che ci aiuta a raggiungere l’obiettivo che ci siamo dati, la meta dove vogliamo arrivare. Credo che per la maggior parte della comunità universitaria sia passato il messaggio che il Piano strategico può essere utile nelle scelte programmatiche e che rispecchia la volontà e il desiderio della comunità universitaria. Non dice cose rivoluzionarie, ma codifica ciò che implicitamente già sapevamo. Un altro aspetto importante di questo Piano strategico è il monitoraggio degli obiettivi che ci siamo dati. Non andremo a misurare solo le azioni, ma gli effetti di queste azioni. Questo perché vogliamo fare un’analisi di dettaglio e vedere di migliorare le azioni che appaiono meno efficaci. Il Piano strategico diventa, quindi, anche uno strumento per capire se stiamo andando nella direzione voluta e se ci stiamo andando con il ritmo che avevamo previsto.