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I Gonzaga. Potenza e splendore di una casata

di Igor Santos Salazar

18 novembre 2022
Versione stampabile

I Gonzaga, abili politici, condottieri ricercatissimi da tutte le potenze italiche e ferventi mecenati, dominarono la città di Mantova per secoli. Il racconto della storia della dinastia, dalla loro prima comparsa nella documentazione e fino al raggiungimento del titolo ducale (1530), corrisponde a uno dei momenti più straordinari della storia politica e culturale d'Italia.

Attraverso l'indagine sulle vite dei principali membri della famiglia questo libro illustra lo stupefacente contesto politico attraversato dalla città del Mincio e dal suo territorio senza dimenticare il ruolo delle donne del casato, le basi economiche del potere dei signori di Mantova e l'eccezionale momento intellettuale e artistico della capitale del "piccolo stato" gonzaghesco, dove furono grandi protagonisti artisti e intellettuali quali Vittorino da Feltre, Pisanello, Andrea Mantegna e Giulio Romano.

Igor Santos Salazar è ricercatore presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento.

Dal Capitolo 7:  I Gonzaga e le arti: devozione, collezionismo e propaganda (pagg. 209-213).

Per iniziare il racconto del legame tra i Gonzaga e le arti conviene spostarsi lontano da Mantova, verso le sponde del Manzanarre. Nelle sale di pittura italiana del Museo del Prado è possibile affacciarsi su una delle più belle finestre della città di Virgilio e, nel mezzo della brulla Meseta castigliana, vedere scorrere il Mincio sullo sfondo della piccola tavola che rappresenta la Morte della Vergine, opera di Andrea Mantegna, il pittore che più di ogni altro si identifica con i Gonzaga.

Il quadro è custodito a Madrid sin dal XVII secolo e, da solo, narra molte delle particolari caratteristiche che si intrecciano nella relazione mantenuta tra i signori di Mantova, gli artisti al loro servizio e le vicende subite nel tempo dalle collezioni della dinastia. Oggi Mantova, la Lombardia, persino l’Italia non conservano che una minima parte di quelle opere che un tempo componevano le ricchissime raccolte di pittura, scultura e oggetti (argenteria, gioielli, vetri, ceramiche...) che furono vanto della famiglia e volano della loro fama in Europa, soprattutto durante gli anni del governo di Vincenzo I, il più grande collezionista del casato, il cui principato oltrepassa i limiti cronologici di questo libro (1587-1612).

Indagare sul particolare rapporto mantenuto tra i personaggi più in vista della dinastia e ogni forma di espressione artistica nei decenni che separano il tramonto del Medioevo dall’alba della Modernità è ostacolato dalla stessa storia delle collezioni ducali. Non sempre la dispersione e la perdita di quel patrimonio culturale scaturirono dalla guerra, dal fuoco e dall’incuria degli uomini. No, Napoleone non spiega tutto. Non sempre almeno. Mentre nella città e nel territorio dell’antico Stato moltissimi sono gli edifici ormai scomparsi (basti pensare alla palazzina della Paleologa), distrutti o pesantemente modificati (come la cattedrale mantovana o il palazzo di Revere), per incontrare parti dello straordinario “legato Gonzaga” bisogna oggi intraprendere lunghi viaggi tra i principali musei dell’Europa e degli Stati Uniti, da Mosca a Madrid, Parigi, Berlino, Vienna, Londra, Dublino, New York, Boston, Detroit... La ragione va ricercata spesso nelle vicende che colpirono Mantova e i Gonzaga a partire dal Seicento: i problemi economici portarono il duca Vincenzo II a intavolare trattative, nel suo pur breve governo (ottobre 1626 – dicembre 1627), per vendere al re d’Inghilterra Carlo I parte della Celeste Galleria ducale. 

L’acquisto di molti dei quadri, concluso dal mercante d’arte fiammingo e agente di Carlo, Daniel Nys, per quanto disastroso per il radicamento della raccolta a Mantova, si sarebbe rivelato provvidenziale: le opere vendute non subirono i danni del saccheggio della capitale dei Gonzaga da parte delle truppe imperiali avvenuto il 18 luglio 1630, nel contesto della guerra di successione al ducato. Inoltre, la funesta situazione economica del Mantovano, martoriato in quel lungo conflitto bellico, forzò il nuovo duca Carlo di Gonzaga-Nevers a vendere ancora parti del patrimonio artistico familiare prima e dopo quel terribile evento.

Tuttavia, la storia della dispersione delle raccolte non sarebbe finita così. Da una parte, alcune opere continuarono la loro avventura di mano in mano: la rivoluzione diretta da Oliver Cromwell e la decapitazione di Carlo I d’Inghilterra (1649) fecero sì che gran parte della raccolta regia fosse messa all’asta. Un collezionista come Filippo IV di Spagna non perse l’opportunità di acquistare dalla nuova Repubblica alcuni dei quadri del re inglese già un tempo proprietà dei Gonzaga in quella che fu definita «l’asta del secolo». Questo ulteriore passaggio di proprietà spiega il perché il Museo del Prado conservi oggi la Morte della Vergine e altre opere, come il ritratto di Federico II di Tiziano e la Madonna della Perla, dipinta da Giulio Romano.

Dall’altra parte, gli avvenimenti drammatici vissuti in Italia tra Settecento e Ottocento avrebbero portato via ancora altre opere. Basti pensare alla Madonna della Vittoria del Mantegna, rubata dalle truppe napoleoniche nel 1796 e mai più restituita. La pala è oggi conservata al Louvre, museo, si badi, che espone altre tele di casa Gonzaga giunte invece in Francia dopo regolare acquisto, come il Ritratto di giovane donna allo specchio di Tiziano – uscito da Mantova per entrare a far parte delle raccolte di Carlo I d’Inghilterra e poi rimesso sul mercato – e tele come Il Parnaso di Mantegna, donato da Carlo Gonzaga-Nevers al cardinal Richelieu insieme ad altre opere (di Lorenzo Costa, Perugino, Correggio) un giorno parte dello Studiolo di Isabella d’Este.

Non è compito di questo capitolo studiare i tempi dello smembramento e i differenti destini di una raccolta unica, la cui deflagrazione avrebbe avuto enormi conseguenze sulle forme della connoisseurship e sullo sviluppo del gusto in Europa tra il XVII e il XIX secolo. Non si pretende neanche scrivere una storia dell’arte a Mantova tra la seconda metà del Trecento e i primi decenni del Cinquecento. In modo più modesto, ma senza perdere di vista quel vastissimo orizzonte artistico, queste pagine vogliono illustrare in quali modi il rapporto tra i Gonzaga e le arti, nel tempo che va da Francesco I a Federico II, impregnò di significati politici e diplomatici il loro Stato, permeando il sistema di valori della società mantovana di quel periodo. 

Si vuole riflettere dunque sull’enorme valore simbolico degli edifici che andarono articolando, anche a livello inconscio, lo spazio urbano della capitale dei Gonzaga e sui sistemi di comunicazione visiva che le opere d’arte commissionate dalla famiglia crearono attraverso una rete di rapporti diplomatici e di affetti intessuti tra le diverse corti dell’Italia settentrionale, nel contesto di una costante competizione tra dinastie per circondarsi dei migliori architetti, pittori, scultori, letterati e musicisti; una gara stupefacente che mosse tra politica ed estetica e che ebbe come principale obiettivo cantare le glorie passate e presenti delle donne e degli uomini della più alta aristocrazia italica.

Per gentile concessione della Casa editrice Diarkos