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Fare spazio alla paternità. Essere padri in Italia tra nuovi modelli di welfare, lavoro e maschilità

di Maddalena Cannito

13 gennaio 2023
Versione stampabile

Il volume offre uno sguardo d’insieme e una riflessione critica sul tema della paternità in Italia, in questo cruciale momento di incontro fra mutamento e tradizione. Nell’approccio adottato, che combina gli studi di genere e sulla famiglia con quelli sui mutamenti del welfare e del lavoro retribuito, la paternità diventa lente per studiare le politiche e gli ambienti di lavoro e, allo stesso tempo, le policies e le organizzazioni diventano punto d’ingresso per lo studio della paternità. Grazie al ricco materiale empirico che include dati quantitativi e interviste, sia a padri che a manager aziendali, il volume restituisce un quadro composito delle politiche, aziendali e non, e della paternità fuori e dentro le aziende, in un gioco di rimandi che colloca lo studio su tre livelli: del welfare e delle sue trasformazioni, degli ambienti di lavoro, delle relazioni di genere e dei modelli di maschilità.

Maddalena Cannito è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento

Dall'Introduzione (pagg. 13 -15)

1. L'oggetto del volume

Il volume si propone di offrire uno sguardo d’insieme e una riflessione critica sul tema della paternità italiana – e dei modelli di genere e delle politiche ad essa connessi  –  in un momento cruciale di incontro fra mutamento e tradizione, a cui si accompagna una crescente presenza dei padri nella sfera privata. Solo in anni recenti, però, la paternità ha assunto lo status di fenomeno sociologico, divenendo oggetto di studio delle scienze sociali e parte integrante degli studi sulla maschilità nati, invece, intorno agli anni Ottanta del Novecento. In particolare, il tema del coinvolgimento paterno nella cura dei figli è sempre più al centro del dibattito pubblico e politico, anche italiano, declinato sia in termini di diritti degli uomini alla paternità, sia di doveri degli uomini di condivisione dei carichi di cura con le partner in un’ottica di promozione dell’occupazione femminile e del benessere dei bambini.

Nell’approccio adottato, che combina gli studi di genere e sulla famiglia con quelli sui mutamenti del welfare e del lavoro retribuito, la paternità diventa, allora, lente per studiare le politiche (sociali e non) e gli ambienti di lavoro e, allo stesso tempo, le politiche e le organizzazioni diventano punto d’ingresso per lo studio della paternità, in un gioco di specchi e di rimandi che colloca lo studio su tre livelli: del welfare e delle sue trasformazioni (livello macro), delle aziende e degli ambienti di lavoro (livello meso) e delle relazioni di genere (livello micro).

Da una parte, gli studi di genere offrono una serie di strumenti per costruire una griglia interpretativa gender sensitive per tutti i piani di analisi. L’idea è, infatti, quella di rendere manifesto – seguendo l’intuizione di Connell [2002] e Risman [2004]  –  come il genere sia intrinseco a istituzioni, soggetti individuali e collettivi, pratiche, politiche e processi culturali in particolare quando si parla di famiglie e di genitorialità.

Dall’altra parte, gli studi sui mutamenti del welfare state, nella direzione di una sempre maggiore integrazione di quello pubblico da parte di quello privato, permettono di svelare una serie di assunti non solo sui modelli lavorativi e di cittadinanza, ma anche sui modelli di maternità/paternità e maschilità/femminilità che permeano l’intera società. In particolare, l’analisi dei paradigmi che dominano i discorsi sul welfare, come quello dell’investimento sociale, e dei modelli lavorativi ad esso connessi fanno emergere una serie di contraddizioni che hanno effetti e si dispiegano anche nel modo in cui socialmente si pensano, costruiscono e performano i modelli di genere.

Per cogliere tutti questi aspetti e per rendere giustizia alla complessità dei processi sociali sono stati raccolti e analizzati dati empirici sia quantitativi che qualitativi. I primi sono frutto di un’analisi descrittiva sui dati dell’Inps relativi all’uso dei congedi parentali fra il 2009 e il 2019 e dei congedi di paternità fra il 2013 e il 2019 raccolti durante il triennio della ricerca di dottorato e aggiornati a quelli più recenti, e alcuni dati Istat sulla divisione del lavoro di cura in coppie con figli minori relativi agli anni 2002, 2008 e 2013 (ultima annata disponibile).

Il materiale qualitativo, invece, comprende 45 interviste semi-strutturate. Dieci di queste sono state condotte con manager delle risorse umane di aziende grandi, situate in Piemonte (anche se alcune sono parte di gruppi multinazionali) e considerabili family friendly perché implementano politiche per sostenere la conciliazione vita-lavoro dei propri dipendenti. Le altre 35 sono state condotte, invece, con padri lavoratori del settore privato con almeno un figlio sotto i tre anni, fra i quali 25 hanno utilizzato il congedo parentale.

La ricchezza del materiale garantisce la possibilità di operare riflessioni, sia indipendenti sia interconnesse, su più fronti. In particolare, i dati quantitativi costruiscono il quadro in cui le scelte dei padri prendono corpo, mentre il duplice sguardo di padri lavoratori e di manager delle risorse umane permette di esplorare punti di vista – talvolta convergenti, talvolta discordanti – relativi alle politiche (aziendali e non), ma anche relativi alla paternità fuori e dentro l’ambiente di lavoro.

Fare spazio alla paternità. Essere padri in Italia tra nuovi modelli di welfare, lavoro e maschilità, di Maddalena Cannito, il Mulino, 2022, p.256