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Vent'anni a guardare nella mente umana

Jeroen Andre Filip Vaes racconta il passato e il futuro del DiPSCo, a vent'anni dalla sua fondazione

16 gennaio 2023
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di Johnny Gretter
Studente collaboratore Ufficio stampa e relazioni esterne

Ci si aspetta sempre che ogni nuovo anno sia speciale e migliore di quello precedente.  Anche se questo, a volte, rimane solo un auspicio, il 2023 sarà sicuramente speciale per il Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive (DiPSCo), che festeggerà il ventennale della sua fondazione. Dal 2003, l’anno in cui l’allora Dipartimento di Scienze Cognitive e della Formazione ha trovato il suo spazio a Rovereto , le soddisfazioni non sono di certo state poche. Ora, il dipartimento vanta più di mille studenti e studentesse, il primo posto nelle classifiche Censis e la riconferma da Anvur come Dipartimento di eccellenza, arrivata appena due settimane fa. Ci siamo fatti raccontare questo pezzo di storia dell’Ateneo da Jeroen Andre Filip Vaes, docente di Psicologia sociale, nonché attuale direttore del dipartimento.

Professor Vaes, può raccontarci come si lavora in un campo di studi che cerca di comprendere la mente delle persone?

«La mente umana è un oggetto di ricerca complicato. Non esiste ancora un metodo perfetto e unitario per indagarla. Ecco perché è necessario ricorrere a discipline diverse, come l’antropologia, le neuroscienze, l’informatica, la psicologia, la filosofia, tutte discipline che entrano nelle Scienze cognitive. Il nostro dipartimento è nato proprio da quest'idea: integrare discipline diverse per arrivare a nuove conoscenze».

Un esempio di quello che fate al DiPSCo?

«Partiamo da un aneddoto. Lo scorso anno, al Consumer Electronics Show di Las  Vegas, è stata presentata un’auto in grado di cambiare colore. Certamente una grande innovazione, ma con un grande limite: una tecnologia come questa interessa davvero le persone? Non lo sappiamo, perché spesso non vengono analizzati i benefici per l’utente. Noi, a Rovereto, facciamo questo: studiamo come le tecnologie possono cambiare il nostro modo di vivere e come possiamo interagire con loro in modo realmente efficace».

È proprio questa unione di discipline che l’ha spinta a venire a fare ricerca a Rovereto?

«Nove anni fa, quando sono arrivato a Rovereto, non mi ha colpito solo l’interdisciplinarietà, ma anche il grande dinamismo e desiderio di innovazione. Credo che questo sia vero specialmente per Interfacce e Tecnologie della Comunicazione e Human-Computer Interaction, due corsi di laurea dedicati al rapporto tra l’uomo e la tecnologia che si affiancano a quelli più incentrati sulla psicologia e l’educazione professionale. Non credo che in Italia, anzi in tutti i paesi del Mediterraneo, esista un’altra laurea in interfacce come la nostra. Solitamente sono corsi in cui si studia principalmente informatica, mentre le discipline delle scienze umane che riguardano l’utente vengono lasciate sullo sfondo. Per UniTrento anche queste discipline sono invece fondamentali».

Sembra quindi che il Dipartimento di Psicologia Scienze cognitive abbia intuito molto presto i cambiamenti nel rapporto uomo-macchina.

«Sì, e soprattutto abbiamo messo al centro l’aspetto più umano di questo rapporto. Ma nel 2008, quando è stato attivato il corso triennale di interfacce, si faceva fatica a giustificare la sua esistenza. Non tutti capivano: era ancora qualcosa di pionieristico e sul territorio ancora non esisteva una professionalità per questo tipo di laurea. Adesso, invece, i nostri studenti trovano lavoro senza problemi. Penso che per il successo di questi corsi sia stato fondamentale mettere al centro lo studio dell’utente, che spesso viene poco considerato quando si progettano le nuove tecnologie».

Immagino che ci sia un grande lavoro in programma per consolidare questo successo, sfruttare le risorse che stanno arrivando dai Dipartimenti di eccellenza e portare avanti la vostra linea di sviluppo.

«Certamente sarà una sfida importante. Innanzitutto, abbiamo intenzione di ampliare i nostri laboratori e aggiornare la loro strumentazione. Per quanto riguarda la didattica invece, renderemo il corso di laurea in psicologia abilitante alla professione già al conseguimento del titolo, adeguandoci a quanto indicato nei provvedimenti ministeriali. Un secondo obiettivo è quello di aprire una laurea triennale in scienze motorie. Contiamo di farlo sempre in collaborazione con Verona, per rafforzare i rapporti già esistenti. Ma ancora una volta vogliamo tentare qualcosa di diverso. Vogliamo dare al corso di laurea un’impronta psico-pedagogica, sottolineando gli elementi di benessere che il movimento e lo sport possono portare. Infine, è in cantiere l’apertura di una scuola di specializzazione in psicologia, l’ultimo passo che ci manca per completare la formazione in ambito psicoterapeutico».

Parlando invece di un futuro più prossimo, quale sarà lo spirito del ventennale?

«Parleremo della storia del dipartimento, chiamando personaggi che hanno aiutato a renderlo quello che è oggi, assieme ad alumnae e alumni che portino la loro testimonianza. Abbiamo anche pensato al ventennale come a un momento di interesse scientifico, ma senza che si trasformi in una conferenza solo per accademici. Piuttosto vorremmo puntare sulla divulgazione, e creare un’occasione per parlare alla cittadinanza degli aspetti più affascinanti della nostra materia».