Un fotogramma di "Soffione", una narrazione in Visual Vernacular composta da Nicola Della Maggiora

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Il corpo che racconta

Una tesi di laurea studia la poesia in Lingua dei Segni: i versi non sono scritti sulla pagina ma composti con tutto il corpo

14 marzo 2023
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di Johnny Gretter
Studente collaboratore Ufficio stampa e relazioni esterne

Che cos’è la poesia? Con molta sintesi, potremmo definirla una manipolazione artistica della lingua. Le frasi che pronunciamo e scriviamo in prosa si trasformano in versi, mentre i concetti si arricchiscono di ritmi, suoni e figure retoriche. Quando leggiamo o ascoltiamo delle poesie possiamo vedere uno scorcio della soggettività più intima dell’artista. Ma cosa succede quando la poesia non è più qualcosa di scritto e diventa un'esperienza unicamente visiva, come nel caso della poesia in Lingua dei Segni? In che modo riesce a toccare le corde più intime dello spettatore? Antonella Mania, laureata alla magistrale di Filologia e critica letteraria, ha cercato di dare risposta a queste domande in una tesi intitolata "Il corpo che racconta. Poesia in Lingua dei Segni e Visual Vernacular".

«L’idea di questo lavoro nasce da una grande curiosità che ha segnato la mia vita professionale e personale: l’interesse verso la diversità, verso il percorso alternativo che conduce alla meta», racconta Antonella. «Ho una formazione da mediatrice della Lingua dei Segni e sapevo che esistono molte forme artistiche in questa lingua, come balli, musica e teatro. Al momento di iniziare la tesi magistrale volevo approfondire in particolare la poesia, di cui sapevo poco. Allora ho proposto questo argomento alla professoressa Carla Gubert, che si occupa di letteratura italiana contemporanea. La mia correlatrice è stata invece la professoressa Patrizia Cordin, che ha seguito la parte legata alla linguistica». 

Come accade con la poesia scritta e orale, anche nella poesia in LIS la lingua viene manipolata per un uso prettamente artistico. «Tuttavia, dobbiamo dimenticarci dei costrutti retorici dei testi scritti e catapultarci in una costruzione unicamente visiva» continua a spiegare Antonella. «Le figure retoriche vengono ricreate principalmente in tre modi: la simmetria, l’equilibrio e le ripetizioni. Ad esempio, l’effetto della rima è creato con la ripetizione di un cherema, l’unità minima delle lingue segniche secondo i primi studi di linguistica dedicati a queste lingue. Tutto il sistema corporeo è fondamentale in questa retorica: non sono coinvolte solo le mani, ma anche lo sguardo, le labializzazioni e la postura.  Per fare un altro esempio: segnare con una postura contratta o libera crea due dimensioni metaforiche diverse».

Alla poesia in lingua dei segni si affianca il Visual Vernacular. Si tratta di un’esperienza visiva che immerge lo spettatore nella narrazione attraverso una descrizione vivida e l’uso di espedienti che ricordano quelli del cinema. «Tra poesia in LIS e Visual Vernacular c’è innanzitutto una differenza linguistica. Nella poesia sono ammessi sia i segni standard, o unità lessematiche, sia le strutture di grande iconicità (SGI). A un segno standard corrisponde una parola, mentre le SGI mostrano in modo descrittivo quello di cui voglio parlare. Se voglio mostrare un’azione come “il cane salta”, allora non utilizzerò semplicemente un segno standard, dovrò rendere vivida l’azione utilizzando dei costrutti che mostrino quanto raccontato. Il Visual Vernacular è basato interamente su queste strutture di grande iconicità».

Nella sua tesi, Antonella ha commentato "Soffione", una narrazione in Visual Vernacular composta da Nicola Della Maggiora. «La corolla di un soffione viene sparsa al vento, i semi cadono a terra, attecchiscono e crescono. Segue poi un momento di pathos, in cui una figura non precisata raccoglie il fiore. Il poeta descrive la situazione come se fosse una scena madre di un film. C’è un’alternanza concitata del punto di vista, che si sposta dal soffione al chi lo raccoglie. Questa alternanza viene segnalata da un cambio repentino della postura e della direzione dello sguardo del segnante. Alla fine, la corolla del soffione viene soffiata di nuovo e il ciclo vitale ricomincia. È un componimento con una struttura circolare, dove i segni che si trovano all’inizio della narrazione ritornano identici alla fine».

Quello della poesia in LIS rimane un mondo piuttosto sconosciuto, anche se dietro a questa forma espressiva c’è un vivissimo panorama artistico non udente. In Italia, infatti, si contano diversi poeti di prestigio internazionale, come Nicola Della Maggiora e i fratelli Rosaria e Giuseppe Giuranna. Sul fronte della ricerca esistono molti studi dedicati alla poesia in lingua dei segni, anche se non sono ampi come quelli svolti all’estero. Nel caso del Visual Vernacular, oltre a quello scritto da Antonella su Soffione, non sembrano esistere altri commenti critici. «Spero che questo lavoro possa essere come un piccolo sassolino gettato in questo argomento», conclude Antonella. «Spesso parliamo di inclusione su piccola scala, come quella del bambino all’interno della classe, ma esiste anche un’inclusione più ampia, a livello culturale. In Italia abbiamo una tradizione artistica in lingua dei segni molto forte. È giusto sapere che la nostra cultura è fatta anche da poeti sordi che mettono in scena il proprio vissuto, anche se con una forma artistica diversa».