Particolare della copertina del libro

In libreria

Con altre parole. La divulgazione umanistica

di Lucia Rodler

20 aprile 2023
Versione stampabile

Vale la pena raccontare gli scrittori del passato e le loro opere? L’autrice si interroga sui modi in cui, dal XVIII secolo, la cultura è stata divulgata, disseminata, comunicata ai non addetti ai lavori: donne, bambini, lettori che conoscono alcune cose ma non altre. Già da tempo le scienze e la storia hanno saputo diventare “pubbliche”, si sono cioè impegnate per condividere le conoscenze e le competenze fuori dal mondo accademico. Anche la cultura umanistica si sta muovendo in tal senso: sugli scaffali delle librerie sono esposti testi enciclopedici che raccontano opere letterarie in pillole e biografie che narrano a un pubblico di tutte le età la vita di donne e uomini memorabili. E tutto ciò con un linguaggio chiaro, semplice, efficace. Così si afferma un nuovo modo di pensare il rapporto tra narrazione e pubblico, con possibilità e limiti indagati in questo volume.

Lucia Rodler è professoressa presso il Dipartimento di Psicologia e scienze cognitive dell'Università di Trento

Dal cap. 1. Una storia. La divulgazione nella cultura italiana della modernità (pagg. 21-22)

Cari/e studenti/esse, il materiale caricato sulla piattaforma Moodle può essere utile per seguire le lezioni, ma non serve per preparare l’esame. Sarete interrogati sui tre libri adottati. Le domande saranno suggerite dagli argomenti elencati nell’indice di ogni volume. 

Salve Prof., grazie per la mail. I libri sono da studiare tutti? E tutti interi o può precisare i capitoli? Ho cominciato a leggere il più lungo che per fortuna è una biografia. Attendo una gentile risposta 
perché sono uno/a studente/essa lavoratore/trice… (variante 1, n.d.c.)   
e le segnalo intanto che ho visto su Rai Storia un docufilm che può essere utile anche a lei… (variante 2, n.d.c.)  
e le anticipo che ho trovato su You Tube un’intervista che penso le piacerà (variante 3, n.d.c.). 

Ecco l’origine delle domande che mi sono posta sulla divulgazione umanistica: le numerose lettere di studentesse e studenti che commentano il syllabus con uno spirito critico sempre più propositivo e dialogico di cui bisogna tenere conto; sono le generazioni di The Game, descritte da Baricco, sempre in movimento tra mondo e oltremondo digitale e sospettose nei confronti delle mediazioni; soprattutto  quelle di docenti che impongono libri da studiare: “docenti”, “libri”, “studio”, tutti termini molto lontani dallo stile del loro pensiero. E allora che fare? Da parte mia ho cominciato a interrogarmi sul modo in cui insegno la letteratura, anche in rapporto alla divulgazione, che è parola piuttosto antipatica. Proviene dal latino divulgare, composto dalla particella di(s) (in diverse parti) e dal verbo vulgare, significa cioè parlare tra il volgo, rendere pubblico, far noto a tutti, riferito a fatti, notizie e simili. Forse l’allusione al volgo ha generato sospetto nella cultura europea, per lungo tempo elitaria. Fatto sta che anche il Vocabolario online Treccani precisa un utilizzo «talora con leggero senso spregiativo […] volendo significare che ha scarsa originalità e scarso valore scientifico». Certo la divulgazione non inventa nulla nei contenuti perché – sempre secondo la fonte Treccani – il termine significa:

diffusione di teorie o dottrine scientifiche, filosofiche, politiche, economiche, ecc. attraverso esposizioni piane e compendiose, senza tecnicismi, e insieme sufficientemente sistematiche, sia come fine a sé stessa, sia con lo scopo di interessare un sempre più largo strato sociale alle nuove scoperte, al progresso del pensiero e della scienza e di contribuire all’elevazione politico-culturale delle masse. 

Esistono dunque alcuni saperi (in forma di teoria o dottrina, cioè insiemi di conoscenze organizzate) che vengono rielaborati secondo determinate caratteristiche: una esposizione chiara (piana, senza tecnicismi), essenziale (compendiosa), completa e ordinata (sufficientemente sistematica). Lo specifico della divulgazione è dunque la comunicazione che possiede un valore culturale (fine a sé stessa) e un valore sociale (interessare ed elevare). Seguiamo dunque questa definizione per tracciare una brevissima storia della divulgazione o meglio della «diffusione» o «disseminazione» del sapere. Derivato dal latino dis – fundere (versare, spandere, in varie parti), il termine diffusione pare più appropriato alla società liquida attuale perché orizzontale ed estensibile (“divulgare” ha in sé l’idea di una comunicazione top down; e non per caso la Treccani parla di «elevazione» delle masse, con un linguaggio decisamente datato). In modo analogo il termine disseminazione deriva dal latino semen- inis (seme) con il prefisso di(s)- (significa spargere qua e là come si fa con la semente,) e contiene il riferimento a un nucleo generativo in senso proprio e figurato (il seme sviluppa una pianta o è principio o stimolo da cui qualcosa deve o può svilupparsi in modo bottom up). 
Chiarita la questione terminologica, restano altre riflessioni da fare a margine della voce Treccani: la diffusione ha scarsa originalità e scarsa scientificità; usa un linguaggio particolare; promuove la curiosità culturale e la partecipazione civile. Un caso, sia pure eccezionale, sembra smentire la prima definizione. Infatti, nella storia occidentale, i Vangeli hanno utilizzato il sermo humilis per comunicare a uomini e donne un messaggio assolutamente singolare, cioè la ‘buona o lieta notizia’ di Gesù (dal termine greco Ευαγγέλιον ricordato dal biblista Gianfranco Ravasi nella Biografia di Gesù). Rappresentano dunque un caso originalissimo di diffusione e di «scrittura performativa», per usare le parole del comparatista George Stenier. Resta vero che, precisa Franco Brioschi, questa prima esperienza resta isolata, fino all’Illuminismo, secondo tentativo di comunicare contenuti importanti a un pubblico relativamente ampio. In Italia il merito di avere corrisposto alle richieste di condivisione del sapere scientifico va riconosciuto a un venticinquenne dalla cultura europea: Francesco Algarotti che, nel 1737, decide di imitare gli Entretiens sur la pluralité des mondes (1686) di Bernard le Bovier de Fontenelle. Lo scrittore francese aveva spiegato Cartesio alle donne… e se fosse Newton? 

Dall’Introduzione (pagg. 16-18)

Nel secondo capitolo mi occupo del genere biografico, fortunato negli anni Duemila dopo che la critica del Novecento ha preso le distanze dall’autore in carne e ossa per concentrarsi sul testo e, nella seconda metà del secolo, sul lettore. Nel nuovo millennio la figura dello scrittore torna ad interessare soprattutto dal punto di vista antropologico, cioè come «conoscenza in presa diretta di esperienze umane», di luoghi, tempi e incontri che, precisa Gino Tellini, aiutano anche la didattica della letteratura e dei testi  Nel terzo capitolo analizzo alcune proposte biografiche destinate a un pubblico giovane e giovanissimo. Questo settore di non fiction ha un valore formativo fondato sull’empatia perché permette di scoprire vite straordinarie del passato e del presente anche grazie alle immagini, e mostra bene i nuclei sensibili della cultura contemporanea. Le donne, ad esempio, sono protagoniste perché finora spesso trascurate dalla narrazione occidentale. 
La non fiction è dunque un genere di successo che indica anche un rinnovato bisogno di approfondimento storico. Ma, per appassionare, la ricerca deve usare uno stile di comunicazione adatto al pubblico attuale. Perciò nel quarto capitolo cerco di ragionare su quella che Umberto Eco ha definito la «vertigine della lista», cioè su uno stile seriale fondato su enumerazione e aggiunzione di elementi correlati. In fondo, anche la biografia è un elenco di azioni ed eventi che capitano a un individuo. Ma l’elenco è utile pure per descrivere un’opera letteraria o per organizzare le voci di un’enciclopedia, cartacea e online. E perfino Steve Jobs si è ispirato a un catalogo di oggetti e strumenti utili a vivere bene (il Worth Earth Catalogue di Stewart Brand) per la rivoluzione digitale […]. Forse anche per un “effetto wikipedia”, le liste di parole, argomenti, luoghi, rappresentano un modo vincente di fare divulgazione, con voci brevi, autoconsistenti, e perciò ben viste da lettori e lettrici multitasking. 
[…]
In attesa di ulteriori approfondimenti, il sesto capitolo tratta dei modelli e delle pratiche della comunicazione pubblica. La divulgazione scientifica inizia nel Settecento con una conversazione intorno alle teorie di Newton e prosegue oggi con soluzioni diverse e innovative. Anche la storiografia si è data la possibilità di diventare “Public History”, cioè di riflettere sulla disseminazione in rapporto alla ricerca, alla didattica e alla terza missione. In ambito umanistico la storiografia è senza dubbio all’avanguardia, forse anche perché spesso collabora con i musei per la valorizzazione del patrimonio culturale. […] la critica letteraria resta invece ancora piuttosto diffidente sulla comunicazione pubblica della letteratura. Questo libro vorrebbe essere uno stimolo ad avviare una riflessione non episodica in tal senso, nella convinzione che la comunicazione è anzitutto ricerca dell’altro cioè, direbbe papa Francesco, un atto di gentilezza, fiducia e negoziazione con la comunità a cui apparteniamo.

Per gentile concessione della casa editrice Marsilio