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Disvelamento dei fatti e responsabilità civile. La funzione sociale del giornalismo d'inchiesta e del whistleblowing

di Alberto Scandola

12 maggio 2023
Versione stampabile

Far emergere la verità attorno a determinati fatti illeciti costituisce un interesse particolarmente meritevole di attenzione, che non sempre si esaurisce nel soddisfacimento delle istanze risarcitorie dei singoli danneggiati, potendosi talvolta concretare in un beneficio ulteriore e “sistemico”. 
L’obiettivo della monografia è quello di dimostrare che, attraverso la completa ed effettiva conoscenza dell’intera comunità attorno ai più rilevanti fatti illeciti, si renda possibile un “informato” esercizio del diritto di voto. Sono stati analizzati gli istituti giuridici che permettono di perseguire il predetto interesse alla verità che possiede la società moderna, con riguardo ai due soggetti che sono fisiologicamente più propensi a produrre questa esternalità positiva: da un lato, colui che disvela il vero professionalmente, ossia il giornalista d’inchiesta, e, dall’altro, colui che ha modo di far emergere la verità del tutto occasionalmente, avendo appreso dell’esistenza del fatto illecito solo casualmente e nell’espletamento della sua mansione, ossia il c.d. whistleblower. 
Il volume è diviso in due sezioni, di due capitoli ciascuna: la prima è dedicata allo studio del giornalismo d’inchiesta, in cui si verificano la funzione sociale del giornalismo d’inchiesta, le principali criticità normative e i profili di responsabilità del giornalista. La seconda sezione affronta la disciplina dell’istituto del whistleblowing, in prospettiva de jure condendo, e la responsabilità da segnalazione abusiva. 

Alberto Scandola ha conseguito la laurea presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento

Dalla sezione I, capitolo 3.4: Le debolezze del giornalismo d’inchiesta: il caso Formigli c. Fiat (pagg. 67-68)

“[…] talvolta capita che ai giornalisti che non appartengono ad un’importante impresa editrice (ancor peggio se si tratta di giornalisti freelance) venga di fatto impedito di pubblicare l’inchiesta svolta, benché oggettivamente legittima. Questo effetto preclusivo è ottenuto evidentemente dal soggetto di cui si parla nell’inchiesta, il quale ha interesse a che il giornalista non proceda alla pubblicazione di quanto scovato. E per ottenere questo risultato, egli spesso minaccia azioni legali di ogni sorta, da querele per diffamazioni ad azioni civilistiche per il risarcimento del danno. Si tratta delle azioni notoriamente conosciute come “querele bavaglio”, espressione che rende effettivamente l’idea dello scopo di queste azioni, ossia quello di far tacere il giornalista. In altri termini, il soggetto dell’inchiesta, che spesso coincide con una società a grande capitalizzazione, minaccia querele accompagnate da cospicue richieste risarcitorie, benché giuridicamente del tutto infondate. In breve, tali azioni costituiscono – per utilizzare le parole della Commissione europea – “una particolare forma di molestia messa in atto principalmente nei confronti di giornalisti e difensori dei diritti umani, per prevenire o penalizzare chi si esprime su questioni di interesse pubblico”.
Ecco quindi che, vedendosi prospettate queste possibilità, coloro che non fanno parte di organizzazioni rilevanti, preparate e sufficientemente “forti”, preferiscono astenersi dal procedere alla pubblicazione, ovvero ritirare o rettificare la pubblicazione avvenuta”. 

Paper pubblicato con licenza CC-BY-NC-ND 4.0 Internazionale ed è liberamente scaricabile dall'archivio Trento Law and Technology Research Group.