Particolare della copertina del libro

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Le vie del falso. Storia, letteratura, arte

a cura di di Andrea Comboni e Sandro La Barbera

19 maggio 2023
Versione stampabile

Al vasto e articolato universo della falsificazione, materiale o ideologica, sono dedicati i contributi raccolti nel presente volume. Se le fake news e la post-verità costituiscono, nell’era culturale che stiamo attraversando, un problema con cui confrontarsi quotidianamente in ogni sfera comunicativa e informativa, i saggi qui riuniti indagano in prospettiva diacronica, dall’antichità classica al nostro tempo, il fenomeno della falsificazione nelle sue molteplici fattispecie in ambito storico, letterario e artistico, attraverso l’analisi di casi significativi. Ne emergono alcune costanti del falso come questione storico-culturale quali, ad esempio, le motivazioni, più o meno evidenti, dietro la sua creazione; le tecniche per la risoluzione di un dubbio sull’autenticità di un testo, un documento o un oggetto artistico; la ricezione e la fortuna di un testo non autentico; o ancora le linee di sviluppo più promettenti del dibattito critico contemporaneo. Il tutto sempre con la consapevolezza della esile linea di confine che a volte può (non) separare il falso dal vero.

Andrea Comboni e Sandro La Barbera sono professori presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento

Da Le vie del falso: partenza e viatico (di Sandro La Barbera, pagg. 17-27)

Le vie della trasmissione della cultura sono sempre un agguato all’autorialità, e non solo perché il falso può sfregiare l’autentico (una preoccupazione, questa, tanto mainstream quanto forse pitocca) ma anche perché il falso può essere più interessante, può rivelare un più autentico pensiero umano, può piacerci di più. E così, sulle rotte che portano le opere dal pensiero di chi le idea alla coscienza di chi le introietta, che siano testi affidati a barchette di papiro o pergamena, dipinti appesi a cornici private o gallerie, bolle papali o rescritti imperiali, romanzi a puntate o riveriti tomi – tutti questi percorsi, che hanno portato gli intrepidi viandanti a una finale salvazione, hanno potenzialmente imbarcato impostori determinati, o anche solo poveri individui apolidi, ma tutti imbucati, forse anche «falsi» davanti all’occhio cinico del Vero storico (peggiore ed esso stesso ancora più inventato di quello di Sauron), ma senza dubbio tutti di per sé meritevoli d’interesse, tutti parte della cultura. Le vie del falso sono le vie della cultura: un’unica carovana, fra i deserti che separano le epoche, i cui avventori si parlano, si modificano, si adattano gli uni agli altri, e a questi, giunti all’emporio finale della ricezione, si saranno talora sostituiti.
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Del resto, stando alla presunzione di Socrate e Platone, ogni testo scritto – ma qui con «testo» intendo qualsiasi ordito autoriale, textus di parole o immagini o narrati – è di per sé intrinsecamente un falso, nella misura in cui la messa per iscritto àncora alla pochezza del fenomeno la sostanza non ancorabile della conoscenza; e va dunque preferita una letteratura non scritta, tanto rapsodica da essere dadaista, perché una volta messa per iscritto è esposta a ogni tipo di critica: «Se gli recano offesa, il testo scritto ha sempre bisogno dell’aiuto del padre perché non è capace di difendersi né di aiutarsi da solo» (Phaedr. 274c-275e). In ultima analisi, la letteratura scritta così definita è inutile, perché non può sopravvivere alla ricerca di una paternità difensiva, impossibile a conservarsi in un mondo che trasmette le opere in modo manoscritto e manumissibile. In qualche modo l’autore platonico è anch’esso un autore barthesiano, ma destinato non solo a morire ma anche a far morire la sua stessa creatura, l’opera scritta, rimasta indifesa. Al punto che questa non solo è attaccabile – e, dal nostro punto di vista, falsificabile – ma non può che essere tale sin dalla sua prima concezione. Se è scritto, è falsificabile; se è falsificabile, è già non vero, perché partecipa sostanzialmente del falso. 
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Si può tuttavia tentare, almeno per i testi scritti e in particolare quelli che provengono dall’antichità classica, una pur minima e parziale classificazione. E per farlo sarà necessario immaginare alcuni scenari in cui la falsificazione può essersi dispiegata. Per esempio, un autore (ma continuiamo a chiamarlo «autore»?) può voler fingere che la produzione di un altro sia invece la propria, configurando così un caso di plagio di materiale pubblicato o appropriazione indebita di materiale inedito. Oppure può fingersi un altro, più famoso o già classico, nel far circolare opere proprie; se questi è vivo, potrà provare a rivalersi, ma se invece è morto (o lontano, o disattento) sarà solo l’attività filologica di terzi a poterne preservare il nome autentico – con una dinamica speculare a quella che Socrate immaginava per il testo scritto, privo di difesa in assenza del padre-autore. Se però, in questo secondo caso, niente e nessuno interrompe per tempo la diffusione del brand autoriale su materiale non-autentico, il testo penetrerà nel canone affetto da questa incontrastata personatio. Esito non diverso, ma intenzione completamente diversa, come si diceva prima, può avere anche una scrittura che, pure partita dallo scrittoio di un autore onestissimo, sia finita sine dolo nel faldone di un autore del canone, che da quel momento ne viene modificato e di cui viene percepita essere parte solidale dalla comunità dei lettori successivi.
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Ci restano delle ipotesi che, partendo dall’assioma dell’inevitabilità del falso, aprono i cancelli della tradizione al dubbio, e vi fanno penetrare il sospetto intorno agli oggetti (potenzialmente tutti) che, collidendo fra loro come elettroni nell’urna del tempo, come i vizi umani nel vaso di Pandora, si sono fra loro parlati, scontrati, ricombinati – con il risultato che quella stessa genitorialità ossessiva che li ha prodotti e tramandati ne viene, perciò stesso, riconfigurata e problematizzata. 
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Per queste ragioni, il fine dell’autenticazione non può essere soltanto, e talora non può del tutto essere, espungere e disconoscere. L’unico fine che sarà sempre stato raggiunto sarà quello di degnare l’opera, il documento, l’ideazione che appaia sospetta e imbucata, di un’attenzione e di un’ospitalità pari o addirittura maggiori che quelle date al canone-padrone. Bisogna sì riconoscere la corruttela e identificarla, ma per ammetterla al tavolo del canone, perché ne condividiamo l’amore (eccessivo, tossico) per quel canone e, pure controllandola, possiamo sviluppare un affetto anche per questo ennesimo prodotto dell’ingegno umano. Se è vero, come credo, che non esistono opere maggiori e minori, autori maggiori e minori, ma creazioni tutte valide perché tutte parimenti desiderate dai loro autori, allora anche i falsi, accertati o sospetti, devono restare parte della nostra cultura. La critica dell’autenticità deve insomma non perpetuare l’ossessione salica del patriarcato, per cui una tradizione avrà sempre senso e sarà solo valida se riconosciuta autentica. La critica dell’autenticità ci ricorda semmai il di ciò che è presuntamente vero e l’elasticità di ciò che è veramente creativo. Non è, il nostro lavoro, un servizio al principio di autorità: ne è anzi la relativizzazione. Separare il vero dal falso è un idolum specus, apprezzare l’appartenenza di entrambi al reame dei nostri interessi culturali è il vero fine. E d’altronde, l’abbiamo detto, epoche diverse, persone diverse, peseranno con bilance diverse e per fini diversi le masse dell’identità e dell’autorialità. Il peso della verità dipende dalla gravità della cultura pesante. Uno stesso oggetto, nella sua dimensione storica e culturale più vitale, può essere al contempo autentico e falso. E, se nella nostra descrizione fisica del mondo aggiornata a questo millennio, siamo disposti ad ammettere la possibilità di un entanglement quantistico tale da rendere di fatto identici due diversi oggetti separati nello spazio, allora dovremmo forse abbandonare un istinto attributivo paternalistico che porta alla persecuzione del falso, al realismo locale come condizione dell’esistere, e adottarne uno che lo riconquisti, se non al canone, almeno alla celebrazione del creare di cui il canone non è la tomba ma la base e il tormentato inizio.

Le vie del falso. Storia, letteratura, arte, a cura di Andrea Comboni e Sandro La Barbera, Il Mulino, 2023, pp. 416