Ricerca al Dipartimento Cibio ©UniTrento ph. Alessio Coser

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Filosofia tra le provette

L’esperienza di tirocinio di Tommaso Ropelato al Dipartimento Cibio esplora il dialogo tra bioetica e ingegneria genetica

25 maggio 2023
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Lorenzo Perin
Studente collaboratore Ufficio stampa e relazioni esterne

Un filosofo che si occupa di questioni di ingegneria genetica? Può apparire molto singolare dato l’alto contenuto tecnico della materia. Oppure può suonare ovvio, visto l’impatto che le implicazioni delle tecniche di manipolazione genetica possono avere sul concetto stesso di essere umano. Questioni che sollevano domande indispensabili, le stesse che animano la riflessione filosofica da oltre 2500 anni. Comunque la si veda, l’esperienza di tirocinio di Tommaso Ropelato, studente magistrale di Filosofia e linguaggi della modernità, apre una strada nuova nel dialogo tra scienza e bioetica, dimostrando l’importanza del coinvolgimento di  studenti e studentesse. Ci siamo fatti raccontare da lui le potenzialità di questo incontro fra discipline.

Tommaso, come si è volta la tua attività di tirocinio?

«Si è trattato senz’altro di qualcosa di assolutamente nuovo, costruito “quasi a tavolino” insieme alle professoresse di biodiritto Marta Tomasi (mia docente nel corso di laurea magistrale) e Lucia Busatta (docente al Dipartimento Cibio). Come prima parte del tirocinio, sono intervenuto in occasione del progetto Acdc al MUSE. Un team “multidisciplinare” con competenze di ingegneria, economia e sociologia è stato chiamato a costruire in 24 ore un gioco da tavolo a tema “biologia sintetica”. Il mio compito è stato quello di porre, in un momento dedicato, una serie di domande sulle implicazioni bioetiche ai partecipanti e discutere con loro le risposte. La varietà degli input dalle diverse aree disciplinari è stata davvero arricchente.
La multidisciplinarietà è stata infatti il tratto caratterizzante di questo tirocinio: ho potuto vivere in prima persona l’interesse dei ricercatori e delle ricercatrici di Povo per lo sguardo di un filosofo. Del resto, già da tempo l’Università di Trento ha attivato in questa direzione varie iniziative centrate sul dialogo tra saperi. Penso che l’incontro con questa diversità di obiettivi, formazione e mentalità sia stata l’esperienza più arricchente del tirocinio.
Come seconda parte del tirocinio - la più consistente - ho svolto una serie di interviste al alcuni dei direttori di laboratorio del Dipartimento Cibio. Due sono stati i temi che ho indagato: il rapporto tra scienza e bioetica (dalle domande che ciascun ricercatore si pone, a come essa viene percepita nei laboratori, fino al ruolo dei comitati etici…) e il concetto di enhancement».

Cosa s’intende per enhancement?

«Enhancement è un concetto ampio, traducibile in italiano con “miglioramento”. Ho voluto indagare se sia possibile tracciare un confine - e semmai sulla base di quali criteri – tra una biotecnologia che porta a un miglioramento biologico e una il cui esito è un trattamento sanitario. Per fare un esempio banale: un intervento di editing genomico che favorisca la crescita della statura di una persona potrebbe essere sia enhancement sia treatment, a seconda del fatto che la persona sia semplicemente bassa o che soffra di problemi legati alla crescita. Tracciare una distinzione fra due condizioni non è banale, anche perché sottende delle assunzioni - non sempre universalmente accettate e comprovate - sul confine tra  malattia e salute».

Quali sono secondo te le sfide i compiti della bioetica nei confronti della scienza?

«La bioetica procede per casistiche, valuta caso per caso e si pone le sue domande di fronte all’emergenza del nuovo. Penso però che sia altrettanto importante “puntare al generale”. La scienza e la tecnologia portano innovazioni che la società e il diritto non sempre sono pronte a cogliere immediatamente, o a valutare e adeguare a degli standard. Ma non possiamo rinunciare a chiederci qual è l’ambito generale in cui si collocano i casi particolari. Per esempio, l’editing genomico fra vent’anni sarà precisissimo e a grandi linee si può prevedere cosa sarà possibile ottenere. Quanto sarà economicamente sostenibile? Per quali mezzi sarà lecito usarlo come treatment e quali per enhancement? Sarà possibile garantirne l’accesso a tutti, in termini di welfare? Credo che domande come queste aiutino a proseguire nel dialogo».

Cosa senti di aver imparato durante il tirocinio?

«Sicuramente collaborare con persone dalla formazione molto diversa dalla mia è stato un grande esercizio di immedesimazione. Durante l’esperienza al Dipartimento Cibio, la professoressa Michela Denti mi ha spesso fanno notare come i miei “perché” fossero diversissimi da quelli di ricercatori e ricercatrici del suo settore. I miei “perché” erano astratti, legati a domande bioetiche e biopolitiche di ampio respiro. I loro erano concreti, mirati a trovare “qualcosa” alla fine della ricerca. Al tempo stesso, se io con i miei interessi posso spaziare per tutta la ricerca biotecnologica, i loro sono spesso vincolati ai finanziamenti pubblici.
Le migliori abilità che sento di avere appreso sono le capacità di sintesi, comprensione e comunicazione di una materia così distante dalla mia formazione: penso che l’essenza di questa esperienza sia stata nel costruire ponti fra discipline».