Una lezione alla School of Innovation ©UniTrento - Ph. Federico Nardelli

Formazione

Per un'esperienza di apprendimento più autentica

Dare significato all'informazione per aiutare chi studia a passare dalla conoscenza alla competenza

21 settembre 2023
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di Daniele Santuliana
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Il coinvolgimento di studenti e studentesse, la capacità di tenere alta la loro attenzione e motivazione in un contesto di apprendimento sempre più contaminato da stimoli di ogni tipo, rappresenta una delle sfide maggiori per la didattica universitaria. Ne parliamo con Anna Serbati, docente al Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive e referente per la ricerca sui metodi didattici innovativi nel comitato scientifico del Formid, Teaching and Learning Center dell’Università di Trento.

Professoressa Serbati, rispetto al passato, è più difficile catturare l’attenzione di chi studia?

«Sicuramente, chi studia oggi è sottoposto a molti più stimoli. Pensiamo solo a quanto sia pervasiva l’intelligenza artificiale, in grado non solo di reperire informazioni, ma anche di rielaborarle. A fronte di questo, il compito di noi docenti è quello di dare significato all’informazione e alla conoscenza per rendere più autentica l’esperienza dell’apprendimento. Questo può aiutare ragazzi e ragazze a selezionare – nel bombardamento di informazioni a cui sono soggetti – quelle più significative».

Qual è il limite all’attenzione? Vale ancora la regola dei 20 minuti?

«Le variabili da tenere in considerazione sono davvero troppe, è difficile individuare un limite e comunque, considerata appunto la quantità di stimoli, 20 minuti mi sembra una stima plausibile e forse un po' ottimistica. Per questo, è importante organizzare la lezione per intervenire quando l’attenzione sta calando. Ci sono vari studi in letteratura che fanno riferimento all’uso di strategie di didattica attiva e partecipativa, per alternare momenti di lezione classica ad altri in cui lo studente diventa protagonista. Essere protagonisti vuol dire poter confrontarsi attivamente con il sapere per sviluppare competenze».

In che modo un docente può misurare il grado di attenzione durante la lezione? C’è anche una verifica asincrona?

«Sicuramente il primo feedback è visivo, tenendo d’occhio i messaggi non verbali e paraverbali. Ci sono però anche una serie di strumenti tecnologici per riagganciare gli studenti e avere un feedback immediato sul loro grado di attenzione. Ad esempio, UniTrento ha acquistato un software, Wooclap, che permette di fare quiz molto rapidi per coinvolgere studenti e studentesse e al contempo valutare il grado di attenzione. In modo asincrono, abbiamo gli strumenti offerti da Moodle, che fa parte del learning management system di ateneo. Moodle permette di visualizzare anche i learning analytics di chi segue i corsi, per capire quali sono i progressi singolarmente e in forma aggregata».

Ci sono tecniche particolari per catturare e mantenere l’attenzione di una classe?

«Ci sono varie strategie per evitare che attenzione e motivazione scendano. Si va dalle più semplici – come piccoli sondaggi, micro discussioni, two minutes paper – che possono essere inserite anche all’interno di lezioni tradizionali, fino alle strategie più complesse. Il grado più estremo è la cosiddetta "classe rovesciata", dove il docente assegna i compiti da fare a casa e tutta l’attività in presenza è dedicata alla condivisione e al dibattito. Questo vuol dire passare dalle conoscenze alle competenze».

Ci sono differenze dovute all’età di chi studia, al percorso di studi o al tipo di insegnamento?

«Alcuni elementi metodologici sono trasversali, altri variano a seconda del contesto e della disciplina. Spetta al docente trovare il giusto equilibrio tra le informazioni da proporre e il grado di libertà da lasciare a chi studia. All’inizio del proprio percorso accademico, ragazzi e ragazze hanno bisogno maggiore di essere guidati nell’apprendimento. Col passare del tempo, possono però diventare più autonomi e indipendenti nello studio. È però molto importante che in ogni contesto si crei un ambiente di apprendimento in cui ciascuno studente – a prescindere dalle caratteristiche e dalla motivazione – possa dare il proprio meglio».

Parliamo di didattica a distanza e coinvolgimento: cosa cambia rispetto alla didattica tradizionale?

«Credo che occorra innanzitutto distinguere tra la didattica a distanza di tipo emergenziale che abbiamo sperimentato durante la pandemia e quella concepita in quanto tale. In una condizione virtuale sincrona è più difficile mantenere l’attenzione, perché ci sono ancora più stimoli. Anche nella didattica asincrona i problemi sono simili. Nella didattica a distanza, ancor più che in quella in presenza, è quindi importante progettare attività significative. Alcuni degli strumenti che citavo prima – ad esempio quelli per il pooling – possono essere usati anche a distanza. È importante creare attività coinvolgenti per chi studia e al contempo, considerato il grado di autonomia che la Dad richiede, dare istruzioni molto chiare».