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Le sfide nella cura delle piante

Ilaria Pertot e Gerardo Puopolo ci raccontano le nuove frontiere in ambito fitosanitario, nel segno della sostenibilità

25 marzo 2024
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Camilla Pelizzari
Studentessa collaboratrice Ufficio stampa e Relazioni esterne

Rispetto per l’ambiente, cambiamento climatico, innovazione tecnologica: temi rilevanti per il futuro dell’essere umano e del pianeta. Le proteste degli agricoltori partite anche dall’Italia e arrivate a Bruxelles, hanno riacceso l’attenzione sul tema molto dibattuto dei pesticidi in agricoltura. Come ogni anno, con l’inizio della ripresa vegetativa, anche in Trentino inizierà la difesa fitosanitaria del melo e della vite. Come trovare un equilibrio tra il benessere delle persone, la protezione dell’ambiente e quella delle piante dai danni di patogeni e parassiti? Esistono alternative ai  pesticidi chimici? Ne abbiamo parlato con Ilaria Pertot e Gerardo Puopolo, entrambi docenti di Patologia vegetale al Centro Agricoltura Alimenti Ambiente-C3A.

Per capire la direzione verso cui è orientata la ricerca sulla protezione delle colture dai patogeni vegetali (microrganismi dannosi) è utile partire dal contesto in cui ci muoviamo. Come ci spiega Ilaria Pertot: «In Trentino, le colture principali  sono  soggette a importanti malattie – ad esempio la ticchiolatura del melo e la peronospora della vite – e parassiti dannosi».
Negli ultimi decenni le strategie per la difesa delle piante da queste minacce sono cambiate, e oggi abbiamo prodotti fitosanitari più sicuri per la salute umana e dell’ambiente. «Non bisogna farsi fuorviare dalla quantità dei prodotti fitosanitari applicata, ma conta la tossicità specifica dei singoli principi attivi. Ad esempio lo zolfo che è un elemento naturale fondamentale per la vita, viene applicato in quantitativi molto elevati, soprattutto in agricoltura biologica», sottolinea infatti la docente che racconta: «Negli anni Ottanta e Novanta c’è stato un boom nell’utilizzo di principi attivi, molti dei quali si sono rivelati poi tossici e pericolosi. Con un regolamento del 2009, l’Unione europea ha imposto alle aziende che commercializzano i prodotti fitosanitari un protocollo molto rigido di valutazione dei rischi, i cui costi sono in capo alle aziende stesse. Tale sistema ha fatto sì che per le imprese fosse più conveniente produrre pesticidi contenenti sostanze meno tossiche. Allo stesso tempo, il regolamento ha promosso l’introduzione di alternative e strategie innovative rispetto ai trattamenti tradizionali».
Su questo si concentra la ricerca del Centro Agricoltura Alimenti Ambiente (C3A) che ha già sviluppato diversi microrganismi che possono essere utilizzati al posto delle molecole chimiche nei pesticidi, di cui uno, brevettato, è già ampiamente utilizzato in Italia e in molti altri paesi europei. In questo ambito il C3A collabora attivamente con le aziende sia per lo sviluppo di microrganismi, sia di molecole vegetali. Entrambi questi principi attivi si degradano più velocemente nell’ambiente, proprio perché sono naturali e di conseguenza non impattano negativamente sulla salute e sull’ecosistema. «Questi prodotti hanno la peculiarità, rispetto a quelli di natura chimica, di poter essere usati anche il giorno della raccolta, evitando la sospensione dei trattamenti, in quanto innocui», aggiunge la docente.
Affinché possa avvenire un reale cambiamento di paradigma è necessario fornire alternative valide, che abbiano costi sostenibili. Come ci illustra Gerardo Puopolo: «Una parte rilevante della patologia vegetale si occupa dello sviluppo di microrganismi per il controllo delle malattie delle  piante. Ciò nasce dalla ricerca di base, dallo studio delle interazioni che intercorrono nell’agroecosistema. Da tali studi – prosegue – è emersa la loro capacità di contrastare con meccanismi naturali e molto complessi la crescita dei microrganismi dannosi per le piante. Queste informazioni sono state il fondamento per lo sviluppo di prodotti commerciali alternativi a quelli chimici. Però, per essere utilizzati, questi microrganismi devono essere autorizzati seguendo lo stesso iter dei prodotti di natura chimica. Una procedura che richiede tempo e spese considerevoli. Nella proposta del nuovo regolamento si era chiesto di snellire questa prassi così da favorirne la disponibilità per gli agricoltori. Le proteste delle ultime settimane hanno bloccato questo passaggio e di conseguenza anche la possibilità di semplificare le procedure». Il nuovo regolamento europeo mirava infatti a dimezzare l’uso di pesticidi, soprattutto quelli più pericolosi, entro il 2030. «Il fatto che questo regolamento europeo sia stato sospeso – commenta Ilaria Pertot – è una notizia molto triste per i consumatori, ma soprattutto per gli agricoltori stessi. Perché sono i primi a essere esposti a prodotti sintetici potenzialmente pericolosi che vengono applicati sulle piante».
Ma se gli agricoltori sono i primi soggetti a rischio, perché protestano contro la riduzione dei pesticidi più pericolosi? «Il 2023 – riprende Puopolo – è stato caratterizzato da eventi climatici importanti che hanno provocato epidemie sulle colture. L’impossibilità per i produttori di fronteggiare le malattie in questo contesto di cambiamento climatico ha portato alla paura di perdere prodotti fitosanitari di sintesi chimica, percepiti dagli agricoltori come necessari».
Gli eventi meteorologici estremi ai quali assistiamo con sempre maggiore frequenza hanno un impatto sul benessere delle piante, mettono sotto stress la vegetazione e aumentano il rischio di malattie, tradizionali e nuove. Come intervenire? «Con modelli di previsione sempre più precisi, ottenuti grazie anche all’intelligenza artificiale, per l'applicazione di  trattamenti precisi e mirati», risponde Pertot.
Di tutti questi temi si parlerà al  XXIX Congresso della Società Italiana di Patologia Vegetale dal titolo “Le nuove sfide per la Patologia Vegetale tra sostenibilità della produzione agro-alimentare e cambiamento climatico”, in programma a settembre a Trento.  
Pensando alle implicazioni di questa molteplicità di fattori e per il consumatore, Ilaria Pertot sottolinea la necessità di trovare un compromesso tra nuove tecnologie, ricerca di base, conoscenza, interessi del comparto agricolo e salute. «La situazione è alquanto migliorata, ma c’è ancora lavoro da fare», conclude.