©Matteo Boato, Collage, 2013. Immagine tratta dalla locandina del convegno "Democrazie e religioni. Libertà religiosa, diversità e convivenza nell’Europa del XXI secolo".

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DEMOCRAZIE E RELIGIONI. LIBERTÀ RELIGIOSA, DIVERSITÀ E CONVIVENZA NELL’EUROPA DEL XXI SECOLO

a cura di Erminia Camassa

24 novembre 2016
Versione stampabile

Il volume raccoglie gli atti del convegno nazionale ADEC intitolato "Democrazie e religioni. Libertà religiosa, diversità e convivenza nell’Europa del XXI secolo" svoltosi a Trento il 22 e 23 ottobre 2015. Il tema prescelto tocca uno degli aspetti più attuali di questo momento storico e prende le mosse da un dato imprescindibile: i mutamenti nella composizione delle nostre società non sono un fenomeno transitorio e reversibile, ma un dato di fatto che è andato negli anni radicandosi e che ha inevitabilmente ridefinito il nostro Paese e l’Europa intera in senso sempre più multiculturale e multireligioso. Con questa realtà le democrazie debbono necessariamente trovare il modo di “fare i conti” visto che lo scenario europeo si caratterizza sempre più per la presenza di spinte contrapposte e oscillanti tra il riconoscimento delle crescenti istanze identitarie dei singoli e la volontà di mantenere inalterati i tratti caratteristici dell’identità costituzionale degli Stati, anche in tema di disciplina dell’esperienza religiosa e di rapporti con le confessioni religiose. La scelta della tematica affrontata è espressione della volontà di non lasciare equivoci, in un momento così difficile, circa il ruolo delle religioni nell’interazione tra fattore religioso e convivenza pacifica. Il presente volume, oltre a rendere fruibili in forma cartacea i risultati emersi dalle giornate del convegno, è stato pensato per essere un utile strumento di approfondimento per gli studiosi e gli operatori del diritto, alla riscoperta del ruolo della religione e della sua disciplina giuridica nel processo di formazione ed integrazione sociale, in un momento storico nel quale la “rinascita del sacro” assume caratteri inediti ma allo stesso tempo indiscutibilmente preoccupanti.

Erminia Camassa è professoressa presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento.

Dalle Conclusioni  (pp. 435 e seguenti)

Numerosi erano gli interrogativi ai quali il complesso tema di questo Convegno si proponeva di dare risposta o, per meglio dire, di cercare delle risposte.
Tra i più problematici di tali quesiti era cosa si possa e debba intendere oggi per convivenza e quali metodi possano adottarsi per realizzarla e renderla compatibile con le tante diversità rappresentate sia dalle varie appartenenze confessionali dei cittadini italiani, europei ed extraeuropei, sia dalle Chiese, comunità e associazioni che di queste appartenenze individuali rappresentano l’aspetto collettivo.
Certamente si tratta di un concetto, quello del cum vivere, vivere con gli altri, vivere insieme, costantemente in evoluzione, da accompagnare con realizzazioni concrete, che non si può dare per acquisito ma che va probabilmente ricostruito su nuove basi ideali e su nuove norme. Quanto appena detto assume un particolare significato soprattutto oggi, in un momento nel quale quello che era tradizionalmente un collante sociale, la religione, non può più funzionare come tale per la società nel suo insieme. Il mondo sta mutando velocemente e il nostro Paese al pari di altri, che pure per le più eterogenee ragioni storico-politiche hanno fatto proprio della capacità di convivere e di includere le più diverse esperienze religiose la loro cifra distintiva, sono oramai in affanno. Il modello comunitarista sembra sempre più mostrare i suoi limiti e pare destinato ad una marginalizzazione mentre al tempo stesso l’adozione di un modello integrazionista o assimilazionista, i fatti di Parigi e Bruxelles ne sono la prova, non costituisce realisticamente, una risposta efficace.
L’ondata incontrollata e incontrollabile di migrazioni scatena paure che spesso la politica si limita a cavalcare e strumentalizzare per i suoi fini invece di cercare di governare. Quotidianamente problematiche si rivelano, infatti, le modalità di intervento dei poteri pubblici finalizzate a rendere compatibili con i diversi ordinamenti le rivendicazioni concrete collegate all’esercizio del diritto di libertà religiosa, nel tentativo di bilanciare il riconoscimento del pluralismo religioso e delle istanze identitarie dei singoli con i principi di eguaglianza, di non discriminazione, di solidarietà e democrazia.
Ancora più problematico appare il ruolo dell’Europa, in difficoltà nel governare i cambiamenti, certamente profondi, causati dalle ondate migratorie e la risposta di alcuni Paesi membri che ritengono di individuare soluzioni efficaci innalzando muri e recinzioni.
Un richiamo esplicito alla necessità di un nuovo ruolo propulsivo dell’Europa è contenuto nel recente discorso che Papa Francesco ha pronunciato il 6 maggio in Vaticano, ricevendo il Premio Carlo Magno; con le sue parole ha sollecitato i governanti europei a immaginare e realizzare “Un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia”.
Per un verso sembra farsi reale il rischio che si espanda una “certa” considerazione della religione e delle religioni e che queste vengano percepite come un fattore identitario forte, quali indubitabilmente sono, ma che possano al tempo stesso essere viste come un “elemento da circoscrivere in nome della laicità” e vissute in concreto come un ostacolo alla convivenza, e relegate in un ambito strettamente privato.
Più costruttivo appare invece guardare alle religioni e alle istituzioni religiose come ad un utile ed indispensabile interlocutore per favorire la convivenza, riconoscendo loro il ruolo di protagoniste nel collaborare con gli Stati, al fine comune del bilanciamento tra libertà religiosa, diversità e convivenza, potendo rivelarsi tra i principali protagonisti dei processi di integrazione, e costituendo risorse utili ad agevolarli mediante il superamento di diffidenze e di barriere culturali.
Se si guarda in particolare al ruolo assunto negli ultimi tempi dalla Chiesa cattolica, attraverso i ripetuti appelli di Papa Francesco all’accoglienza dei profughi e dei rifugiati, rivolti non più solo agli Stati ma direttamente alle strutture ecclesiastiche, emerge come questi stia proponendo agli stessi credenti come una necessaria priorità l’impegno per la costruzione di una società multietnica e plurireligiosa, evidenziando “una funzione di supplenza emergenziale delle istituzioni ecclesiali e dei fedeli alle evidenti difficoltà delle istituzioni civili nell’affrontare gli effetti più drammatici della globalizzazione”. Appelli dello stesso tenore sono giunti anche da parte di altre Chiese, organismi ecumenici, e leader religiosi ad ulteriore dimostrazione del ruolo che queste possono assumere non sono sul piano interno ma anche su quello internazionale. Una possibile strada da percorrere emerge con chiarezza dagli interventi che si sono succeduti nel Convegno e dall’acceso e costruttivo dibattito che ha caratterizzato questi giorni, ed è la necessità di intervenire da parte degli Stati impegnandosi sul piano della educazione alla convivenza intra- e inter-culturale, sempre più indispensabile alla luce dei recenti mutamenti intervenuti all’interno della società europea. Ed è proprio in questo percorso che il ruolo educativo della scuola, della religione e delle religioni insieme e all’interno di questa, può divenire decisivo nel porre le basi di quella conoscenza e di quel riconoscimento reciproco indispensabile ad una pacifica convivenza.
Come ha ricordato nel recente discorso ai governanti europei Papa Francesco: “La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione. In tal modo potremo lasciare loro in eredità una cultura che sappia delineare strategie non di morte ma di vita, non di esclusione ma di integrazione”.
Un’ulteriore indicazione da più parti sollecitata come strumento utile ed indispensabile per favorire la convivenza è l’approvazione di una Legge generale sulla Libertà Religiosa che permetta anche alle confessioni senza intesa di vedersi riconoscere quei diritti che, ad oggi, sono esclusivo appannaggio delle confessioni che, a norma dell’articolo 8 della Carta costituzionale, sono fuoriuscite da quel “coacervo degli indistinti” al quale ad oggi continuano ad appartenere le confessioni ancora disciplinate dalla legge dei culti ammessi del 1929.
Cercare di individuare percorsi normativi che disciplinino vecchi o forse nuovi modelli di convivenza, garantendo a tutti l’esercizio del diritto di libertà religiosa e limitando al contempo la possibilità di discriminazioni collegate all’appartenenza confessionale, educare i nuovi cittadini europei al rispetto di comuni e condivisi principi fondamentali è la sfida alla quale sono chiamate oggi le democrazie. Identificare i problemi e, ove possibile, proporre soluzioni è stato il non facile compito al quale si sono dedicati in questi giorni i partecipanti a questo Convegno e che impegnerà nei prossimi anni gli studiosi delle nostre discipline.