Immagine tratta dalla locandina del seminario. Museo archeologico Nazionale di Napoli

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LEGITTIMAZIONE DEL POTERE, AUTORITÀ DELLA LEGGE: UN DIBATTITO ANTICO

a cura di Fulvia de Luise

17 gennaio 2017
Versione stampabile

Dalla quarta di copertina
Su che cosa si fonda l’autorità della legge? In base a quale principio una forma di potere, che è fonte normativa per chi è a essa sottoposto, viene considerata o dichiarata legittima? La riflessione dei Greci su questa questione nasce da una grave «crisi di sovranità»: una crisi che vede fiorire il pluralismo costituzionale delle poleis «in uno spazio definito da un sistema di assenze» (Vegetti). Privi di una fonte di autorità sacrale o tradizionale, i Greci argomentarono intorno alla questione del potere, scegliendo fonti diverse di legittimazione: il kratos (la forza), il plethos (la massa), l’episteme (la scienza), il nomos (la legge), l’arete (la virtù), la basileia (la sovranità costituita o sacralizzata). Questo volume raccoglie i risultati del seminario di studio "Legittimazione del potere, autorità della legge: un dibattito antico" (Trento, 30 settembre-1 ottobre 2015). La trasversalità della questione imponeva l’uso di competenze molteplici nel campo del diritto, della storia, della filologia, della filosofia e della scienza politica. Creare l’occasione di un dialogo tra studiosi che operano abitualmente in campi di indagine distanti è stata l’ambizione più alta del progetto da cui nasce questo libro.

Fulvia de Luise è professoressa presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento. 

Dalla prefazione (pp. 7 - 9)

La questione della legittimità del potere politico non è mai direttamente messa a fuoco nel dibattito antico, benché essa emerga di continuo all’incrocio di problematiche diverse, generate dal dinamismo costituzionale del mondo greco e dalla novità assoluta del modello della polis: un vero laboratorio di sperimentazione politica, di cui misuriamo meglio la vitalità e la problematicità se ci liberiamo dal mito della cittadinanza perfetta degli antichi. Ciò di cui i Greci parlano è più spesso il conflitto interno (stasis), l’instabilità dei regimi e il vuoto di legalità (nomos) che può derivarne, la controversa definizione della virtù richiesta ai governanti (auspicabilmente i «migliori») e delle regole che consentono la convivenza civile, la domanda di forza (kratos) a garanzia di efficacia rivolta ai poteri costituiti per la tutela del giusto ordine negli spazi sociali, qualunque cosa con i concetti di ordine (taxis) e di giusto (dikaion) si intenda. Che un governo sia o no legittimo non sembra occupare mai lo spazio principale del discorso, come ben sottolinea Finley: 

Ciò che venne analizzato seriamente, sin da una data relativamente precoce, fu la natura della giustizia. Uno stato propriamente detto era uno strumento di giustizia e gli stati venivano di conseguenza valutati in termini di bene o di male, di meglio o di peggio, non (eccettuato, piuttosto casualmente, il caso della tirannide) in termini di legittimità o illegittimità. A un livello astratto, in particolare con i sofisti, si operavano distinzioni tra gli elementi necessari («naturali», la physis) e quelli contingenti (il nomos), e si registravano punti di vista discordi sui vantaggi degli uni o degli altri nell’organizzazione dello stato. Tuttavia, nemmeno quei sofisti che formularono un’embrionale teoria del contratto sociale – secondo la quale la legge risulterebbe da un accordo (o da una cospirazione) tra i deboli per fermare il potere «naturale» dei forti – offrirono alcun criterio per individuare, in un sistema di governo piuttosto che in un altro, il diritto a esercitare l’autorità, un concetto, insomma, di legittimità.

Forse – è lo stesso Finley a segnalarlo poco dopo – il primo tentativo di giustificare con un’argomentazione il diritto imperativo delle leggi e il dovere di obbedienza dei cittadini emerge dalle pagine platoniche del Critone: un’argomentazione minimale, in termini contrattuali di vantaggi ricevuti e obbligazioni corrispondenti, ma pur sempre un tentativo di legittimazione razionale del potere coercitivo delle istituzioni che non ha precedenti.
Lasciata in ombra, la questione della legittimità pervade gli interstizi dei discorsi e ne costituisce lo sfondo. Accade nel dibattito antico qualcosa di simile a un effetto di abbagliamento, che toglie visibilità a ciò che è talmente presente da scomparire all’attenzione, mentre la sua rilevanza risulta proprio dal continuo riemergere dai diversi contesti argomentativi. Nel mondo greco nessuno dubita che l’esercizio del potere politico richieda il supporto della forza, ma è davvero solo la forza (kratos) ciò che gli consente di operare? E se è la legge (nomos) a prescrivere il comportamento corretto per il buon cittadino, quali sostegni, criteri di valore o procedure corrette, permetteranno di dire che essa ha appunto il valore di legge, ossia di norma che istituisce il giusto? Quali sono insomma le condizioni per dire che la regola fissata in un decreto o in un codice (un’istituzione umana che resta frutto di una convenzione) è nomos nel senso più alto, civile e sacrale del termine? A rilanciare l’analisi e anche l’attualità del problema, fa da ostacolo la trasversalità della questione di legittimità, cioè il fatto che per porla abbiamo bisogno di competenze molteplici nel campo del diritto, della storia, della filologia, della filosofia e della scienza politica. Di qui il progetto di riunire almeno alcune di quelle competenze, per tentare la messa a fuoco del problema attraverso un dialogo tra studiosi che operano abitualmente in campi di indagine distanti e con metodologie di ricerca molto diverse tra loro.

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