Antartide. Giorgio Daidola nella discesa dal Monte Vinson (foto Pascal Tournaire).

In libreria

Ski spirit. Sciare oltre le piste

di Giorgio Daidola

1 marzo 2017
Versione stampabile

Dalla quarta di copertina
Lontani dalle piste, comincia l'avventura. Lo sci non è solo autostrade della neve ripetitive e affollate. Giorgio Daidola lo vive nel freeride, nello scialpinismo classico, nei lunghi raid, nelle spedizioni sulle grandi montagne del pianeta bianco. È lo Ski spirit, il mondo percorso scivolando. È un viaggio leggero, il suo, da quando ha scelto il telemark come modo di sciare libero per eccellenza. Così ha raggiunto gli ottomila metri dello Shisha Pangma e ha affrontato le traversate del Karakorum, dello Hielo Continental, delle montagne del Libano, delle Alpi neozelandesi. Quando si parte, gli sci sono come lo spazzolino da denti, guai dimenticarli a casa. Lo Ski spirit però non è solo questo. È anche viaggiare con la fantasia, tentare nuove forme di espressione, soprattutto piacere di condividere. Ski spirit è sognare l'avventura più completa, quella che coinvolge il mare e la montagna, l'acqua e la neve, sulle tracce di Fridtjof Nansen, di Ernest Shackleton, Bill Tilman e Bob Shepton. È un cerchio che si chiude, per ricominciare da capo. 

Il libro ha vinto la sezione "Alpinismo" del XXXIV premio Gambrinus " Giuseppe Mazzotti".

Giorgio Daidola è docente presso il Dipartimento di Economia e Management dell'Università di Trento.

Dal capitolo "Questione di traccia" (pp. 286-288)

Sul significato e sulla bellezza delle tracce lasciate dagli sci si è scritto poco. Nei corsi di introduzione allo scialpinismo se ne parla raramente. Eppure val la pena di sciare per contemplare le tracce che si lasciano sulla neve, perché esse esprimono la propria personalità sciatoria. Esse sono un modo di manifestare il proprio ski spirit…

Le tracce che si lasciano sulla neve rappresentano il significato ultimo dello sciare, che così diventa molto di più di uno sport, di un’espressione tecnica e fisica delle proprie capacità e dell’infantile godimento dato dallo scivolare.
Ciò vale non solo per le tracce di discesa ma anche per quelle di salita. In entrambi i casi le tracce permettono di valutare l’esperienza e la sensibilità dello sciatore nell’interpretare la neve e il pendio. 
Le tracce sono insomma la firma dello sciatore sulla neve, sono l’espressione della sua personalità, del suo stile, del suo modo di vivere l’ambiente che lo circonda e lo sci. 
Anche gli animali del bosco, che segnano il paesaggio invernale con l’eleganza delle loro impronte, si comportano istintivamente nello stesso modo. Le loro tracce misteriose impreziosiscono il paesaggio invernale, senza mai distruggerne i delicati equilibri, senza interferire con le tracce di altri animali.
Terribili, dissacranti, profonde sono invece le tracce o meglio i solchi lasciati dalle racchette da neve. Io non ho nulla contro chi pratica l’escursionismo invernale con le racchette, ci mancherebbe. Anzi ne ho ammirazione e ritengo che le racchette siano il futuro del turismo invernale di massa. Però non c’è nulla da fare, il segno delle racchette è questo, è un solco profondo dalla brutta forma, come quella che lascia una caduta in sci. La cosa più grave è quando con le racchette viene sfregiata la bella traccia di salita lasciata da uno sciatore. In questo caso non si tratta solo di insensibilità estetica ma anche di grave nocumento all’utilizzo della stessa traccia da parte di altri sciatori. Se queste valutazioni critiche venissero condivise, sicuramente si eviterebbe di trasformare un bel pendio di neve vergine in un mare in burrasca. 
Un vero sciatore non manca di fermarsi spesso per voltarsi ad ammirare o criticare la propria traccia. Per questo egli si arrabbia se altri sciatori o utilizzatori di racchette non la rispettano. 
Sciare è insomma decorare con buon gusto e amore il paesaggio invernale, guai a chi non rispetta l’opera altrui. 
Talvolta mi capita di risalire apposta un breve pendio, di infilarmi fra i cespugli fitti per utilizzare un lenzuolo di pochi metri di neve vergine sui quali creare l’opera della mia traccia. Per lo stesso motivo mi piace essere il primo a tracciare un pendio, non importa se modesto o complesso, dolce o ripido, corto o lungo. È importante poter vedere, analizzare, fotografare l’opera compiuta, il proprio segno intonso sulla neve. 
Tutto questo fa parte del piacere di sciare e la traccia è anche il miglior maestro di sci in quanto in essa stanno scritti i propri difetti, i propri limiti, la propria capacità di capire i diversi tipi di neve. 
Anche i pistaioli di ogni livello lasciano una traccia sulla marmorea e liscia superficie di neve finta. Conduzione significa incidere tale superficie con le lamine degli sci, senza derapare, acquisendo pertanto velocità che possono diventare impossibili da controllare. I moderni campioni sono più incisori che pittori. Le loro incisioni sono come quelle dei pattinatori su ghiaccio, sono segni di potenza e di sicurezza del gesto più che desiderio di esprimere la leggerezza dell’essere, il desiderio di fondersi con il meraviglioso ambiente invernale. Le incisioni dei pistaioli non assurgono mai, forse a torto, a espressioni artistiche. Forse perché chi le fa non si sente un’artista ma uno sportivo puro. O forse perché le incisioni degli sci sulla pista si cancellano velocemente come sono state tracciate, con il passaggio di centinaia di sciatori nello stesso punto. 
A proposito di tracce lasciate sulle piste val la pena di ricordare l’ultima trovata per dare un po’ di ossigeno al moribondo sci delle autostrade della neve. Si chiama “prima scia” e si tratta di una proposta riservata per lasciare la propria traccia di prima mattina sulle piste “vergini”, ossia sulle piste di neve artificiale diligentemente fresata con il lavoro notturno dei battipista. Non male come idea. Però è come bere un caffè d’orzo anziché un buon caffè vero, un banale surrogato dello stupendo sci sul firn primaverile. É però un buon inizio, la dimostrazione che il gusto della traccia non è venuto meno del tutto. 
Le tracce sulla neve rimangono importanti, perché l’arte va al di là delle mode e delle aberrazioni di un momento storico. Fermarsi per contemplarle, per fotografarle, come faceva l’architetto Carlo Mollino, per dipingerle o scolpirle come pochi grandi artisti sanno fare, significa renderle eterne, inculcando così i principi fondamentali dell’estetica dello sci nelle nuove generazioni di sciatori.

Per gentile concessione di Alpine Studio.