Particolare della copertina del libro.

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FILOSOFIA DELLA NASCITA

di Silvano Zucal

17 maggio 2017
Versione stampabile

Dalla quarta di copertina
La nascita è, per tutti, l'esperienza straordinaria dell'accesso alla vita umana, e in quanto tale è un concetto che ha una potenzialità filosofica. Eppure il pensiero occidentale del Novecento si è perlopiù soffermato sulla morte come condizione ontologica fondamentale e solo sporadicamente sulla nascita, seppur questa vi lasci una significativa traccia. Una corrente sotterranea, ma carica di senso, qui indagata per la prima volta in maniera sistematica in un percorso che va dall'antica Grecia (il Sileno, Saffo, Eschilo, Sofocle, Euripide, Erodoto...) all'Antico Testamento (Geremia, Giobbe, Qoèlet...), dallo gnosticismo al pensiero cristiano medievale, con incursioni nel Novecento, attraverso alcuni dei suoi più profondi interpreti (Emil Cioran, Günther Anders, Peter Sloterdijk, Hannah Arendt, Michel Henry, Jean-Luc Marion, Emmanuel Lévinas, María Zambrano, Romano Guardini...). Una lettura dell'evento natale capace di aprire molteplici prospettive, sia al "femminile" - con Hannah Arendt e Maria Zambrano - sia al "maschile", seguendo le principali prospettive fenomenologiche ma anche autori di confine come Hans Saner, originale allievo di Karl Jaspers. La nascita come categoria filosofica, indicando l'Inizio" ma anche la "rinascita", assurge a cifra dell'umano, permettendone una lettura antropologica, etica, teologica.

Silvano Zucal è docente di Filosofia della religione e Filosofia teoretica presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento.

Dal capitolo primo "Tornare alla nascita" (pp. 7-10)

“Essere per la morte” o “essere per la nascita”?

Il panorama filosofico del Novecento è stato dominato da un ritorno davvero imponente della tanatologia filosofica con molti protagonisti, da Martin Heidegger a Max Scheler, da Vladimir Jankélévitch a Paul Ludwig Landsberg, da Karl Jaspers a Gabriel Marcel e, con un riscontro anche sul piano teologico, con Karl Rahner, Gisbert Greshake, Ladislaus Boros e Eberhard Jüngel. Interpretazioni spesso molto dissonanti della morte ma che hanno portato in evidenza lo statuto esistenziale dell’Esserci umano come “essere-per-la-morte” (Sein zum Tode), per usare il linguaggio heideggeriano.
Come un fiume carsico, in modo meno imponente, è andato però affermandosi anche un paradigma alternativo, non più focalizzato sulla morte ma piuttosto sulla nascita. Non più quindi, al centro, lo statuto esistenziale dell’uomo come “essere-per-la-morte” ma, piuttosto, come “essere-per-la-nascita”. Protagonisti su tale terreno sono – in chiave negativa (ovvero con giudizi stroncanti sull’evento della nascita còlto come autentica tragedia esistenziale) – in modo particolare Emil Cioran e Günter Anders. In chiave positiva - con una lettura straordinariamente feconda dell’evento natale - troviamo il pensiero femminile contemporaneo, soprattutto con Hannah Arendt e María Zambrano. Nel panorama filosofico, per così dire “maschile”, del Novecento abbiamo alcuni rilevanti contributi in àmbito fenomenologico come, ad esempio, il saggio di Michel Henry "Fenomenologia della nascita" oltre a riferimenti significativi al tema – sempre in àmbito fenomenologico francese - in Emmanuel Levinas, Jean-Luc Marion, Claude Romano, Emmanuel Falque. Di non minore rilievo è il contributo su tale tematica di un filosofo “irregolare” e difficilmente inquadrabile quale Hans Saner, allievo e assistente di Karl Jaspers, autore di "Nascita e fantasia. Sulla naturale dissidenza del bambino". È da rimarcare il fatto come dalla scuola filosofica di Jaspers siano usciti ben due pensatori della nascita come Arendt e, appunto, Saner. All’incrocio tra filosofia e teologia affronta il tema del nascere anche Romano Guardini. Il pensatore che però, più di ogni altro, ha dedicato attenzione squisitamente teoretica all’evento della nascita è il filosofo tedesco Peter Sloterdijk.
Il tema che affronterò in questo mio volume, quello della “nascita” e della “rinascita” - del cominciamento e del “ricominciamento” in senso reale-ontologico, simbolico, conoscitivo, etico ed esistenziale - in àmbito filosofico contemporaneo (ma con il recupero anche di tutte le fonti antiche del mondo greco, di quello biblico e medievale), è invece per lo più eluso nel contesto italiano. Lo afferma giustamente Claudio Tarditi: c’è «una questione a mio parere scarsamente considerata dalla nostra tradizione culturale, cioè l’atto che inaugura e dà origine alla stessa esistenza umana, la nascita. Qualcuno penserà che si tratti di una domanda da salotto filosofico [...]. Tutt’altro: l’urgenza di una tale riflessione mi si è letteralmente imposta dinanzi all’ecografo che registrava i primi battiti cardiaci di mia figlia. Ben prima del parto, cioè prima del suo “ingresso nel mondo”, lei si muoveva, rispondeva a certi stimoli – luminosi, per esempio – interagiva profondamente col corpo materno: era “viva”. In qualche modo, era già “lei”, era già “nata”. Ora, un’esperienza del genere non ci pone forse dinanzi alla necessità e all’urgenza di un ripensamento profondo della definizione più comune della nascita come “venuta al mondo”? [...] Che cosa significa dunque nascere e qual è il suo senso originario? Si tratta forse di un falso problema, di un’ovvietà priva d’interesse oppure, in fin dei conti, rappresenta uno dei “grandi assenti” dalla scena filosofica contemporanea?». In particolare, per l’appunto, da quella italiana.
A tutto ciò si possono muovere essenzialmente due obiezioni. La prima: trattare della nascita non rischia di portare a forme di vuoto sentimentalismo evocativo e biograficistico? La seconda: la questione della nascita non è già sul tavolo, in ambito filosofico? Non è forse il terreno di ricerca dei bioeticisti? Obiezioni che, come Tarditi, ritengo parziali e fuorvianti: «Nel primo caso, è davvero possibile porre il problema della nascita ponendosene a distanza, prescindendo cioè dal fatto incontrovertibile che tutti siamo nati? In altre parole, non ci troviamo già sempre in una certa situazione affettiva nei confronti della nostra nascita, così come di quella dei nostri figli, fratelli o, più in generale, di tutte quelle nascite di cui siamo stati e siamo testimoni? Parlerei dunque di “radicamento affettivo” della domanda sulla nascita, non di “vuoto sentimentalismo”». Nel secondo caso, è fuor di dubbio che la realtà della nascita è fortemente presente nel dibattito filosofico pubblico più recente di carattere bioetico. I risultati conseguiti su questo terreno sono indubbiamente rilevanti così come lo è l’elaborazione teorica ma, a questi livelli, semplicemente non ci si interroga specificamente sul fenomeno stesso della nascita poiché non è un tale fenomeno a costituirne il campo specifico di indagine. Non a caso, paradigmaticamente, la voce “Nascita” per la più recente Enciclopedia Filosofica, redatta da Roberto Mordacci, si sofferma esclusivamente sugli aspetti e sulle implicazioni bioetiche del nascere. Basti qualche passaggio: «Le questioni filosofiche connesse alla nascita riguardano prevalentemente il significato e il valore della vita umana nascente. [...] Pressoché tutte le legislazioni riconoscono i diritti civili all’atto della nascita. [...] Benché la nascita in senso proprio coincida con il parto, i temi in discussione si estendono prima e dopo questo momento: lo statuto dell’embrione e del feto, le tecniche di procreazione medicalmente assistita, l’ingegneria genetica, l’aborto, la tutela della vita prenatale e neonatale, l’accudimento, l’educazione e il controllo delle nascite». Nessun accenno nella voce al significato dell’evento della nascita in quanto tale. Del resto l’approccio bioetico per quanto sia di carattere generale (discorso assiologico o comunque sui principi generali dell’etica da applicare alle questioni della vita), speciale (ovvero dedicato alle grandi questioni come l’aborto o la sperimentazione genetica) e, infine, clinico (esami dei casi clinici problematici per orientare la prassi medica) non si soffermerà mai sul senso dell’evento-nascita: «In relazione al tema della nascita, la bioetica si occuperà dunque di tutte le questioni ad essa correlate – contraccezione, interruzione di gravidanza, aborto, indagini prenatali ecc. – ma sempre mantenendo il proprio carattere applicativo e normativo: in altri termini, lo statuto epistemologico della bioetica individua il suo campo d’indagine nei principi e nei valori che determinano le scelte dell’individuo nei confronti delle possibilità che il progresso tecnico-scientifico gli offre, escludendo tuttavia de jure qualunque riflessione sul senso esistenziale e ontologico del nascere in quanto tale».
Proprio alla filosofia, con prospettiva teoretica, toccherà invece il compito di chiarire il significato profondo della nascita, di questo evento del tutto peculiare che segna lo statuto dell’umano Esserci.

Per gentile concessione di Morcellliana S.r.l.