IV edizione dell'Assemblea aperta di Ateneo, foto Roberto Bernardinatti, archivio Università di Trento

Vita universitaria

SALUTE, SANITÀ E SAPERI

Se ne parlerà il 21 giugno nella V edizione dell’Assemblea aperta di Ateneo. Intervista a Innocenzo Cipolletta

8 giugno 2017
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di Marinella Daidone
Lavora presso la Divisione Comunicazione ed Eventi dell’Università di Trento.

Il prossimo 21 giugno si svolgerà la quinta edizione dell’Assemblea aperta di Ateneo, che quest’anno ha per tema “Salute, sanità e saperi”. Un appuntamento annuale ormai consueto per l’ateneo e per la città, che ha come obiettivo quello di stabilire una connessione forte tra l’Università e la comunità che la ospita ed è esplicitamente prevista dallo Statuto di Ateneo. Un’iniziativa fortemente voluta dal presidente dell’Università di Trento Innocenzo Cipolletta, promotore dell’evento insieme al rettore Paolo Collini.

Presidente Cipolletta, l’Assemblea aperta di Ateneo di quest’anno declina, seppure in modo diverso, il tema della salute sul quale è stato incentrato anche il Festival dell’Economia 2017. Ce ne può parlare?
Il tema della salute e della sanità rappresenta un elemento fondamentale nella vita dei cittadini ed è per questo che, in maniera non casuale, sia il Festival che l’Assemblea aperta dibattono questo tema, seppure da punti di vista diversi.
Al Festival abbiamo parlato di “Salute disuguale”. Teoricamente il diritto alla salute è universale e uguale per tutti i cittadini, ci sono però molti fattori che incidono su questo diritto. Pensiamo alle diverse condizioni di reddito, agli stili di vita, ai comportamenti, all’ambiente, all’inquinamento maggiore in alcune zone e in alcuni paesi piuttosto che in altri.
All’Assemblea aperta vogliamo parlare del territorio trentino e delle attività che la nostra Università svolge per la salute dei cittadini. Quindi vorremmo mettere in evidenza le attività di ricerca scientifica e di formazione, anche permanente, che facciamo nell’ambito delle scienze mediche e delle scienze per la vita, le collaborazioni attive con istituzioni, aziende sanitarie e ordini professionali e i servizi nei quali siamo impegnati che sono rivolti a tutti i cittadini nel campo della salute.

Nei paesi ricchi le aspettative di vita si sono allungate. È così anche in paesi più poveri? Come economista, quali interventi o politiche pensa che si possano mettere in atto per migliorare?
In questo momento il balzo più grosso nelle aspettative di vita lo stanno facendo i paesi poveri. Nella nostra società l’aspettativa di vita è già molto alta e quindi i progressi che facciamo attualmente, pur importanti, restano comunque modesti. Nei paesi dove l'aspettativa di vita è più elevata sono, comunque, necessari investimenti in innovazione per migliorare la qualità della vita degli anziani e per la diagnosi e cura di patologie legate all'invecchiamento.
Nei paesi poveri abbiamo assistito nel corso degli ultimi trent’anni a un balzo di qualche decina d’anni nelle aspettative di vita. La causa fondamentale di questo incremento è la riduzione della mortalità infantile che era estremamente elevata e che oggi è diminuita, grazie alle cure e all’assistenza.
Nonostante questo, le differenze restano importanti, anche perché i paesi più poveri hanno condizioni di assistenza sanitaria inferiori rispetto agli altri paesi. Gli interventi che si possono fare sono di tipo diverso. Alcuni legati al reddito, quindi parliamo di cure e di prodotti farmaceutici, altri, ugualmente importanti, sono legati agli stili di vita e ai comportamenti che possono aiutare a vivere più a lungo. Ridurre il fumo e l’alcol e avere un alimentazione più equilibrata porta, sicuramente, a un miglioramento della salute e questi sono progressi che possono ancora essere fatti.

Quanto la ricerca universitaria e l’innovazione possono incidere sulla salute delle persone?
La ricerca è fondamentale nel campo della salute e credo sia uno dei settori nei quali sono maggiormente impegnati università e sistemi di ricerca di tutto il mondo. La nostra Università lavora su questo terreno in diversi ambiti. Pensiamo al fenomeno mondiale delle start up: gran parte di queste nascono proprio dalla ricerca per la salute. Si va dai nuovi materiali, che servono a ricostituire organi o a produrre tessuti da impiantare, a forme di diagnosi meno invasive, che consentono monitoraggi più frequenti, fino alla prevenzione che è un elemento fondamentale per ridurre anche in futuro le cure e i costi, ma soprattutto per far star meglio le persone.
Queste innovazioni, importanti in ambito sanitario, hanno ricadute tecnologiche che irradiano in molte altre attività dei cittadini. Dall’analisi dei nuovi materiali possono arrivare anche invenzioni utilizzabili in campo tessile o meccanico; i software messi a punto per assistere persone lontane possono poi essere utilizzati per altri servizi, inclusi quelli di vendita o di consegna. La spesa sanitaria, compresa quella per la ricerca, che in alcuni paesi è considerata troppo elevata per essere una spesa pubblica, a mio avviso, invece, dovrebbe essere considerata come una fonte di crescita e dovrebbe essere maggiormente alimentata vista la sua importanza.

Anche la formazione può svolgere un ruolo importante?
Sicuramente la formazione rappresenta uno strumento per modificare i comportamenti delle persone e soprattutto per convincerle ad avere comportamenti più corretti. Nel nostro piccolo, con il Festival e con l’Assemblea aperta dedicati ai temi della salute, anche noi vogliamo contribuire a formare una coscienza critica nei cittadini, in modo che siano sempre più consapevoli e informati.
Non vogliamo dare soluzioni valide per tutti, ma, se ciascuno di noi comincia a pensare qual è il comportamento corretto da tenere e alla prevenzione per evitare poi di trovarsi in una situazione di malattia, credo che sia già un buon inizio.

Anche sui temi della salute c’è molta disinformazione. In che modo l’università può promuovere una corretta informazione?
Noi collaboriamo come Università a molte associazioni sia volontarie che istituzionali proprio per diffondere l’informazione e contribuire a dei corsi di formazione dei cittadini di fronte alla salute. Una cosa che si fa poco nel nostro paese è proprio quella di insegnare un’educazione sanitaria comportamentale che potrebbe riguardare le scuole fin dalla prima infanzia fino al termine del ciclo di studi. Dovremmo poter dibattere all’interno delle scuole di questi argomenti perché poi diventano elementi fondamentali della conoscenza umana che servono per tutta quanta la vita. Il nostro Ateneo è impegnato in questa direzione e se ci sono proposte da portare avanti lo faremo.

L’Assemblea aperta di Ateneo coinvolge sia l’Università che il territorio?
Assolutamente si. L’Assemblea aperta è il momento culminante di un rapporto tra Università ed enti, associazioni, istituzioni e soggetti che operano sul territorio. Anche quest’anno è stata preceduta da una serie di incontri propedeutici nei quali questi due mondi si sono incontrati. Si è parlato di “Formazione universitaria e formazione sui temi della salute”, “Salute e ricerca: innovazione, qualità, sostenibilità”.
In questa Assemblea presenteremo non solo le attività che l’Università svolge in questi ambiti, ma cercheremo anche di raccogliere gli stimoli che vengono da tante diverse realtà locali, dalla gente, dal volontariato, dalle associazioni, dagli ordini professionali e dagli operatori del settore in modo da poter avere con il territorio una collaborazione sempre più aderente ai bisogni e che non sia unidirezionale.
È un percorso che va dall’università verso la gente, ma anche dalla gente verso l’università, in modo tale che anche noi possiamo capire qual è a cosa migliore da fare e possiamo adeguarci ai bisogni della comunità locale.