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L’ORIENTALISTICA E IL CORANO

Una riflessione su nuove tendenze e prospettive di ricerca

17 novembre 2014
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Massimo Campanini
di Massimo Campanini
Professore associato di Storia dei paesi islamici presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.

Il Corano è il libro sacro dell’Islam, ma questa banale affermazione non sarebbe del tutto comprensibile senza due precisazioni: la prima è che il Corano è parola diretta e letterale di Dio; la seconda è che il Corano può essere letto a due livelli, uno essoterico, esteriore, e l’altro esoterico, filosofico-spirituale. Entrambi questi aspetti spiegano come mai l’ermeneutica coranica, il tentativo cioè di interpretare il Corano da un punto di vista strutturale, formale-grammaticale, storico, teologico, mistico, sia stata una delle attività intellettuali più diffuse e praticate nell’Islam, dalle origini fino ai giorni nostri. I musulmani, naturalmente, hanno sviluppato un approccio “amoroso” al loro testo sacro, come afferma Farid Esack, il che qualche volta li ha condotti a un atteggiamento apologetico e acritico, lontano dai canoni dell’ermeneuticità storica così cari all’orientalistica europea e americana. Dal canto suo, l’orientalistica, appunto, ha dissezionato il Corano spesso molto asetticamente, trascurando il fatto che il Corano è un documento vivo, attraverso il quale i musulmani credono e agiscono quotidianamente.

In tal senso, sono state importanti quelle correnti di orientalistica contemporanea che hanno messo in dubbio il racconto musulmano tradizionale della composizione e della trasmissione del testo coranico. Tali correnti hanno messo in dubbio la verosimiglianza delle fonti sulla vita del Profeta Muhammad, a sua volta strettamente intrecciata alla rivelazione, e addirittura hanno messo in dubbio che il Corano sia scritto in lingua araba. D’altro canto, una seconda tendenza riduzionistica dell’orientalismo ha cercato di evidenziare le radici e ispirazioni giudaico-cristiane del Corano, minimizzando l’originalità del messaggio di Muhammad e del suo contenuto teologico monoteistico. Studiosi come John Wansbrough e i suoi allievi Patricia Crone e Michael Cook ed epigoni, come Andrew Rippin e Daniel Brown, hanno fatto leva sul dato oggettivo che i racconti sulla composizione del Corano e sulla vita del Profeta sono stati composti almeno 150 anni dopo i fatti che narrano. Pertanto hanno ricondotto l’Islam a un ambiente settario giudaico-cristiano, nato in Iraq e non in Arabia, in cui il testo coranico sarebbe stato prodotto parallelamente alla sua interpretazione, elaborando su dati incerti e approssimativi una biografia del Profeta largamente inventata.

Si tratta, in entrambi i casi, di inclinazioni scettiche, spesso pregiudiziali, che sono state spesso contestate con successo, oltre che dai musulmani, anche da un’orientalistica più attenta a un uso equilibrato delle testimonianze, sia documentarie, sia prosopografiche, sia storiche. Molte idee radicali, che svuotavano di verosimiglianza e di significato tutta la tradizione musulmana, sono state più recentemente abbandonate. Musulmani come Fazlur Rahman e Nasr Abu Zayd hanno dimostrato la fecondità di un metodo esegetico fenomenologico e tematico che si adegua ai canoni orientalistici della ricerca. La considerazione del Corano come testo, con quanto ciò implica relativamente all’uso degli strumenti ermeneutici più moderni (dalla critica letteraria a quella filosofica e strutturalistica), ha permesso un’indagine più accurata e meno orientata delle fonti e del testo stesso, da parte di orientalisti dalla mentalità aperta come Stefan Wild o Anthony Johns o Neal Robinson o Angelika Neuwirth. Recenti scoperte documentarie, come alcuni antichi manoscritti coranici ritrovati nella grande moschea di Sanaa, hanno consentito di accorciare notevolmente il tempo che sarebbe passato tra la morte del Profeta e la messa per iscritto di un primo canone testuale coranico. L’orientalistica italiana ha dato un contributo sul piano dello studio formale e testuale (Sergio Noja), su quello dell’analisi della letteratura religiosa (Roberto Tottoli); così come nell’ambito della ricostruzione obiettiva della vita del Profeta (Claudio Lo Jacono) e dal punto di vista filosofico (da parte di chi scrive).

Questi temi sono stati al centro dell’incontro con Roberto Tottoli dell’Università “L’Orientale” di Napoli ospite del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento lo scorso 12 novembre.

Anche la riflessione condotta in tale occasione, ha mostrato che le prospettive esegetiche sono comunque aperte e, se i musulmani devono imparare metodologie più storiche e meno fideistiche di ermeneutica, gli orientalisti devono valutare il fatto che il Corano rimane primariamente un testo religioso che si colloca fecondamente nel solco della storia della rivelazione.